giovedì 27 ottobre 2011
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In Italia la Rai inizia le sue trasmissioni regolari il 3 gennaio 1954 e l’opinione pubblica, cattolica, comunista o laica che sia, fatica a cogliere tutte le implicazioni insite nel nuovo mezzo. La lezione di McLuhan e in genere dell’esperienza americana è poco conosciuta: le illusioni, talvolta perfino patetiche, dominano molti commenti anche autorevoli in seno al mondo cattolico. Sul «Vittorioso» è Ugo Sciascia a occuparsi per primo di televisione, tracciando un quadro problematico sulle difficoltà tecniche ancora da superare mentre Piero Salvatico (con grandi tavole di Caesar) annuncia che si è risolto almeno il problema di come far superare alle onde ultracorte la curvatura della superficie terrestre, ipotizzando l’uso della luna come ritrasmettitore. In realtà saranno i satelliti artificiali a svolgere questo compito, come ognuno ben sa. Ancora Sciascia, con Televisione italiana 1954 (proprio il 3 gennaio di quell’anno) diffonde una visione positiva e ottimistica del nuovo mezzo per la possibilità che offre di intrattenere con la trasmissione di spettacoli teatrali, musica sinfonica e leggera, trasmissioni speciali per i giovani e i ragazzi, attualità, telegiornale e sport. Tuttavia, tra le righe, si coglie qualche perplessità: Sciascia afferma che in America sono aumentate le vendite di pantofole e giacche da camera, mentre gli insegnanti si lamentano che i ragazzi «svolgono in fretta e furia i loro compiti per dedicarsi alla televisione». Conclude così: «Dobbiamo augurarci che un così meraviglioso strumento sia messo a servizio della cultura e del bene e non si preoccupi soltanto di divertire e di dare emozioni. Altrimenti il babbo farà orecchi da mercante quando gli direte: «Se sono promosso, mi regali il televisore?».Anche la solita bella tavola di Jacovitti del 25 settembre 1955 è ottimistica sulla tv che vede raccolta davanti a sé l’intera famiglia, con tanto di gatto, lisca di pesce e fette di salame: l’epoca dei litigi per il controllo del telecomando è di là da venire. Resta da dire delle scienze naturali, che occupano grande spazio, soprattutto con la descrizione della caccia ai grossi felini o agli altri animali selvaggi. Dalla metà degli anni Cinquanta un collaboratore di valore offre ai lettori una rubrica fissa molto gradita: «Incontri con la natura», per parlare dei più diversi aspetti della vita animale e vegetale: si tratta di Alberto Manzi, l’indimenticabile maestro del programma televisivo Non è mai troppo tardi, un servizio di autentico valore sociale per combattere l’analfabetismo degli adulti, ahimé ancora tanto diffuso nella povera Italia di allora.Lo sport è ormai presenza fissa nel «Vittorioso». L’11 febbraio 1951, per la prima volta, compare il calcio in copertina: la plastica presa volante di un portiere – accompagnata dalle foto di parate di portieri allora famosi come Cosmi, Rossetti, Vanz e Risorti – introduce un servizio in più puntate sull’argomento. Ma De Amicis disegna pure la copertina del 15 aprile seguente sullo corsa ciclistica Roma-Napoli-Roma, molto seguita anche per la sua particolarità: i corridori devono affrontare vari tratti della corsa facendosi pilotare da una moto. A questa competizione verrà dedicato ampio spazio per tutti gli anni a seguire. Il ciclismo, dunque, continua a primeggiare sul calcio e lo dimostra anche il fatto che durante il 1951 Papà Natale racconta la storia di questo sport in una lunga serie di articoli. Memorabile il Giro d’Italia del 1952 e non solo per la vittoria di Fausto Coppi, che un mese dopo fa il bis al Tour de France: nella carovana pubblicitaria viaggia anche l’auto del «Vittorioso», che contribuisce alla mobilitazione dei lettori del giornale lungo le strade della gara. Anzi, il settimanale andrà a pubblicare le fotografie dei gruppi organizzati di ragazzi che più hanno meritato con le loro coreografie: nella Giuria, oltre a Papà Natale, stanno Vaccari, direttore della carovana pubblicitaria, e don Bedeschi, «il prete del Giro», allora giornalista e poi indimenticato storico. Per la verità, «Il Vittorioso» si sforza di uscire dal duello calcio-ciclismo, tanto che il 10 dicembre 1950 lancia una Storia dell’Alpinismo a puntate che, pur raccontando le grandi imprese del passato, riprende esplicitamente il messaggio che da decenni la Chiesa intende affidare alla montagna, dove la faticosa ascesa verso le vette è icona dell’ancor più impegnativa ascesa spirituale. La copertina di quel numero – tanto per cambiare è Caesar a disegnarla – spiega infatti che «Gli eroi della montagna sono come gli eroi delle più belle avventure: forti, fieri, leali e generosi» e augura ai lettori di saper «salire in alto, incontro al cielo, nella montagna e nella vita».
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