lunedì 14 novembre 2016
Nella personale "Punctum" l'artista ligure evoca il dramma dei migranti e la necessità di prenderne coscienza. Mario Botta: "Tomaino condensa nella semplicità della materia tutta la condizione umana"
Giuliano Tomaino al lavoro sull'opera "Come può il mare", 2015

Giuliano Tomaino al lavoro sull'opera "Come può il mare", 2015 - Stefano Lanzardo

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Un mare rosso di vernice. Un mare nero di carta vetrata. Un mare trasparente (uno solo, e il titolo è – significativamente – Giorni lieti) di cristallo. Sopra galleggiano dipinte barche come ombre, o come ex voto, o costruite di fasciami di ferro arrugginito. Sono gli elementi che più colpiscono in “Punctum”, personale di Giuliano Tomaino presso lo Spazio Lavit a Varese (fino al 24 dicembre) inaugurata sabato scorso. Non mancano alcune delle presenze iconografiche consuete nel lavoro dell’artista del Levante ligure (nato alla Spezia nel 1945, vive e lavora a Sarzana) come gli uccellini e i cavalli a dondolo che avevano popolato il decumano di Expo. Così come non manca il rosso-vita che di Tomaino è una sigla. Ma che qui deve lottare con un nero profondo. «Ho scelto come titolo “Punctum” – spiega l’artista – perché sentivo l’urgenza di ricapitolare e allo stesso tempo di mettere un punto sull’indifferenza della storia». Questo mare per Tomaino è una sorta di specchio attraverso cui osservare un mondo a una svolta: «Quando vediamo queste navi cariche di persone che attraversano il Mediterraneo, e tante volte inghiottite, dobbiamo pensare che il mondo cambia. Ma è una mostra che parla di me, del mio essere a un “punto”, al tempo di un bilancio, perché anch’io mi riconosco nel flusso di una storia». I segni semplici nascono dunque dall’attualità e insieme la travalicano. Come spiega la curatrice della mostra, Marina Corgnati, «in queste barche c’è anche, ma non solo l’emergenza del Mediterraneo. Tomaino riesce a superare il fatto di cronaca per richiamare a un’assunzione di responsabilità. Questa barca è un giocattolo, è un archetipo, è una tragedia. È la necessità che l’arte recuperi la vocazione umanistica che per secoli l’ha sorretta. “Punctum” è allora attenzione puntuale che restituisca umanità a quegli uomini, ma anche al nostro sguardo sull’arte».

Giuliano Tomaino, 'Luci', 2016

Giuliano Tomaino, "Luci", 2016 - Stefano Lanzardo


L’architetto Mario Botta, che con Tomaino collabora da una decina d’anni, presente all’inaugurazione, osserva però una qualità nuova nel lavoro dell’artista: «Nel passato di Tomaino aveva prevalso il segno iconico. In questa mostra però vedo uno scarto importante: usare la carata vetrata e chiamarla Mediterraneo. È un’idea profonda, ancora più profonda del segno. Un mare nero, che è il Mare Nostrum, ed è un cimitero. Sono opere che segnano un momento storico, perché non si limitano a richiamare il dramma delle carrette del mare ma ci costringono a fare i conti con la nostra stessa complicità». L’architetto si sofferma poi su Luci, relitto rovesciato di una barca, lamiere arrugginite dentro cui riposano biglie di vetro rosso: «Sono anime che abitano quella barca, una presenza nascosta in attesa di essere riconosciuta. L’etica e la capacità espressiva di Tomaino si fondano su una presenza semplice, povera e potente come questa materia, che eppure condensa in sé tutta la condizione umana».

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