giovedì 24 marzo 2022
A Ca' Scarpa 40 carte geografiche dal XI al XII secolo. Il geografo Massimo Rossi: «Ognuna è una immagine del mondo corrispondente a un diverso punto di vista. La mappa perfetta non esiste»
Abraham Ortelius, “Typus orbis terrarum”, dal Theatrum orbis terrarum, Anversa 1570

Abraham Ortelius, “Typus orbis terrarum”, dal Theatrum orbis terrarum, Anversa 1570 - Fondazione Benetton

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Ci si può perdere tra tutte le mappe raccolte a Treviso nella mostra Mind the map! Disegnare il mondo dall’XI al XXI secolo, promossa dalla Fondazione Benetton. Dieci secoli non solo di carte geografiche, mappamondi e carte nautiche, ma soprattutto di trasformazioni del modo di pensare, conoscere, sognare il mondo. «Che diciamolo subito, per sfatare una leggenda nata in Nord America alla fine dell’Ottocento: nessuno fin dall’antichità si è mai sognato che la Terra fosse piatta», commenta Massimo Rossi, curatore della mostra. Geografo storico, Rossi è coordinatore dell’area di ricerca studi geografici della Fondazione Benetton Studi e Ricerche e anche autore della bella monografia che accompagna l’esposizione (Antiga Edizioni). La mostra fa parte di un trittico con due mostre di arte contemporanea promosse dalla Fondazione Imago Mundi e un ciclo di concerti ( Mind the Music!).

Presso Ca’ Scarpa fino al 29 maggio sono presentate una quarantina di riproduzioni digitali di mappe, accompagnate da nove fra dipinti, arazzi e tappeti a tema geografico del XX e del XXI secolo della collezione di Luciano Benetton. «È una mostra impossibile da fare con gli originali – spiega Rossi – perché queste mappe vengono da tutte le parti del mondo e sono fragilissime. Abbiamo però girato la cosa a nostro favore sfruttando le potenzialità delle copie digitali ad alta risoluzione, concesse dalle biblioteche europee, nord americane e giapponesi, felici di partecipare a questa impresa. Gli ingrandimenti consentono letture con una chiarezza impossibile nell’originale».

Una mappa mundi è un’opera di sintesi intellettuale e insieme fantastica. Noi non conosciamo davvero il mondo: ne abbiamo un’immagine. «E a quell’immagine crediamo con un atto di fede» osserva Rossi. Il problema è farne un idolo. Credere a qualcosa di arbitrario come i confini come a una verità metafisica è all’origine dei disastri della storia, anche quella attuale. Ma il concetto di limite è alla base della storia delle mappe. «Nella prima sezione della mostra cerchiamo di spiegare che cosa significasse il limite, tanto mentale quanto fisico, enucleato nel concetto del “Non plus ultra”.

E uno dei primi limiti percepiti è forse quello delle zone climatiche». Lo evidenzia bene lo Schema di Macrobio, del XII secolo. Una circonferenza («il modo più semplice per suggerire la sfericità della Terra») divisa in fasce speculari nelle quali si legge frigida, temperata, perusta (torrida) inhabitabilis. Tutte le terre – Europa, Africa, Asia – sono in solo emisfero. L’altro è disabitato: impossibile abitare agli antipodi.

Tabula Peutingeriana (copia del XII-XIII secolo di un'antica carta romana che mostra le vie stradali dell'Impero romano) particolare di Roma

Tabula Peutingeriana (copia del XII-XIII secolo di un'antica carta romana che mostra le vie stradali dell'Impero romano) particolare di Roma - Fondazione Benetton

La religione nel Medioevo è una delle dimensioni principali della mappa. «Le mappe inscrivono il mondo in Dio, come un corpo mistico. Dall’altra erano una pista per peregrinationes in stabilitate: pellegrinaggi da fermo». Gerusalemme è al centro. E c’è posto anche per l’Eden. Nella Mappa mundi di Hereford, del 1290-1300, «il paradiso terrestre è circondato da un muro di fuoco, e vi troviamo Adamo ed Eva. Ma ci sono anche le storie del romanzo di Alessandro Magno, con le porte di ferro da lui costruite per rinchiudere i mostri dell’Apocalisse. Allo stesso tempo il Mediterraneo è ben delineato. La mappa è un inventario del mondo e una enciclopedia dello scibile umano. Ai margini si trova il diverso, i mostri che esemplificano l’intransitabilità verso l’incognito».

In queste mappe si assiste a un gioco complicato: da una parte registrare quanto è effettivamente conosciuto e dall’altra parte ottemperare a quanto è ritenuto vero, per tradizione antica e teologia cristiana. Mano a mano che le conoscenze si ampliano lo spazio occupato da quello che noi oggi riteniamo fantastico si assottiglia, fino all’espulsione dell’Eden. In un certo senso le mappe sono anche un sismografo del disincanto.

Una grande svolta arriva quando nel 1397 Manuele Crisolora giunge a Firenze da Costantinopoli per insegnare agli umanisti il greco, portando con sé la Geographia di Tolomeo. «In Occidente si introduce un metodo scientifico per costruire e aggiornare le carte: una griglia di meridiani e paralleli e istruzioni per riprodurre il globo su una superficie piatta. La natura filosofico-teologica della mappa entra in crisi». Non è un tipo di evoluzione tecnica ma di contesto. Carte “scientifiche” esistevano già e da secoli: erano quelle nautiche, territorialmente ristrette e di grande precisione. Ai mercanti la teologia serviva ben poco, ma i tempi di percorrenza di una rotta o i costi di trasporto sì.

'Kangnido', metà secolo XVI, tempio buddista Honkōji di Shimabara, Giappone. La mappa è una rappresentazione della Cina e della penisola coreana

"Kangnido", metà secolo XVI, tempio buddista Honkōji di Shimabara, Giappone. La mappa è una rappresentazione della Cina e della penisola coreana - Fondazione Benetton

I mercanti sono tra i principali vettori di trasformazione delle carte. Nelle mappe degli arabi, che conoscevano già Tolomeo, al centro c’è la Mecca. Ma è grazie all’esperienza commerciale che il mappamondo di al-Idrisi, su commissione di Ruggero II, a metà XII secolo mostra di conoscere che l’Africa è circumnavigabile. Le mappe raccontano sempre un punto di vista. In una carta del 1402 realizzata in Corea con informazioni cinesi l’Europa diventa periferia, ma non è un oggetto denso di attrattive misteriose. Il concetto di limite è diverso. «La Cina si autorappresenta in modo centripeto. Ciò che sta al di fuori non le importa. Nelle didascalie i radicali dei nomi delle popolazioni tributarie presentano tratti animali. È un mondo stabile, quasi immobile. Sono gli altri eventualmente cercare rapporti».

Nelle carte occidentali invece le aree remote dell’Oceano indiano e dell’Oriente sono immaginate come un luogo di spezie e di profumi, di rubini e di smeraldi. «Le cartografie sono dense di narrazioni, storie, aneddoti. Solo verso la fine del ’700 cominciano a diventare sterili. Prima hanno sempre avuto bisogno di inserire immagini e iscrizioni». L’Atlas catalan dell’ebreo maiorchino Elisha ben Abraham (1375) sembra un tabellone di cantastorie. Si vedono una carovana partita dall’impero “di Soria” per il “Catayo” e i re Magi, l’arca di Noè e il prete Gianni. «Di queste carte maiorchine – osserva Rossi – era curiosissimo il casato estense ed è probabile che le abbia viste Ludovico Ariosto».

“Atlas catalan”, Parigi 1375, particolare dei Re Magi al seguito della stella cometa

“Atlas catalan”, Parigi 1375, particolare dei Re Magi al seguito della stella cometa - Fondazione Benetton

Ma siamo ormai in un mondo che freme per rompere i limiti. Venezia esplora a Oriente e Fra Mauro registra in tempo reale le scoperte ma anche i mutamenti geopolitici: i mostri sono scomparsi. Colombo passa l’Atlantico. Vasco da Gama circumnaviga l’Africa. “Plus ultra” diventa il motto di Carlo V. La fine del limite è esemplificato dalla carta di Enrico Martello dove l’Africa spacca la cornice. «Le carte rincorrono un mondo in continua rapida metamorfosi. La toponomastica è liquida. La proiezione conica adottata da Tolomeo si rivela insufficiente a contenere i nuovi territori. I cartografi devono elaborare nuovi modelli e le carte diventano oggetti protetti dal segreto: il duca di Ferrara pagherà 10 ducati d’oro per otternerne una da Lisbona».

Nel 1566 Abramo Ortelio ad Anversa pubblica a stampa il Theatrum Orbis Terrarum., un atlante che ebbe grande successo (Matteo Ricci ne avrebbe portato una copia in Cina) e che si apre con una visione del globo circondato da nuvole. «È una sua invenzione. Ci mette nella condizione dello sguardo di Dio sul mondo. Sono gli anni in cui le Fiandre sono insanguinate da guerre di religione. Abramo riprende Cicerone: a chi osserva dall’eternità le cose umane appaiono piccole e folli. Elabora così non solo un’opera geografica ma una riflessione morale attraverso la geografia».

Matteo Ricci, 'Kūnyú Wànguó Quàntú', (Mappa dei diecimila paesi del mondo), 1602, Sendai, Giappone. Il mappamondo realizzato dal gesuita italiano si basa su quello di Ortelio ma sposta l'asse a oriente.

Matteo Ricci, "Kūnyú Wànguó Quàntú", (Mappa dei diecimila paesi del mondo), 1602, Sendai, Giappone. Il mappamondo realizzato dal gesuita italiano si basa su quello di Ortelio ma sposta l'asse a oriente. - Fondazione Benetton

Negli stessi anni Mercatore pubblica la sua carta. Il suo metodo di proiezione è stato accusato di eurocentrismo, qualcosa di assente (e neppure concepibile) nell’autore: «Il suo era uno strumento pensato per aiutare i marinai. È molto preciso nelle aree mediane, quelle interessate alla navigazione, mentre le distorsioni aumentano andando verso i poli». Distorsioni a cui nel 1973 avrebbe cercato di rispondere, su base etica, Arno Peters con una mappa equivalente, più prossima all’esistente. Eppure tutti i giorni usiamo ancora Mercatore. È infatti la proiezione su cui si basa Google Earth. «Per un motivo molto semplice: le aree mediane sono ancora quelle più popolate e in queste zone la sua capacità di mantenere angoli costanti lo rende ideale per i navigatori satellitari».


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