venerdì 15 maggio 2009
Un volume mette a fuoco le infatuazioni della cultura neofascista europea per il comandante che sognava una rivoluzione di popolo.
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I "fasciocomunisti" non sono un’invenzione di Antonio Pennacchi e neppure una stravagante minoranza da relegare nella galleria del bizzarro: forse rappresentano, invece, l’u­nica avanguardia rivoluzio­naria europea sopravvissuta al Novecento. Almeno, que­sta è la sensazione che resta dopo la lettura di L’Altro Che, un originale e brillante sag­gio di Mario La Ferla, invia­to speciale dell’Espresso, ap­pena pubblicato da Stampa Alternativa (pagine 216, eu­ro 14). Il sottotitolo la dice tutta: «Ernesto Guevara mi­to e simbolo della destra mi- litante», come se, ora che il guerrigliero argentino è di­ventato un’icona pop, il te­stimone dell’utopia rivolu­zionaria che ne ha animato le gesta sia passato ideal­mente nelle mani degli epi­goni di Mussolini. Tanto per cominciare, come ha già brillantemente dimo­strato Ludovico Incisa di Ca­merana nel suo I figli del Che, la rivoluzione sognata dal Che e dal suo amico Castro è nazionale e di popolo, e se alla fine Cuba dovette rivol­gersi all’Urss fu solo perché ci fu costretta dall’ostruzio­nismo Usa, che servì però da stimolo a creare un fronte ­allora efficace e potente - di Paesi non-allineati che cer­cavano una Terza via. Tralasciando la geopolitica, restano comunque dei fatti a sostegno della provocato­ria tesi di La Ferla: innanzi­tutto l’ammirazione, che spesso sconfinò addirittura in devozione, da parte di al­cune frange dell’estrema de­stra italiana ed europea ver­so il «cavaliere senza mac­chia e senza paura». Da Jeu­ne Europe a Terza Posizione, passando per la Nuova De­stra e arrivando fino alla con­temporanea Casa Pound, so­no moltissimi i movimenti neofascisti che hanno di­chiaratamente espresso la loro simpatia e vicinanza per Guevara. Strano ma vero, i primi a esprimere pubblica­mente il loro cordoglio, bat­tendo sul tempo l’estrema si­nistra, furono gli artisti del Bagaglino - sì, proprio loro, da Oreste Lionello a Castel­lacci e Pingitore - che incise­ro subito dopo l’assassinio del Comandante un 45 giri intitolato «Addio Che», can­tato da Gabriella Ferri. Allo stesso modo è di provenien­za neofascista il primo libro sul Che pubblicato in Italia: El Che Guevara, scritto dal ragazzo di Salò Adriano Bol­zoni, che ne ricavò anche u­na sceneggiatura, subito tra­sformata in film. Ma l’infatuazione della de­stra per il 'Che' si basava pu­re su oggettivi riscontri, co­me l’amicizia che legava Guevara a colui che alcuni considerano l’ultimo leader fascista del Novecento, Juan Domingo Peròn. I due, in­fatti, si incontrarono, segre­tamente ma non troppo, nel­la Spagna franchista, sotto l’occhio benevolo del Cau­dillo.E, per completare il quadro anticonformista del guerri­gliero morto nella Sierra bo­liviana, la leggenda narra che avesse con sé, quando fu tra­dito, un libro comprato in Spagna e a cui teneva mol­tissimo: gli Scritti e discorsi di battaglia di Josè Antonio Primo de Rivera, fondatore della Falange Spagnola fuci­lato - dai comunisti - duran­te la Guerra Civile di Spagna. Ernesto 'Che' Guevara in una immagine del 1958
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