venerdì 7 gennaio 2011
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Il musicologo e critico Pascal Huynh, specialista della musica tra le due guerre, è il curatore della mostra 'Lenin, Stalin e la musica', in corso alla Cité de la musique di Parigi, dedicata ai complessi rapporti tra il potere to­talitario moscovita e la musica.La mostra si apre con una presen­tazione delle avanguardie russe prima della rivoluzione del 1917. Quali ne sono le linee di forza, so­prattutto in ambito musicale? «L’avanguardia artistica, declinata in vari movimenti quali il futuri­smo e il suprematismo, esiste ben prima dell’ottobre 1917. In musica, si tratta per i compositori di arriva­re a una nuova organizzazione so­nora in grado di spazzare via l’ordi­ne preesistente. L’opera Vittoria sul sole , alla quale collaborò il pittore Malevich, è emblematica di tale ambizione. Gli esegeti della rivolu­zione hanno addirittura voluto scorgere nella musica misticheg­giante di Alexander Scriabin (mor­to nel 1915) un appello al rovescia­mento, a spingersi oltre. Come se nell’arte ci fossero già in germe gli avvenimenti sociali e politici di là da venire. Molti artisti si impegne­ranno con entusiasmo con il go­verno rivoluzionario. Anche se, ben presto, nasceranno tensioni: come possono, ad esempio, i so­stenitori dell’astrazione ammette­re la concezione funzionale e pra­tica dell’arte esaltata dai bolscevi­chi?».In che modo si manifesta tale ten­sione?«Lenin aveva profonde reticenze verso l’avanguardia e il futurismo. Gli premeva di più educare le mas­se, anche se aveva nominato com­missionario del popolo all’istruzio­ne Anatoli Lunatcharski, un erudi­to di larghe vedute. A quell’epoca un compositore come Arthur Lou­rié, ad esempio, aveva tentato di applicare la sua estetica futurista al contesto rivoluzionario. Non senza conseguenze. Finirà per lasciare la Russia nel 1922. Gli ambienti pro­letari esaltano un’arte specifica­mente rivoluzionaria, di rottura con l’elitarismo borghese. Il canto corale di massa, con i suoi inni fa­cili da memorizzare e da cantare, anche per i dilettanti, è il miglior veicolo del nuovo ideale musicale. A poco a poco si forma un reperto­rio che si integra con i grandi spet­tacoli popolari all’aperto come La presa del Palazzo d’Inverno . Paral­lelamente l’educazione musicale dei giovani s’inscrive in un vasto meccanismo di formazione, sul modello dello sport. I più dotati formano un’èlite di interpreti che, più tardi, serviranno da 'vetrina' all’Urss nella concorrenza con l’Occidente».Tutto vacilla alla fine degli anni Venti…«Anche se Stalin ha mosso le sue pedine in precedenza, è nel 1929 che va collocata la 'grande svolta' staliniana. Fino ad allora, in parti­colare a Leningrado, c’era una vita culturale intensa, venivano rappre­sentate opere occidentali come il Wozzech di Alban Berg. Nel 1930 Stalin fa chiudere le associazioni degli artisti rivoluzionari e le sosti­tuisce con le Unioni dei creatori. D’ora in poi l’arte e l’artista, total­mente strumentalizzati, non a­vranno altra missione che cantare le lodi del regime, celebrarne la perfezione. L’artista – per Stalin, lo scrittore come il musicista – è con­siderato 'l’ingegnere dell’anima u­mana'. Abbandona l’ambito ap­partato dell’arte per l’arte per met­tersi al servizio della comunità. Per il regime sovietico, la musica dove­va essere illustrativa e funzionale». Che posto ha la 'musica pura' in tale sistema?«Un posto estremamente ridotto. Le opere strumentali sono troppo astratte per veicolare un’ideologia in modo immediatamente leggibi­le. La musica socialista passa anzi­tutto attraverso il palcoscenico dell’opera o lo schermo cinemato­grafico. Un fenomeno molto inte­ressante è il recupero e la riscrittu­ra di grandi opere del repertorio, come la Tosca di Puccini o Il Profe­ta di Meyerbeer, per adattarle alle esigenze sovietiche. A partire dalla fine degli anni Venti si assiste an­che a tentativi di 'opera ideale', come Ghiaccio e acciaio di Deche­vov, sulla rivolta dei marinai di K­ronstadt… Al tempo stesso Il naso del giovane Shostakovich viene considerata troppo complessa, in­novatrice e formalista. Quello stes­so formalismo che, a partire dal 1936, diverrà il nemico estetico da abbattere… Al cinema i film di Gri­gori Alexandrov – commedie musi­cali di strabiliante successo – sono disseminati di canzoni che hanno il potere di adunare».In una precedente mostra lei ave­va lavorato sulla musica durante il Terzo Reich. Quali sono le simili­tudini con l’era sovietica? «Se si pensa all’allineamento degli artisti e al desiderio che la musica esalti le virtù del regime e dell’uo­mo nuovo, è ovvio che ci sono con­vergenze. Comuni indubbiamente a tutti i totalitarismi. Tuttavia i contesti culturali sono radicalmen­te diversi. In Germania la musica è l’arte di riferimento. È legata a una metafisica. Hitler si considera il continuatore di Wagner come di Bismarck. Nelle sinfonie di Bruck­ner vede un’esaltazione della terra tedesca. Hitler e Goebbels cono­scono benissimo la musica, a diffe­renza di Lenin e Stalin». (traduzione di Anna Maria Brogi)
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