mercoledì 4 marzo 2020
Esce in questi giorni “L’isola di Brendano”, il romanzo postumo dell’autore friulano, storia intrisa di magia che si allarga a riflessione sulla sorte del pianeta
Carlo Sgorlon

Carlo Sgorlon - Fotogramma

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«Gli uomini ritenevano il mondo «ovvio e naturale soltanto perché vi si erano trovati dentro, vi erano abituati da sempre, ma in realtà l’universo non era che un complesso sterminato di misteri». Con questa frase entriamo nei pensieri di Brendano Mac Finnegan, protagonista di L’isola di Brendano (pagine 288, 20,00), l’ultimo romanzo di Carlo Sgorlon (1930–2009) e il primo della collana di opere dello scrittore friulano che la casa editrice Mimesis ha avviato a fine 2019 (del quale anticipiamo in pagina uno stralcio).

Un riconoscimento importante per un autore che ha ottenuto in vita molti consensi di critica, ha avuto un rapporto felice col pubblico, ed è finora l’unico ad aver vinto per due volte il Campiello, oltre allo Strega. Il romanzo, ultimato poco prima della morte, è davvero «l’ultimo traguardo della poetica» espressa dall’autore, come dichiara con ammirazione la moglie, Edda Agarinis, nella Postfazione. A cominciare dal nome del protagonista e dall’attività che svolge: di origine irlandese, vissuto per anni negli Stati Uniti, Brendano si sente italiano e in Italia torna volentieri, per restarvi; architetto famoso, è chiamato a ricostruire, dopo un terremoto, un piccolo centro del Friuli in cui si sente a casa.

È una cittadina antica (di cui non si dice il nome), e l’impresa risulta ancora più difficile per la sua appartenenza a un tempo lontano, che è desiderio del sindaco e della giunta ritrovare, ridando a case e palazzi il volto di un tempo. La curiosità dei lettori è qui fortemente stimolata: si può pensare di riconoscere la cittadina natale di Sgorlon, Cassacco, ferita gravemente dal terremoto del 1976 e tenacemente ricostruita dai suoi abitanti, il luogo dove visse a lungo e da cui non si allontanò, negli ultimi anni, scegliendo come residenza Udine.

Ma ciò che ha più importanza è l’atmosfera che l’autore crea, con il passo lento della narrazione, focalizzata sul protagonista e i suoi sogni. Brendano ha un nome dalla storia singolare: il santo irlandese che lo porta, anche con la variante di Brandano, è protagonista di un famoso viaggio nell’aldilà anonimo del decimo secolo, La navigazione di san Brandano, modello letterario, sia pure remoto, della Commedia di Dante. E il nome, carico di leggenda e storia, è ancora diffuso nell’onomastica anglosassone di oggi, con le varianti Brendan, Brendon, Brenton.

Come l’Irlanda da cui il personaggio in parte proviene, anche il Friuli ha una cultura intessuta di storie fantastiche: Brendano è l’inconsapevole portavoce di due mondi lontani, ma in realtà apparentati da una vicina visione del mondo. Sgorlon è autore originale della scena italiana in questo, perché cerca nella sua e nella nostra storia più antica radici che possano portare qualche risposta alle grandi domande esistenziali, soprattutto a “chi siamo e da dove veniamo”.

La sua qualità più evidente è proprio l’amalgama riuscita di fantastico e reale, che non è realismo magico, ma piuttosto la ricostruzione di un mondo mitico profondamente radicato nel reale. Per questi aspetti, Brendano ha tratti in comune con i protagonisti di altre storie dell’autore, come il grande viaggiatore Odorico da Pordenone di Il filo di seta (1999) e la “magica” Veronica di La tredicesima notte (2001). Sgorlon è anche un precursore, perché ha esplorato già molti anni fa il grande tema dell’ecologia, del rispetto e dell’armonia con l’ambiente.

A Brendano «pareva che il pianeta avesse la febbre»: una malattia che sospetta fortemente sia causata dalle maldestre e spietate scelte dell’umanità. Essendo «geopatico», soffre a sua volta per questa sorta di influenza perenne della Terra, che non sa se abbia avuto dei precedenti in altre ere, per cause naturali. Intorno all’architetto e alla sua energia positiva, che si incanala nel desiderio di ricostruzione, si raccoglie presto una comunità di personaggi, tra cui spicca Bindo, bambino dai poteri magici, che ricrea la rete solidale del mondo contadino, legata ai ritmi naturali, così cara allo scrittore, per esempio nel celebre Il trono di legno (1973).

La grande opera dell’architetto, attraversata da interferenze e interruzioni che sono la vita stessa della cittadina (come uno strano festival musicale, parodia di Sanremo), diviene metafora degli anni Duemila, di un tempo che costringe a cambiamenti troppo veloci e snaturanti. E, soprattutto, è figura del privilegio dello scrittore, che ha la possibilità di rientrare in contatto con la linfa vitale della tradizione, creandosi come Brendano la sua “isola” in cui la vita scorre serena.

L'ANTICIPAZIONE

di Carlo Sgorlon

Antonia un po’ seguiva i discorsi di Brendano, e un po’ no, perché le pareva che l’architetto le creasse la sensazione che al di là della vita quotidiana, al di là dei sentimenti, della famiglia, della città, degli eventi di ogni giorno, si spalancasse una sorta di abisso cosmico che le provocava le vertigini. Una volta, da ragazza, con degli amici era salita in cima al Laredis. Era quella montagna che nel lato nord aveva una parete a picco di quasi settecento metri, che neanche Amos, ottimo scalatore, almeno fino a poco tempo prima, aveva osato affrontare. Ma da Sud, ossia dalla Vallorsaria, la vetta era raggiungibile lungo sentieri e tornanti nient’affatto proibitivi. Antonia era salita fin lassù, ma era stata travolta dalle vertigini prima ancora di vedere la terribile parete. Un istinto enigmatico gliene aveva fornito la nozione in anticipo.
Ecco, le vertigini provocate dai discorsi di Brendano erano di natura abbastanza simili a quelle. Era un po’ come se l’architetto la facesse salire su un’invisibile astronave, per compiere un giro immenso nel vuoto cosmico. Non sapeva bene perché, ma Brendano subiva il fascino del cielo stellato, come Amos. Forse perché in esso si davano appuntamento le infinite dimensioni dell’Essere, il Tempo, lo Spazio, il Mistero.
Ma se uno cominciava a guardare e a prendere interesse per queste cose, ciò che succedeva sulla Terra e nella storia finiva per sembrargli qualcosa di trascurabile e di insignificante…
«Infatti» disse Brendano.
«Però noi siamo creature terrestri» disse Antonia.
«Non del tutto. Veniamo non soltanto dalla Terra, ma, in certo modo, da tutto l’Universo.»
«Perché?»
«Ci sono molti motivi. Perché il carbonio, sul cui ciclo si basa la vita, viene dalle stelle. Deve averlo portato sulla Terra qualche asteroide. Sul nostro pianeta non c’era.»
«Come è possibile?»
«Il carbonio, per ragioni fisiche e chimiche, si trova soltanto sugli astri infinitamente più grandi della Terra.»
«Mi fai venire la pelle d’oca.»
«È davvero così. Noi siamo la sintesi di tutta l’evoluzione del Cosmo, e veniamo davvero dalle stelle, come più di un filosofo antico aveva intuito.»
Brendano ora era un po’ meno impegnato, ma, per sottili ragioni della psiche, non voleva riconoscerlo. Sentiva fino in fondo che il suo dovere era quello di fornire una certa sicurezza antisismica alle case. Il terremoto di tanti anni prima sarebbe potuto tornare. Lo diceva anche Plinio il Vecchio, in un punto della sua Naturalis Historia: «Dove la terra ha tremato una volta, tornerà fatalmente a tremare.» Era una frase che veniva citata molto spesso. Ma non era questa l’unica ragione del suo impegno. Ve n’era un’altra, non meno consistente. Era il suo sentimento profondo della precarietà delle cose terrene, che gli uomini facevano di tutto per alimentare, concedendosi, con una sorta di frenesia inconsapevole, tutto ciò che aumentava le ferite e gli squilibri del pianeta.
Ma, comunque stessero le cose, il suo compito era quello di dare alle abitazioni un massimo di saldezza e di sicurezza, come dovessero durare per secoli.

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