domenica 22 giugno 2025
Sul social YouTube è disponibile “1.14 An Alberto Tomba Story”, il docufilm prodotto da Napapijri dedicato al campione bolognese, che è stato capace di spostare gli italiani dal calcio allo sci
Alberto Tomba, vincitore di due medaglie d'oro a Calgary '88

Alberto Tomba, vincitore di due medaglie d'oro a Calgary '88 - Napapijri/Retouch

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C’è un momento, nel docufilm prodotto da Napapijri e visibile su YouTube, intitolato 1.14 An Alberto Tomba Story, in cui l’ex sciatore sembra guardare il suo riflesso nel vetro mentre alle sue spalle scorrono immagini di trent’anni fa. Il taglio della luce è cinematografico, ma il peso simbolico è tutto reale: Tomba guarda Tomba. O forse: Tomba guarda noi, spettatori di una memoria che non è solo sportiva, ma collettiva, culturale, esistenziale. Un corpo lanciato giù dai pendii che ha accelerato l’Italia verso la modernità. Perché Tomba non è stato solo un campione. È stato una discontinuità. Un’anomalia spettacolare nel paesaggio sportivo italiano degli anni Ottanta e Novanta, ancora dominato dalla monocultura calcistica e dal tono paternalista della retorica azzurra. Il film – ben costruito, asciutto ma coinvolgente – racconta la parabola dell’uomo e dell’atleta, senza enfasi ma con partecipazione. Le immagini d’archivio convivono con i silenzi di oggi, con la postura più pacificata dell’Alberto che, a 58 anni, appare ancora molto atletico e scolpito, ma più riservato, quasi stanco della leggenda che l’ha trasformato in una maschera nazionale.

Eppure proprio quella maschera lo renderà protagonista di un ritorno alle origini. Con le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026, Tomba tornerà nel cuore della narrazione olimpica italiana, come ambasciatore o simbolo. Un gesto che ha qualcosa di nietzschiano: un eterno ritorno non della stessa immagine, ma del mito che si riconcilia con se stesso. L’eroe che torna al tempio, non più con la giovinezza del vincente, ma con la consapevolezza di ciò che ha significato per un intero Paese. Perché il rapporto di Tomba con i media – e il docufilm lo sottolinea senza eccessi – è sempre stato contraddittorio. Da un lato, ne ha costruito la popolarità: le telecamere accese negli spogliatoi, i microfoni che seguivano i suoi colpi di genio e i suoi eccessi. Dall’altro, Tomba ha spesso mal sopportato l’invadenza, la riduzione del gesto atletico a spettacolo da varietà. Ma oggi – sembra suggerire il film – senza quel clamore, il personaggio non sarebbe diventato leggenda. E che, in fondo, nessuno vuole essere dimenticato. Neanche chi ha cercato, per anni, un’esistenza più riservata.

Il vero nodo simbolico però non è (solo) Tomba. È ciò che Tomba ha rappresentato per una generazione. E ciò che rappresenta ancora oggi in una fase storica in cui la retorica sportiva si è spenta nella nostalgia. Tomba ha aperto un’altra traiettoria: ha reso sexy lo sci, moderno il gesto tecnico, internazionale la figura dell’atleta italiano. Se oggi un ragazzo di 20 anni tifa Jannik Sinner e non conosce Paolo Rossi, è anche perché Tomba ha traghettato l’epica sportiva fuori dai confini del pallone. La sua fisicità, la sua teatralità, il suo carisma istintivo – tutto lo rendeva più simile a una rockstar che a un atleta di scuola militare. Non a caso, le nuove generazioni si sono formate con modelli alternativi. Non con il solo calcio o la politica: ma con lo sport tutto e il rock. Con Kurt Cobain dei Nirvana, con Sampras o con la neve domata da Tomba. In un mondo che perdeva le grandi ideologie, i nuovi simboli si annidavano nei corpi atletici e nelle chitarre elettriche. E i ricordi non si legano più a un festival o a un comizio, ma alla prima manche, per esempio, fatta da Tomba in slalom gigante alle Olimpiadi di Calgary ‘88, dove vinse due ori, in cui diede agli avversari un distacco di 1.14”, che poi è il senso del film.

La scelta di raccontare Tomba (la proiezione si è tenuta nei giorni scorsi nel capoluogo lombardo, al Cinemino, in occasione del Milano Film Fest) è radicata nella storia di storia di Napapijri: nel 1987, mentre l’azienda nasceva, in Valle d’Aosta, “Albertone nazionale” conquistava la prima vittoria in Coppa del Mondo a Sestriere, inaugurando una carriera leggendaria. Il docufilm – sobrio, elegante, quasi elegiaco – capisce tutto questo. Mostra l’uomo che ha perso l’adrenalina della gara ma conserva intatto il fuoco della disciplina. Che oggi gira per le scuole, parla con i ragazzi, lancia messaggi positivi, ma che, nel suo sguardo, lascia intravedere una nostalgia che non è malinconia, ma consapevolezza: quella che la vita delle persone comuni è raccontata – spesso – proprio dai gesti degli sportivi. Alberto Tomba è stato un campione. Ma è stato anche una forma di racconto. Un corpo narrante. Uno slalom nella Storia. E oggi, mentre l’Italia si prepara a nuove Olimpiadi, il suo nome risuona come una eco primordiale: l’inizio di una mitologia alternativa, moderna, cosmopolita. Non più solo azzurra. Ma profondamente italiana.

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