sabato 7 dicembre 2013
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«Saremo una squadra di diavoli. I nostri colori saranno il rosso come il fuoco e il nero come la paura che incuteremo agli avversari». Sono passati 114 anni da quando dal tavolo di una fiaschetteria di Via Berchet a Milano, Herbert Kilpin urlava questo slogan fondando il Milan Cricket and Football Club, l’odierno A.C. Milan. E inventando quella maglia nero-rossa che avrebbe portato a Milano i colori dei mattoni e delle travi di legno delle case di Nottingham dove nacque 143 anni fa.Per la prima volta la sua storia è contenuta nel libro intitolato The Lord of Milan, “Il signore del Milan”, firmato dall’avvocato Robert Nieri e in attesa di pubblicazione. Di origini italiane, con una nonna di Pordenone e un nonno di Bagni di Lucca e, come Kilpin, grande appassionato di calcio e dell’Italia, l’avvocato Nieri, 44 anni, ha dedicato a questo volume ogni minuto del suo tempo libero degli ultimi sette anni e ha cominciato da qualche giorno a twittare sotto lo pseudonimo Lord of Milan.«Il mio eroe era un perito tessile. Arrivò in Italia nel 1891, a 21 anni, invitato dall’industriale tessile Eduardo Bosio, che voleva introdurre nel vostro paese i primi telai meccanici insieme al pallone», spiega Robert Nieri. «Nel fondatore di quella che il 16 dicembre 1899 sarebbe diventata l’Associazione Calcio Milan trovò un giocatore e un allenatore di dedizione straordinaria». Anche troppo. «Prima di te viene il calcio», Kilpin disse nel 1905 alla moglie, italiana di Lodi, prima di sposarla e, alle parole, seguirono subito i fatti. Kilpin la abbandonò, la sera del matrimonio, per andare a giocare a Genova, in una squadra italiana, contro i Grasshoppers di Zurigo. «A Kilpin non sarebbe piaciuto il mondo del football di oggi perchè i giocatori sono lontanissimi dalla gente, miti impossibili da raggiungere. Contano soltanto i soldi. Herbert Kilpin invece ha sempre giocato gratis, per amore del pallone. Era un uomo semplice che non si è mai considerato una star. Pensava che la sua missione fosse insegnare il calcio ai bambini italiani e non volle mai un soldo per questo...». Questo inglese robusto, dai lunghi baffi marroni ha cominciato a giocare sui campi della zona di Forest a Nottingham, che dà il nome alla squadra Nottingham Forest, per i Garibaldi Reds. «Sembra assurdo, ma Kilpin non era abbastanza bravo da giocare in una squadra in Inghilterra, dove questo sport si era già consolidato. Là non era tra i giocatori migliori mentre in Italia, fu considerato subito un campione, capace di insegnare la tattica agli altri», continua Nieri.Fu proprio Kilpin a cominciare ad allenarsi prima delle partite, un’abitudine nuova per i giocatori di quel tempo. I suoi vicini di via Settala a Milano, dove abitava, trovavano davvero strano vedere quell’omone che faceva il giro dell’isolato correndo soltanto per mantenersi in forma. Nè Kilpin rinunciò mai a quel bicchierino di whisky che beveva, come disse lui stesso, «prima delle partite per caricarmi, durante l’intervallo per rilassarmi, quando facciamo un gol per festeggiare e quando perdiamo per dimenticare».Fumatore accanito, morì a soli 46 anni, non si sa se per cirrosi al fegato o per cancro ai polmoni, spiega Robert Nieri. L’autore di The Lord of Milan vorrebbe che Nottingham desse finalmente a questo suo figlio regalato all’Italia la fama che si merita. «È stato Luigi La Rocca, storico del Milan, insieme a Stefano Pozzani, a guidare in Italia la riscoperta di Kilpin e a volere che i suoi resti avessero degna sepoltura nel cimitero Monumentale di Milano. I tifosi che curano il sito "Magliarossonera.it" sono orgogliosi di questo giocatore gentleman e hanno stampato il suo nome sulle magliette che vendono fuori dagli stadi. Purtroppo invece a Nottingham quasi nessuno sa chi è Kilpin», dice ancora Robert Nieri.«Vorrei far mettere una targa sulla casa dove è nato e organizzare un campionato tra le scuole dell’area "Forest", dove il fondatore del Milan ha cominciato a giocare. Si tratta di una zona povera della città ed è importante che i bambini di queste famiglie possano vedere in lui, che non era istruito, non era ricco, ma aveva deciso di seguire fino in fondo i suoi sogni, un modello positivo da imitare», conclude l’autore di The Lord of Milan.
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