giovedì 24 agosto 2023
Al via in Asia la rassegna iridata: dalla passione dei filippini alla favola di Capo Verde fino alla voglia di rivalsa degli azzurri in un torneo sempre stregato
Un pallone da basket gigante a Pasay nelle Filippine, una delle sedi del Mondiale

Un pallone da basket gigante a Pasay nelle Filippine, una delle sedi del Mondiale - Reuters

COMMENTA E CONDIVIDI

Tutto cominciò una sera d’inverno del 1891, negli Stati Uniti, allo Springfield College. Il professore di educazione fisica James Naismith inchiodò in alto alle due estremità dell’aula magna due ceste di vimini di quelle per la frutta. Chi riusciva a lanciarvi più volte dentro la palla avrebbe vinto la partita. Vedeva lontano, il “papà del basket”, ma forse nemmeno lui poteva immaginare che quello “strano” gioco (serviva la scala per andare a riprendere il pallone) un giorno riuscisse a conquistare tutti i continenti. Torna il Mondiale di basket (appuntamento quadriennale) e per la seconda volta dopo “Cina 2019” saranno ben 32 le nazionali a giocarsi il titolo nella rassegna al via tra Filippine, Indonesia, e Giappone (dal 25 agosto al 10 settembre). Otto gironi, le prime due di ogni raggruppamento si sfideranno in una seconda fase ancora a gironi prima dei quarti a eliminazione diretta. Quindici giorni di partite per conoscere chi alzerà il Trofeo Naismith, con la Spagna di Sergio Scariolo, campione in carica. Un mondo nel pallone, quello a spicchi, per una passione senza confini: il basket secondo la classifica stilata da Tifosy nel 2022 è al terzo posto degli sport più seguiti con circa 2,2 miliardi di fan, dietro soltanto a calcio (3,5) e cricket (2,5).

Sul parquet ci sono Paesi insospettabili per chi pensa che a pallacanestro si giochi solo in America o in Europa. A cominciare dalle stesse Filippine, una delle sedi della Fiba World Cup 2023: la nazione più popolosa al mondo nella quale il basket è lo sport nazionale. Anche a dispetto dell’altezza media dei suoi abitanti (circa 163 centimetri). E che dire dell’Africa presente al Mondiale con almeno un paio di favole da raccontare. Il Sud Sudan ha compiuto una vera impresa. Stato indipendente solo dal 2011, è considerato il paese più povero sulla faccia della Terra. Dilaniato dalla guerra civile, senza un palazzetto per giocare, la squadra ha centrato una qualificazione storica grazie alla spinta del presidente della federazione e all’occorrenza anche coach come l’ex stella Nba Luol Deng. Un generoso come la leggenda sudanese, l’indimenticato Manute Bol. Deng ha pagato di tasca sua anche le trasferte ai giocatori della Nazionale. Non meno incredibile è la prima volta di Capo Verde, la più piccola nazione di sempre al torneo iridato: 4033 km² di estensione e poco più di 500 mila abitanti. Dopo la qualificazione la federazione ha organizzato un tour negli Stati Uniti per raccogliere i fondi necessari a finanziare la spedizione mondiale.

Chi invece non ci sarà è l’Argentina finalista della scorsa edizione: la Selección sembra aver imboccato un tunnel clamoroso visto che ha appena “bucato” anche la qualificazione olimpica a Parigi. Eppure i sudamericani sono stati i primi a ospitare e vincere il Mondiale nel lontano 1950. In finale batterono i maestri statunitensi che in verità questa competizione l’hanno sempre snobbata. Quella volta in Argentina mandarono addirittura una formazione amatoriale composta per lo più dagli operai della Chevrolet di Denver. Un trend invertito in parte solo dall’inizio degli anni Novanta, ma non è un caso se gli Usa non sono gli unici a detenere il primato di 5 titoli mondiali. Può vantarne altrettanti anche la ex Jugoslavia in un albo d’oro in cui al terzo posto figura l’ex Unione Sovietica a testimonianza di un torneo che ha vissuto la storia del secolo scorso. E tuttavia la Nazionale a stelle e strisce si presenta a quest’edizione da favorita (dopo il deludente 7° posto del 2019) sebbene si affidi non a Steph Curry o altre star, ma a un gruppo di giovani talentuosi, tra i quali Paolo Banchero, americano con origini e passaporto italiano che alla fine ha deluso chi contava di vederlo in azzurro. Stati Uniti in prima fila anche perché sarà un Mondiale con pochi big . Da Jokic (Serbia) ad Antetokounmpo (Grecia), da Sabonis (Lituania) a Porzingis (Lettonia) è davvero lunga la lista dei forfait illustri In campo solo due dei dieci migliori marcatori della stagione 2022-23 del grande basket Usa, lo sloveno Doncic e il canadese Shai Gilgeous-Alexanderm. Nazionali pronte a dire la loro insieme con Francia, Australia e i campioni spagnoli.

E l’Italia? Non abbiamo mai avuto tanto feeling con questo torneo: il miglior risultato rimangono i due quarti posti del 1970 e del 1978. Ma la squadra dell’istrionico ct Pozzecco è reduce dal buon Europeo dello scorso anno e si presenta al via da imbattuta nelle amichevoli di preparazione (7 su 7). Il girone è alla portata: domani (alle 10 diretta Tv su Rai 2) il debutto con l’Angola. Poi domenica e martedì le sfide contro Repubblica Dominicana e Filippine. Il sogno è di salire finalmente sul podio in un Mondiale che guarda sempre più ad Est: la prossima edizione nel 2027 si svolgerà in Qatar e sarà la terza rassegna consecutiva nel continente asiatico. Come nel calcio, continua l’operazione di sportswashing dei Paesi arabi. E lo sceicco quatariota Saud Ali Al-Thani è appena diventato il nuovo presidente della Federazione internazionale di basket (Fiba). Ma i soldi, anche tanti, potranno forse ripulire l’immagine di Stati ostili ai diritti umani ma non rubare l’anima di uno sport che come direbbe Bill Russell è «l’unico che tende al cielo. Per questo il basket è una rivoluzione per chi è abituato a guardare sempre a terra».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: