venerdì 22 dicembre 2017
Innumerevoli rappresentazioni in ogni epoca danno corpo alle poche righe del Vangelo di Matteo (ma sono invece tante negli Apocrifi) tra teologia e politica
Nicolas Poussin, “Riposo durante la fuga in Egitto”, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage (Wikicommons)

Nicolas Poussin, “Riposo durante la fuga in Egitto”, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage (Wikicommons)

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La base canonica scritturale della Fuga in Egitto è tanto esigua che la potente eco dell’arte suona quasi assordante. Questa Fuga, diventata tanto famosa, è menzionata esplicitamente solo in uno dei quattro Vangeli, quello di Matteo. E se è possibile metterla in relazione (talvolta in modo fragile, è necessario dirlo) con alcuni testi profetici dell’Antico Testamento che annunciarono tale evento, l’episodio non ebbe riscontro manifesto nel resto del Nuovo Testamento. I più recenti dizionari di patristica specificano che la Fuga in Egitto non fu oggetto di riflessione nei primi secoli cristiani. È marginale l’unico versetto del Corano che si riferirebbe all’Egitto come rifugio di Gesù e di sua madre, interpretazione dibattuta tra gli esegeti. Inoltre, è uno dei rari eventi del ciclo dell’infanzia di Cristo, salvo errori, che non è mai stato celebrato da una festa nel calendario liturgico, tranne quello della Chiesa Ortodossa Copta, tra cui figura come “le piccole feste di Cristo”. Infine, la riflessione teologica su questo episodio non sembra essere stata molto abbondante, almeno nella tradizione occidentale, e la ricerca storico-critica attuale sul tema è quanto meno discreta: Erode, infatti, era al soldo dei Romani e l’Egitto fu provincia romana dalla conquista da parte dell’imperatore Augusto nel 25 a.C. Politicamente parlando, che la Santa Famiglia abbia cercato rifugio proprio in Egitto non è scontato. Allo stesso tempo, però, in Egitto vivevano diverse comunità ebraiche fin dal VI-V secolo a.C.

D’altro canto, il numero di opere d’arte che questo episodio, che fu considerato come indubbiamente storico, ha suscitato, fu notevole. Questo si può verificare in ogni epoca e su ogni supporto immaginabile, come le miniature medievali o i gruppi scultorei dei Sacri monti italiani. Senza raggiungere le vette inaccessibili che nell’arte hanno toccato alcuni arci-soggetti come la Natività, la Madonna con il Bambino o la Crocifissione, il numero di opere dedicate alla Fuga in Egitto è davvero considerevole.

Questo successo, questa “popolarità” duratura nel corso dei secoli merita qualche parola di commento e spiegazione. Dobbiamo innanzitutto precisare che ciò che abbiamo appena detto vale solo per l’arte occidentale. Infatti, tale episodio nell’iconografia degli Orienti cristiani ha goduto fino ai secoli centrali del Medioevo di un certo peso nell’arte monumentale bizantina o bizantineggiante, soprattutto nella decorazione di chiese con mosaici (Cappella Palatina, Palermo) o affreschi ( Visoki Decani). Con il passare dei secoli tale tendenza mutò: la Fuga in Egitto non ha mai fatto parte del Dodecaorton, né del calendario liturgico ortodosso se non della Chiesa copta e non è un soggetto iconografico rappresentato nelle icone, se non accanto ad altri episodi del ciclo dell’infanzia.

Tornando all’immensa eco che questo episodio ebbe nell’arte occidentale, tre caratteristiche della Fuga in Egitto, intrecciate a tal punto che è impossibile pensare di separarle, possono contribuire a spiegare tale successo. In primis vi sono l’importanza e l’ampia diffusione dei testi apocrifi che circolano nel mondo latino su questa fase del ciclo dell’infanzia di Cristo. Questi hanno fornito abbondanti dettagli al sobrio racconto del Vangelo di Matteo, rendendolo una narrazione viva, che i pittori hanno a loro volta raccontato secondo il proprio stile. La letteratura apocrifa ha fornito i nomi di città: la più celebre è Hermopolis o Sotine, con il suo tempio con 365 idoli (Pseudo Vangelo di Matteo), ma la letteratura copta ha costruito elaborati itinerari, talvolta in contraddizione tra loro. Gli apocrifi hanno arricchito il viaggio della Santa Famiglia di accompagnatori, spesso presenti nel-l’arte, in particolare bizantina ed etiope: Salomè, la levatrice di Gesù secondo il Protovangelo di Giacomo, o “cugina della Vergine” secondo il Sinassario alessandrino e Giacomo, uno dei figli del precedente matrimonio di Giuseppe. La letteratura apocrifa abbonda poi di dettagli sul percorso ( Historia monachorum in Aegypto): gli attraversamenti del Nilo, il moltiplicarsi di miracoli, leoni e leopardi che scortano la Santa Famiglia (Pseudo Vangelo di Matteo), alberi di palme che si piegano per offrire datteri a Maria particolarmente golosa, Gesù che accelera il viaggio per evitare ai genitori di soffrire troppo il caldo del deserto e un numero infinito di guarigioni spettacolari ( Vangelo arabo-siriaco dell’infanzia).

Le fonti apocrife, abbondanti di dettagli e particolari spesso fantasiosi, permetteranno a pittori, mosaicisti, scultori di “ricamare” racconti con sfumature adattate alla committenza e al gusto dei propri clienti. È la seconda caratteristica di questo episodio che lo distingue da altri momenti della vita di Gesù: la Fuga in Egitto vanta un ricco potenziale di interpretazioni inventive che non si riscontra altrove. Il Battesimo di Cristo nel Giordano o la sua Trasfigurazione sul monte Tabor sono eventi che si svolgono in un luogo e in un momento ben definito, mentre la Fuga in Egitto è, in rapporto ad altri episodi, esteso nello spazio e nel tempo, e così povero di precisioni inconfutabili su luoghi, eventi, date, che la fantasia dei pittori ebbe libero sfogo.

Questo margine di manovra senza precedenti fu utilizzato per una serie di fini teologici o politici. Pochi passi dalla vita di Gesù, per esempio, si sono prestati come la Fuga in Egitto a una dimostrazione del rapporto conflittuale e chiaramente antitetico tra sua presenza sulla terra e quella degli idoli. Pochi momenti della sua vita furono l’occasione di un numero così abbondante di miracoli, accaduti l’uno dopo l’altro, come quello del tronco che si apre, dei datteri, del grano… per non parlare della presenza di angeli e/o angioletti che scortano la Santa Famiglia, la riconfortano e la distraggono dalle fatiche del viaggio.

La fine del Medioevo fu il periodo privilegiato del tema del Riposo durante la Fuga, accompagnato da concerti di violino e flauto dolce, palme che si inclinano e spighe di grano che crescono con straordinaria rapidità per nascondere la Santa Famiglia dai suoi persecutori. Per i pittori, soprattutto nella pittura nordica del XVI secolo, pochi episodi della vita di Gesù, come la Fuga in Egitto, furono il puro pretesto per dimostrare la loro abilità nel dipingere la natura, la vegetazione, i paesaggi, in lontananza, di notte, ma anche scorci urbani e orizzonti ben studiati. Il terzo elemento del successo duraturo di questo episodio tra i pittori, i loro committenti e i fedeli è la capacità di trasmettere un’emozione contagiosa, una risonanza umana che ha un carattere universale, sperimentato o immaginato, dell’esperienza della delocalizzazione, del cambiamento, dell’esilio, della Fuga per restare in vita. Quale popolo, quale epoca non ha avuto timore o non ha sofferto a causa di questa esperienza? La Fuga in Egitto è probabilmente, con le tentazioni di Cristo nel deserto, l’agonia di Gesù nel Getsemani, per non parlare della sua Crocifissione, uno dei momenti della vita di Cristo in cui la sua solitudine e la durezza del suo destino si sono manifestati nel modo più eloquente e drammatico. Ma fu necessario attendere il XIX secolo per vedere moltiplicarsi opere consacrate all’isolamento della Santa Famiglia, che pongono l’accento sull’angoscia provata. L’impatto di tali opere d’arte sulla sensibilità comune fu notevole perché accosta la Santa Famiglia a una quantità di altre famiglie che, senza la pretesa di essere 'sante' come Maria, Giuseppe e Gesù, possono provare a sopportare prove simili o peggiori.

Anticipiamo qui alcuni passaggi dalla conclusione del volume "La Fuga in Egitto nell'arte d'Oriente e d'Occidente" (Jaca Book, pagine 158, euro 20,00) in cui i due autori compiono una inedita ricognizione attraverso i secoli di una iconografia diffusa e ramificata.


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