domenica 12 luglio 2020
Si chiude col quarto volume la pubblicazione della monumentale opera del filosofo e iranista francese dedicata all’islam iranico
Lo storico della filosofia, iranista e islamista francese Henry Corbin (Parigi 1903, Parigi 1978)

Lo storico della filosofia, iranista e islamista francese Henry Corbin (Parigi 1903, Parigi 1978) - -

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Può sembrare un viaggio in terre lontane, l’esplorazione di universi spirituali e culturali esotici o magari lo studio eruditissimo, e inavvicinabile a molti, di sottilissime questioni teoretiche ed escatologiche. Potrebbe sembrarlo, in effetti. Ma non lo è. Il cuore palpitante di quell’immenso lavoro dal titolo all’apparenza specialistico, ma dal respiro universale, che è Nell’Islam iranico. Aspetti spirituali e filosofici di Henry Corbin siamo noi, l’Europa, l’Occidente che ha scelto di «convertire la ierostoria (potremmo dire la storia nel Malakut) in storia profana scrive lo studioso -, sostituire alla storia interiore una storia oggettiva, che è esattamente ciò in cui consiste il processo di secolarizzazione, o laicizzazione metafisica (per mezzo dell’eliminazione della metafisica)» che oggi avvelena il mondo postmoderno occidentalizzato e per cui occorre trovare un «antidoto». Proprio questo è il termine impiegato da Corbin. Di Nell’islam iranico ora esce per l’editore Mimesis il quarto e ultimo volume (pagine 654, euro 30) dedicato alla ricognizione della Scuola di Isfahan, della Scuola shaykhi e alla disamina della figura del Dodicesimo imam e della cavalleria spirituale. Si conclude così l’importante impresa editoriale iniziata nel 2012 con la pubblicazione del primo volume dedicato allo shi’ismo duodecimano e poi proseguita col secondo, volto all’indagine del pensiero di Sohrawardi e dei platonici di Persia, e il terzo centrato sui Fedeli d’amore e sui rapporti tra shi’ismo e sufismo. L’immane lavoro di traduzione e curatela (con un indispensabile indice generale di oltre cento pagine in coda all’ultimo volume, che permette di compiere cammini irregolari tra le infinite stanze della tetralogia) si deve all’audafe Roberto Revello, autore anche per Orthotes del bel Ciò che appare nello specchio dedicato sempre al pensiero di Corbin. Orientalista e filosofo, Henry Corbin (1903-1978) è uno dei più eminenti pensatori del Ventesimo secolo.

Egli era l’allievo di due pionieri degli studi storici, il medievista Étienne Gilson e lo studioso dell’islam Louis Massignon, a cui succede alla cattedra di islamologia presso l’École pratique des hautes études nel 1954. Non è certo l’inizio della sua carriera accademica. Dal 1946 dirigerà il Dipartimento di Iranologia del-l’Istituto franco-iraniano di Teheran e per oltre trent’anni insegna all’Università di Teheran intessendo duraturi rapporti col mondo shi’ita. La sfera istituzionale non sarà la sola a vedere impegnato Corbin che verrà coinvolto, diventandone anche uno dei più vivaci animatori, con Carl Gustav Jung e Mircea Eliade, negli incontri di Eranos. A partire dal 1949, ad Ascona sul Lago Maggiore, con cadenza annuale, si ritrovano i maggiori studiosi di storia delle religioni e 'scienze divine'. I consessi elvetici coltivano il disegno di promuovere, dinanzi alla secolarizzazione dilagante, l’indagine dell’homo religiosus. E alla pari di Eliade, Scholem, Suzuki quello di Corbin non è mai stato un impegno esclusivamente intellettuale. Per lo studioso d’Oltralpe occorreva attrezzarsi per fronteggiare la crescente laicizzazione e questo già a partire dalla scoperta di Martin Heidegger, avvenuta durante il suo soggiorno a Friburgo nel corso degli anni Trenta. Del solitario di Todnauberg Corbin sarà il primo traduttore francese e, con la frequentazione dei testi di Søren Kierkegaard, di Franz Brentano e della teologia dialettica di Karl Barth, affinerà le armi teoretiche per condurre la battaglia contro il razionalismo illuminista e la moderna filosofia della storia. Tra Heidegger e Avicenna o Sohrawardi non c’è soluzione di continuità ma solo cambio di registro.

Che riflessione e studio avvengano a Friburgo, Teheran o Isfahan il problema dell’iranologo francese è lo stesso, cercare l’antidoto per contrastare la laicizzazione imperversante in Occidente. Solo percorrendo i cammini di pensiero di mondi estranei alla laicizzazione è possibile evitare che «la sociologia, d’autorità, prenda il posto della teologia, con l’aiuto della psicanalisi, e non si parli più di peccato, ma di complesso di colpa, di frustrazione...». Abbracciando questi sentieri dello spirito, a cui non comunque è estranea l’Europa, diventa possibile dotarsi di nuovo di strumenti per vedere che «il luogo della ierostoria, della storia della salvezza, - scrive Corbin - non è il luogo della filosofia della storia; l’azione creatrice dello Spirito Santo infrange la storia e la filosofia della storia, perché libera gli uomini da esse e si compie nel mondo spirituale invisibile, nel Malakut». Immergersi nell’orizzonte spirituale dello shi’ismo per cercare una possibile salvezza per l’uomo dinanzi al deserto che avanza implica l’essere accolti. «Ma non c’è ospitalità spirituale - ricorda Corbin - senza reciprocità, senza che l’ospite accolto non sia a sua volta interiormente un ospite che accoglie. Senza questa reciprocità, infatti, non c’è speranza di comprendere che l’umanità non si preserva ancora nell’essere, se non in racconti visionari e in epopee dell’anima, non in teorie generali e in ideologie astratte»..

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