sabato 7 dicembre 2019
Il Grand Prix di Torino è l’occasione per riflettere sui cambiamenti impressi al pattinaggio artistico da queste giovani atlete: allenate a ritmi folli poi smettono per problemi fisici o psicologici
La coppia russa formata da Daria Pavliuchenko e Denis Khodykin al Grand Prix di pattinaggio artistico in corso a Torino / Ansa

La coppia russa formata da Daria Pavliuchenko e Denis Khodykin al Grand Prix di pattinaggio artistico in corso a Torino / Ansa

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Stessa città, stesso sport, stesso palazzetto. Stessa gente che vien sugli spalti, applaude e poi va. Cambiano gli anni, non la passione per le stelle del pattinaggio figura. Così alle quattro del pomeriggio i seggiolini del PalaVela sono già occupati, soprattutto da giapponesi e russi, nonostante sul ghiaccio si esibiscano le Juniores. Dopo i Giochi olimpici del 2006 e i Mondiali del 2010, pattinaggio artistico e danza sono ancora di casa lungo il Po, sebbene l’unica cosa immutata rispetto al passato sia il calore del pubblico. Rispetto a tredici anni fa sia Torino sia la disciplina invernale hanno cambiato faccia. Così la finale del Grand Prix, in scena fino a domani nel capoluogo piemontese, diventa l’occasione per parlare di una città, che si è innamorata dello sport ma ha ripudiato i cinque cerchi, e di una specialità, che sta stravolgendo la propria natura. Nel 2006 la rassegna olimpica d’inverno rilanciò l’immagine della prima capitale del Regno d’Italia, protagonista ai tempi di una lenta fase di deindustrializzazione. Un decennio e tre anni più tardi, di quella rassegna restano operative solo le arene polifunzionali della città: oltre al PalaVela anche il PalaAlpitour, l’anno passato teatro della finale del Mondiale di volley maschile e tra due anni nuova casa del Masters di tennis. Discorso opposto nelle valli alpine, dove lo scenario diventa fosco per via degli abbandonati trampolini di Pragelato e della fatiscente pista di bob di Cesana, ormai chiusi.

Gli sprechi del passato, ma anche i litigi dentro la politica, hanno estromesso Torino dalla corsa olimpica per il 2026. La città sabauda era stata in un primo tempo considerata insieme a Milano e Cortina, con l’inserimento nel master plan dell’Oval del Lingotto per il pattinaggio velocità e del PalaAlpitour per l’hockey. Poi la marcia indietro, le polemiche e la beffa seguita al danno, dal momento che la coppia Milano-Cortina i Giochi li ha ottenuti sul serio. Torino si consolerà dal 2021 con le finali del circuito Atp di tennis e intanto si gode lo spettacolo di salti e piroette sulle lame. Già, il pattinaggio figura. Esistevano un tempo merito tecnico e impressione artistica, equipotenti ai fini del punteggio. La tecnica e la pulizia nei movimenti - i cui nomi cambiano a seconda del lato di partenza del salto sul filo della lama e della direzione di esecuzione - contavano quanto la bellezza e la soavità espresse sul ghiaccio. La rivoluzione è stata compiuta a furia di salti e ha avuto come protagoniste principalmente le adolescenti russe, meteore capaci di brillare per poche stagioni, prima di scomparire.

Venni, saltai, vinsi e poi salutai. Questo il motto di Julia Lipnitskaya, Evgenia Medvedeva o Adelina Sotnikova. L’una oro continentale e argento iridato a 15 anni, l’altra campionessa europea e mondiale a 14, l’altra ancora prima olimpionica russa della storia, a Soci 2014. In un paio d’anni hanno spostato più in là la linea della frontiera, poi hanno smesso per problemi fisici o psicologici, oppure hanno preferito lasciare la patria per fuggire dai folli ritmi di allenamento. Quelli che hanno prodotto le nuove trottole d’assalto. I salti quadrupli o il triplo Axel erano in passato appannaggio dei maschi, mentre adesso le donzelle di Mosca e dintorni li sfoggiano con disinvoltura. Fredde e poco eleganti sembrano automi programmati per saltare in alto. Chissenefrega poi dei contraccolpi legati alla tenera età. Stasera tra le sei finaliste del programma libero Seniores ci saranno quattro russe. Le quindicenni Anna Shcherbakova e Alexandra Trusova, nonché la sedicenne Alena Kostornaia, hanno vinto due prove a testa nelle sei tappe di qualificazione alla finale, durante le quali hanno stupito anche per il cambio di costume durante l’esibizione: è bastato azionare una cerniera per passare dal bianco al nero. Le prime due infarciranno l’esercizio di quadrupli, la terza sfoggerà il triplo Axel.

Tutte hanno in comune l’allenatrice. Si chiama Eteri Tutberitze, ha 45 anni ed è di origini georgiane. Alla sua scuola è cresciuta anche la quarta russa in gara oggi, la 17enne Anna Zagitova, olimpionica e iridata in carica, che al cospetto delle più giovani connazionali sembra un dinosauro, giacché il suo programma non comprende le difficoltà tecniche delle altre. Ma la possibile star del futuro potrebbe non essere russa, bensì statunitense. In stagione la californiana Alysa Liu ha proposto in sequenza quadruplo Lutz e triplo Axel: ha 14 anni, è alta un metro e 40 ed è la sola al mondo ad aver abbinato i due gesti nella stessa esibizione. A Torino ci ha riprovato ieri nel libero Juniores, senza riuscirci. Eppure il dado è tratto, di meno non si salta più. Nella guerra fredda del pattinaggio l’America risponde alla Russia, mentre la gente si chiede che fine abbiano fatto la grazia di Katarina Witt e la leggiadria di Carolina Kostner. Cimeli di un’era che non tornerà, perché come cantava Max Pezzali «il tempo passa per tutti lo sai, nessuno indietro lo riporterà, neppure noi».

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