venerdì 2 agosto 2019
Nato nel 1819, santificato nel 1962, Antonio Maria Pucci fu parroco per 48 anni nella città toscana. Quando morì perfino il Comune “progressista” gli rese omaggio: ecco atti e testimonianze
Antonio Maria Pucci, il Curatino di Viareggio
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«Stamani su “Avvenire” parlavo del ragioniere beneventano Andrea Compatangelo e del “suo” battaglione privato… »: con questo post dello scorso 3 aprile la vita sembra essersi fermata su Facebook e il povero Nazareno Giusti ancora annuncia il suo ultimo articolo pubblicato su “Avvenire”, con una gioia che tradisce quanta passione mettesse nei pezzi che scriveva e quanto amore riservasse al nostro giornale. Poi, misteriosamente, ha deciso di lasciarci, a trent’anni nemmeno compiuti, creando un vuoto enorme nella sua famiglia, nei suoi colleghi poliziotti, e in tutti quelli – tanti – che gli hanno voluto bene. Fumettista, scrittore, giornalista, agente in servizio al reparto mobile di Firenze, ma soprattutto persona buona, gentile e appassionata, Nazareno. Questo ultimo articolo, dedicato alla splendida figura del curatino di Viareggio – che aveva già pronto, e che oggi pubblichiamo postumo – dice tanto di lui: capace di appassionarsi alle figure belle, e desideroso di raccontarle con quanti più dettagli possibile per portarle alla conoscenza di tutti. Gioirà anche stavolta da lassù vedendo il suo nome per l’ultima volta su “Avvenire”. Per chi gli ha voluto bene, invece, resta la consolazione della preghiera, con una immagine fissa nella memoria: quella chiesetta stracolma ai suoi funerali, a Pian di Coreglia, nelle colline lucchesi, e quel dipinto del Nazareno – suo omonimo – realizzato proprio da lui, con le braccia aperte che lo accoglie. (Angelo Picariello)

A Viareggio, dove visse e operò per quasi mezzo secolo, per tutti era il “Curatino”. Molti non sapevano o non ricordavano né il nome né il cognome. Ma quando arrivava al molo, nelle vie popolari o nelle case povere, nel vedere apparire la sua figura fragile, era tutto un vociare: «Ecco il Curatino, ecco il Curatino». Bastava quell’appellativo per capirsi. E, anche se è salito all’onore degli altari nel 1962, ancora oggi Antonio Maria Pucci (Eustachio il nome da secolare) per tutti è il Curatino. E gli vogliono ancora bene. Perché? Per capirlo basta leggere il verbale del consiglio comunale riunitosi in occasione della morte di Pucci avvenuta il 12 gennaio 1892. È un documento eccezionale perché si tratta di un consiglio progressista, composto per lo più da persone non certo vicine agli ambienti ecclesiastici ma che testimonia i meriti del «signor Eustachio Pucci». Si legge nell’atto: «Prescindendo dal carattere di sacerdote cattolico, il padre Pucci, come uomo, fu benemerito del Paese in quantoché la di lui vita fu un apostolato continuo ed infaticabile di umanità e di beneficenza. Ancora giovane, nel 1854-1855, si prestava alla cura dei colpiti del morbo collerico; egli fu sempre presente là dove era un dolore da lenire, una vertenza e un giudizio da comporre. Mai occupandosi di politica, ne lasciò il compito a chi doveva, riscuotendo la generale stima e benevolenza. Il Comune, quindi, interpretando i sentimenti della popolazione, deve dare a questo benemerito uomo, distinzione speciale di sepoltura». Il consiglio si concludeva con sedici voti favorevoli e due contrari.

E così il Curatino fu nominato «cittadino benemerito» e tutto il consiglio partecipò al funerale «col gonfalone e la musica cittadina». Chiuse le scuole e le botteghe, fermi i lavori della Darsena e delle officine, dietro il carro funebre c’erano tutti. «L’ingratitudine non è pianta che alligni nel suolo viareggino», scrisse qualcuno. Era pieno inverno. Faceva sera, pioveva, e a stento le piccole fiaccole dei fedeli resistevano. Un cronista del “Corriere Toscano” scriverà: «Confesso di non aver mai visto una simile cerimonia in vita mia». Antonio Maria Pucci era stato parroco a Viareggio per 48 anni. 48 anni di impegno verso tutti. Però, nel 1900, quando venne proposto di intitolargli una via, la cosa non passò, causa il voto contrario dei socialisti: va bene il funerale, ma il nome di una via a un prete, quello no! Ma la gente tornò in massa, diversi anni dopo, il 18 aprile 1920, in occasione della traslazione della salma dal cimitero comunale alla chiesa di Sant’Andrea. Imponente il popolo dei fedeli, come imponente era il corteo. Aprivano le guardie di città in alta uniforme e chiudevano la società dei proprietari di bagni. Il periodico “Viareggio Nuova”, giornale non tenero con il clero, ricor- dava «l’esemplare bontà» del Curatino. Quel giorno, tra la folla, c’era anche Giacomo Puccini con la moglie Elvira. Lo ricordava bene don Pietro Panichelli, grande amico del compositore, che a Pucci dedicava Il Curatino di Viareggio che usciva proprio ottant’anni fa per i tipi di Nistri-Lischi editori. Pucci era nato il 16 aprile 1819 a Poggiole di Vernio, un gregge di case sull’Appennino toscano. Nato alle nove, come si legge nel registro parrocchiale, alle due del dopopranzo era già battezzato. In occasione del bicentenario della nascitaè stata presentata un’icona appositamente realizzata dall’artista Dimitri Kuzmin raffigurante il Curatino. Nel corso dell’anno seguiranno poi una serie di eventi e una mostra.

Come ricorda Paolo Orlandini nel suo recentissimo Sant’Antonio Maria Pucci. Il pastore buono, il servo dell’addolorata, il padre dei poveri ( Velar), cresciuto in una famiglia numerosa (nove figli), Pucci era andato a scuola dal parroco del paese. Inizialmente il padre si era opposto alla sua vocazione («Pur essendo sagrestano esemplare non cessava di essere bravo colono, attaccato alla sua terra», annotava Panichelli). Ma il parroco, don Diddi, riuscì a convincere l’uomo a far studiare il figlio per farlo lavorare «in una vigna molto più bella». Fu don Diddi ad accompagnare il giovane Pucci al Convento della Santissima Annunziata dei Servi di Maria in Firenze. «Finiti gli studi, però – continua Orlandini – a causa di una legge del Granducato di Toscana che richiedeva l’età minima di 24 anni per emettere la professio- ne religiosa, Pucci, terminato il noviziato a 19 anni, fu inviato al convento di Monte Senario per compiere gli studi filosofici e teologici». Ordinato sacerdote nel 1843, celebrata la sua prima Messa nel paese natale, fu assegnato a Viareggio come vice parroco. Prenderà poi possesso della parrocchia il 25 luglio 1847, a 28 anni. Pucci si trovò ad operare in una situazione particolare, come ci spiega Claudio Lonigro dell’associazione culturale Terra di Viareggio: «La consultazione del fondo della Regia Delegazione di Pubblica Sicurezza di Viareggio (che va dal 1865 al 1891) ci mostra una situazione di sicuro non idilliaca, rispetto a quanto riportava la stampa locale dell’epoca. Numerosi erano i furti, le rapine e non mancavano gli omicidi. Spesso si trovano casi di violenze su donne e minori, ma anche su anziani che divenivano un peso per la famiglia».

Quindi, Pucci operò in un contesto di estrema povertà e disagio sociale. E si interfacciò con una parte di popolazione non certo benevola verso la sua figura. Addirittura una notte fu preso a bastonate. Pucci visse, come scrive Panichelli, «in un’età che non credeva ai santi» e in cui i preti erano considerati «alleati dei potenti». Continua Lonigro: «Ma Viareggio non era una città laica, anzi. Ciò è dimostrato dal fatto che, mentre sorgevano le prime società di mutuo soccorso, venivano fuori, specularmente, anche quelle di indirizzo cattolico. Poi va ricordato che nello stemma di Viareggio era raffigurato sant’Antonio da Padova. Un santo che ben rappresenta una popolazione che trovava nella religione la consolazione alle sue miserie». E a lenire quelle miserie pensò, per decenni, Pucci che considerava l’uomo come essere sociale: «L’uomo solo non può essere veramente libero, giacché la vera libertà suppone la vita, e la vita suppone la collettività». Nel 1849 fondò la Congregazione della Dottrina Cristiana e la Congregazione di San Luigi. Entrambe felici anticipazioni dell’Azione Cattolica. Nel 1853 fondò le Suore Mantellate- Serve di Maria con lo scopo di educare le ragazze. Dando anche vita al primo ospizio marino per bambini poveri malati. Continuò ad assistere e insegnare anche dopo la nomina a provinciale della Toscana, nel 1883. Ricordava un religioso: «Quando veniva in visita sembrava che venisse un suddito, non un superiore ». Pacato e tranquillo, però, non fu un uomo remissivo e pavido. Quando ci fu bisogno, all’epoca della soppressione dei conventi, ebbe parole gravi contro «gli invasori». E fu severo anche con i suoi. Nella chiesa di Sant’Andrea, ancora oggi, è conservata la sua camera. Una stanza spoglia: un letto fatto di foglie di granturco, un piccolo scrittoio, un inginocchiatoio e pochi panni rammendati. Gli stessi vestiti cuciti del «Curatino che sfama e disseta l’anima» che ricordava Enrico Pea in un suo articolo sul “Corriere di Informazione” del 2 luglio 1952. Pea ne parlava con Giuseppe Tabacci, giovane professore socialista «che non andava in chiesa», rimasto «stregato » da Pucci, e concludeva: «Doveva aver veramente seminato in profondo se, morto da tanti anni, è rimasto un modo di dire: all’usanza del Curatino». Un modo di dire che, da queste parti, si usa ancora oggi.

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