giovedì 8 gennaio 2015
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​Nessuno tocchi Caino. Perché se fu il primo a esserne accecato, è anche vero che il tarlo dell’invidia, per quanto sia dura ammetterlo, è più vicino di quanto pensiamo. «In un certo senso siamo tutti invidiosi. Fa parte della struttura mentale dell’uomo», spiega Salvatore Capodieci, psichiatra e psicoterapeuta, autore di un curioso saggio su Re Salomone e il fenomeno dell’invidia (Lup, pagine 162, euro 16). Un vademecum per vederci chiaro, visto che l’invidia tende a deformare la realtà offuscandola (dal latino invidere, guardare di traverso, in senso negativo). Difatti avendo usato male i loro occhi in vita Dante per contrappasso ritrae crudamente gli invidiosi con le palpebre cucite da un filo di ferro. E il graffiante G.K.Chesterton ammoniva: «L’uomo che non è invidioso vede le rose più rosse degli altri, l’erba più verde e il sole più abbagliante, mentre l’invidioso le vive con disperazione».Professore è davvero così difficile non essere invidiosi?«L’invidia rappresenta un fenomeno diffuso che può riguardare chiunque si trovi in una situazione di confronto con altri. La sua complessità è correlata al fatto che le stesse persone invidiose non sempre ne sono consapevoli e, talvolta, sono le ultime a rendersi conto che il loro atteggiamento può essere attribuito a motivazione legate all’invidia».Ma da che cosa si riconosce l’invidioso?«L’invidia, la peggiore e la più inconfessabile delle emozioni, è molto difficile da classificare. A differenza per esempio della paura che ha specifiche reazioni, l’invidia si esprime in mille modi: rancore, rabbia, emulazione… San Tommaso la definiva “tristezza per i beni altrui”. Si può in effetti identificare con il rammarico e risentimento per la felicità e il benessere altrui, spesso con la sensazione che ciò che l’altro possiede sia immeritato. Sentendosi ingiustamente escluso da tali beni, o pretendendo di averne il godimento esclusivo, l’invidioso è spinto a soddisfare la sua brama e anche a provocare la sofferenza e la privazione dell’altro. Ma a volte una spia può essere anche l’eccessiva ammirazione per qualcuno che è una forma più addolcita di invidia. Di sicuro, l’invidioso rivela un senso di insoddisfazione cronica».Molière annotava con sarcasmo: «Gli invidiosi muoiono, l’invidia mai».«L’invidia c’è da sempre, c’era già nelle società primitive. Ma oggi prevale l’invidia dell’essere più che dell’avere. Nella modernità l’invidia dell’essere deriva dalle forme di successo sociale: potere, fascino, simpatia, prestigio sociale e massmediale, che poco hanno a che vedere con l’“avere” nel senso del possesso di oggetti o ricchezze, ma riguardano i tratti della personalità come nella relazione tra Salieri e Mozart, caratterizzata dall’invidia del primo per il successo, il talento e la stessa esistenza del secondo. L’invidia dell’essere è devastante e supera quella dell’avere che pure spesso la genera».Quali sono gli ambiti in cui si sviluppa maggiormente? «In primo luogo sul posto di lavoro. E soprattutto tra colleghi di pari grado con episodi di mobbing. Ma oggi mi capita di riscontrare numerosi casi di invidia anche tra marito e moglie, fratello e sorella o addirittura tra genitori e figli. Oggi l’invidia produce soprattutto risentimento, come quello contro le istituzioni. E il risentimento sfocia nella rivendicazione di diritti: tutto è un diritto, anche il figlio a tutti i costi. Il mio libro è nato proprio da un convegno di psicoterapeuti sugli effetti sociali dell’invidia».Ma cosa c’entra il lettino dello psicoanalista con re Salomone? «È nota la sua saggezza e celebre l’episodio del Giudizio in cui riuscì a identificare la vera madre del bimbo conteso smascherando la donna tormentata solo dall’invidia. La chiave però sta nella richiesta di Salomone a Dio: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male”. Alla base di tutte le forme di invidia c’è infatti un’insufficiente capacità di discernimento. E l’umiltà, come dimostrano le Scritture, è un valido antidoto proprio perché l’invidia offusca il giudizio con uno smisurato amore di se stessi facendo vedere il bene dell’altro come un male per sé».La Bibbia può fungere allora da vaccino? «Senz’altro. Non è un caso che dopo il peccato originario di superbia di Adamo ed Eva, compare il fratricidio di Caino invidioso di Abele. Alla madre di tutti i peccati, la superbia, che è la colpa contro Dio, corrisponde l’invidia, colpa contro il proprio fratello e contro gli uomini. E Dio appare sempre nella Bibbia come il vendicatore dei deboli e degli infelici, di coloro che le circostanze della vita spingerebbero a invidiare gli altri. Gli accorgimenti anti-invidia abbondano anche nel Nuovo Testamento dall’ammonizione di Gesù “Gli ultimi saranno i primi…” al Figliol prodigo. Per Gregorio Magno poi l’invidia non solo sconfessa il comandamento della carità ma è un vizio capitale molto prolifico: da essa scaturiscono mormorazione, detrazione, distruzione dell’altro, risentimento, gioia per la sua rovina, odio sino all’omicidio».Ci può essere però un’invidia buona… «Sì, paradossalmente può anche operare come forza motivante e stimolare la persona a migliorarsi. Per superare l’invidia occorre però accettare l’altro come persona a cui siamo legati da vincoli d’umanità, chiedendoci cosa possiamo condividere con lui e non cosa possiamo togliergli. Riconoscere le qualità e i successi degli altri aiuta anche a capire i nostri limiti».Oscar Wilde obietterebbe cinicamente: «Tutti sono capaci di condividere le sofferenze di un amico. Ci vuole, invece, un’anima veramente bella per godere del successo di un amico».«E infatti l’invidia esclude l’amicizia. Un amico è sempre capace di “rallegrarsi del bene altrui” come suggeriva san Paolo. E anzi, nella gioia dell’altro è la sua felicità. Occorre però quel discernimento interiore che chiedeva Salomone. Perché l’invidia può coglierci in qualsiasi momento e ammetterne di esserne affetti è spesso un vero tabù.
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