martedì 8 novembre 2022
La pubblicità dà il suo avvento come imminente ed è partita la guerra commerciale sul web, ma le reti non sono abbastanza potenti da riprodurre la vita reale online: il libro di Matthew Ball
Un ragazzo indossa un visore per la realtà virtuale

Un ragazzo indossa un visore per la realtà virtuale - Unsplash

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Molti di noi avranno visto, su alcuni quotidiani nazionali, varie inserzioni pubblicitarie che promuovono il metaverso. Parlano di simulazioni soprattutto in ambito educativo e per scopi medici. Ci saranno classi virtuali in cui gli studenti faranno esperienze che è difficile e costoso fare nel quotidiano. Potranno essere addestrati medici senza coinvolgere (e far rischiare) pazienti in carne ed ossa. Ma tutto questo oggi è davvero possibile? Oppure quando lo sarà? Che cos’è, anzitutto, il metaverso? E perché mai bisogna pubblicizzarlo? Ci aiuta a rispondere a queste domande un libro di Mattew Ball (già responsabile di Amazon Studios e ora partner di Makers Fund, un fondo d’investimento dedicato ai videogiochi) appena pubblicato da Garzanti nella traduzione di Giuliana Mancuso: Metaverso. Cosa significa, chi lo controllerà, e perché sta rivoluzionando le nostre vite (pagine 456, euro 20,00). Si tratta di un libro che, più di altri, aiuta a fare chiarezza su ciò che probabilmente ci aspetta nei prossimi anni. Dico “probabilmente” perché il futuro nessuno è in grado di prevederlo. Ma alcune tendenze possono già essere individuate. Riguardo al metaverso la prima cosa è capire di che cosa si tratta. La parola è stata coniata da Neal Stephenson nel romanzo Snow Crash (1992). Lì il termine significava un mondo virtuale persistente nel tempo e capace di coinvolgere ogni aspetto dell’esperienza umana. In seguito la possibilità di creare e di vivere tale mondo si è sempre più realizzata grazie a certi videogiochi e a Second Life (2003), la piattaforma che offre a un nostro doppio, un “avatar”, la possibilità di condurre una “seconda vita” in parallelo a quella consueta. La parola ha finito dunque per indicare tutto ciò che è al di là (“meta”) dell’unico universo finora conosciuto, e che è in grado di riprodurlo in tutta la sua complessità e, magari, d’implementarlo. Non si tratta tanto di una realtà che viene aumentata grazie all’uso delle tecnologie, quanto di un ambiente che ha di per sé un’autonomia, una capacità di coinvolgere, una verosimiglianza rispetto alla vita quotidiana, e che offre opportunità che in questa vita non ci sono. Per questo non solo si affianca, ma può sostituirsi a essa. Stando alle strategie di molte companies interessate a ciò che la nuova dimensione può comportare in termini di business (di cui ho parlato su “Avvenire” del 9 settembre) e di varie pratiche commerciali che iniziano a diffondersi anche in Italia (come le aste degli Nft, quegli oggetti che possono essere posseduti e fruiti solo sul web e che, ciò nonostante, vanno a ruba), sembra che il passaggio al metaverso di molte nostre attività sia imminente. Questo ci dicono, questo vogliono promuovere le pubblicità di cui parlavo all’inizio. E perciò è in corso una sorta di guerra tra le più importanti società che operano nel web, ai fini della sua occupazione e del suo controllo. In realtà le cose non sono così semplici. Infatti che cos’è, davvero, il metaverso? Ball lo definisce «una rete di massima scalabilità e interoperabile di mondi virtuali 3D renderizzati in tempo reale, che possono essere vissuti in modo sincrono e persistente da un numero effettivamente illimitato di utenti con un senso individuale di presenza al loro interno, e che garantiscono la continuità dei dati relativi a identità, storia, diritti, oggetti, comunicazioni e pagamenti». È una definizione complessa, che però ha il pregio di mettere in evidenza tutti gli aspetti del fenomeno. Si tratta di un ambiente virtuale, parallelo e autonomo, che dev’essere fruibile da un numero illimitato di utenti, e che deve possedere una sua continuità e persistenza. In esso questi utenti debbono sentirsi a casa. Il metaverso dev’essere perciò verosimile e attrattivo: come e più del mondo reale. Qui sta il principale problema (che è quello in cui incorre anche Second Life). Oggi la potenza delle reti nel trasmettere i dati non è ancora sufficiente per ottenere una completa e perfetta riproduzione di ciò che sperimentiamo nel mondo reale. Nello specifico, non è possibile oggi renderizzare un mondo condiviso, cioè generare un ambiente o una serie di oggetti in 3D usando un programma per computer. Non è possibile generarli in tempo reale e senza limitazioni per quanto riguarda le immagini riprodotte: ci vorrebbe un’enorme capacità di calcolo e di energia. Altri problemi sorgono poi, passando da un mondo virtuale a un altro, riguardo al mantenimento della nostra identità e di ciò che abbiamo acquisito nell’ambiente precedente. Perciò Ball afferma che, allo stato attuale, «siamo ben lontani dal riuscire a replicare la densità e flessibilità del “mondo reale”. Ed è probabile che lo saremo ancora per qualche tempo». Prima o poi, tuttavia, sembra che ci potremo arrivare. Nell’attesa possiamo fare qualcosa d’importante. Quando si sono diffusi i Social Network abbiamo semplicemente subito le conseguenze del loro impatto sulle nostre vite: in termini ad esempio di polarizzazione delle opinioni e di confusione tra online e offline. Ora possiamo renderci conto in anticipo di ciò che ci aspetta e cercare, per quanto possibile, di governarne gli esiti. A patto però di non abbandonarci acriticamente a ciò che gli sviluppi tecnologici sono in grado di offrire. A patto di non credere a pubblicità per certi aspetti esagerate. Ancora una volta le tecnologie offrono opportunità. Sta a noi coglierle nel modo giusto.

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