giovedì 15 giugno 2023
Per vari mesi la città belga tiene un festival con mostre, concerti e dibattiti, dedicato ai “persuasori” barocchi. E largo spazio è dato a Rubens, all’ordine di sant’Ignazio e ai libri
Peter Paul Rubens, “Santa Margherita”

Peter Paul Rubens, “Santa Margherita” - The Phoebus Foundation

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«Il rum più venduto nei peggiori bar di Caracas»: era uno slogan pubblicitario con cui un noto marchio aveva colpito tanti consumatori. Non era un modo per svilire quel rum, al contrario, come ha notato qualcuno, lo slogan dissimulava una promessa di trasgressione. Una forma di retorica e una tecnica di persuasione, insomma. Di “persuasori occulti” nella comunicazione parlò un giornalista americano, Vance Packard, già nel 1957 con un saggio che ebbe varie edizioni e aggiornamenti fino agli anni 80. È bene rileggere l’analisi di Packard, se non altro perché oggi andrebbe moltiplicata per dieci quanto a effetti devastanti sulle nostre società, che vedono più che mai attivo un nuovo soggetto, l’Influencer: «Sono all’opera su vasta scala forze che si propongono, e spesso con successi sbalorditivi, di convogliare le nostre abityudini inconsce, le nostre preferenze di consumatori, i nostri meccanismi mentali, ricorrendo a metodi presi a prestito dalla psichiatria e dalle scienze sociali». Un ritratto della situazione precisa, da aggiornare però sulle derive delle fake news, dell’IA e della post verità, manipolazioni che il mondo digitale ha come dicono gli esperti “implementato”.

Efficacia di persuasione e di condizionamento che può far pensare ai più ascoltati influencer di essere la nuova arma della comunicazione. Da come se ne parla, nel bene e nel male, forse lo pensano anche i destinatari , o le vittime, ma sbaglierebbero entrambi, e di grosso. A gettare luce su questo ad Anversa, in Belgio, dalla primavera fino all’autunno, si tiene il festival Barokke Influencer, che fin dal titolo dichiara il suo oggetto: le tecniche e le opere della persuasione nel Seicento, con alcuni affondi sulla abilità comunicativa dei Gesuiti. Che furono una delle avanguardie di cui la Chiesa si servì nel momento in cui la sfida lanciata dai riformatori protestanti mieteva successi e, in seguito alle lotte iconoclaste, gli edifici sacri si ritrovarono spogli dei loro apparati decorativi, in particolare sculture e dipinti, che erano sempre stati un mezzo di catechesi rivolto anzitutto ai fedeli meno acculturati, ovvero una Biblia pauperum. Con la lotta contro le immagini sacre dei protestanti gli artisti stessi si videro privati dei modelli d’ispirazione, persino il volto di Cristo divenne meno familiare per molti di loro, il primo a porre rimedio a questa ferita sarà nel Seicento l’olandese Rembrandt dipingendo un volto di Gesù meno idealizzato sulla tradizione iconografica e più umano nell’aspetto.

Tra gli insospettabili difensori dei Gesuiti ci fu anche il giovane Balzac che scrisse nel 1824, appena venticinquenne, un pamphlet anonimo intitolato Storia imparziale dei Gesuiti, una ventina d’anni fa tradotto anche in italiano. Le difese di Balzac, all’epoca impregnato di cultura legittimista, videro la luce cinquant’anni dopo il breve papale Dominus ac Redemptor con cui Clemente XIV scioglieva l’ordine fondato da sant’Ignazio nel 1540 a Parigi. La vicenda dell’Ordine ignaziano ha generato fiumi d’inchiostro e oggi, nella chiesa di san Carlo Borromeo ad Anversa, un foglietto traccia per i visitatori la storia dell’edificio, dichiarando fin da subito che quello scioglimento avvenne per una sorta di complotto delle monarchie europee ostili alla Compagnia, le quali esercitarono pressione sul Papa affinché prendesse quel provvedimento, che lo stessa nota definisce “strano”, facendo intendere che visto oggi rappresenta un segno di debolezza del pontefice.

Ad Anversa la storia dei Gesuiti pesò fin dall’inizio parecchio: a cominciare dalla prima edizione, nel 1640, dell’Imago primi saeculi, stampatanella città belga per il centenario dell’ordine. Come ha scritto Lydia Salviucci Insolera, docente alla Gregoriana, «parlare dell’Imago primi saeculi significa inevitabilmente inoltrarsi nei molteplici rapporti esistenti tra Roma e il Belgio e l’Olanda all’interno dell’attività culturale della Compagnia di Gesù». La storia libraria dei Gesuiti, sia come autori sia come lettori è testimoniata, proprio ad Anversa, nella Biblioteca-deposito cher porta il nome dello scrittore fiammingo Hendrik Conscience. In queste settimane, all’interno della sala Nottebohm, sono visibili infatti libri, immagini, incisioni e altri documenti che mostrano l’opera di persuasione dei Gesuiti. La rassegna fa parte anch’essa nel festival Barokke Influencer, dislocato in varie sedi dove hanno luogo altre esposizioni, concerti, dibattiti. È, insomma, un evento che coinvolge tutta la città, con specifici appuntamenti sull’opera performante dei cattolici nella devozione degli anversesi. Tra i promotori del Festival troviamo il centro universitario Sant’Ignazio di Anversa (UCSIA) e la stessa Università pubblica, il Museo Reale di Belle Arti (KMSKA) riaperto da qualche mese ampliato e trasformato, il Museo Snijders&Rockoxhuis, vetrina dell’arte fiamminga, a cui si affiancano varie altre organizzazioni culturali per dare risposta a una domanda nient’affatto peregrina: perché oggi ci sentiamo così affini al Barocco? Forse proprio in quanto eredi di quelle tecniche messe a punto dai persuasiori gesuiti?

La Biblioteca Conscience, che conserva un milione e mezzo di volumi, molti precedenti il XIX secolo, è una sorta di scrigno che si affaccia sulla stessa piazza dove svetta il fronte della chiesa di san Carlo, la prima chiesa barocca costruita nelle Fiandre tra il 1615 e il 1621, definita nel 1619 dal poeta e geografo francese Pierre Bergeron «uno degli edifici più belli del mondo cristiano»: la facciata venne ideata dagli stessi gesuiti in diretto rapporto con quella della chiesa-madre della Compagnia a Roma: imponente, dinamica, sfarzosa, celebra forme e simboli cristiani con una politica delle immagini che contrasta l’austerity protestante. Sul soffitto delle gallerie nelle navate laterali Rubens – artista di profonda fede cattolica e conoscitore di varie lingue, tra cui il latino, che aveva lavorato per i Gesuiti a Roma e a Genova – aveva dipinto 39 scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, grandi tre per quattro metri ciascuna, oggi perdute a causa di un incendio appiccato da un fulmine nel 1718, che fece anche altri danni sul tetto e le murature. Al piano terra, con l’aiuto di Antoon van Dyck e altri, aveva realizzato 21 dipinti che raffiguravano santi, tra cui Ignazio e Francesco Saverio, questi trafugati dagli austriaci e portati al Kunsthistorisches di Vienna dove ancora si trovano. Per dialogare coi Gesuiti il pittore realizzò numerosi bozzetti a olio. Ma altri artisti,Ch. B. Müller e J. de Wit, prima dell’incendio, avevano eseguito copie dei dipinti di Rubens, opere che oggi ci consentono di comprenderne la grandiosa prospettiva. Il pittore fiammingo aveva lasciato inoltre una prova sublime nella Cappella della Vergine.

Il Museo Snijders&Rockoxhuis, nato dalla fusione di due case a schiera, porta i nomi del pittore anversese Frans Snyders, che Antoon van Dyck ha ritratto nel 1621 accanto alla moglie, e del sindaco Nicolaas Rockox, ritratto nel 1615 da Rubens e morto nel 1640. Oggi il Museo è proprietà della banca KBC e partecipa al festival espondo una quarantina di opere, fra dipinti disegni incisioni e sculture, riunite anche con prestiti da fuori e accompagnate da un ricco catalogo in inglese, che documenta il tema Gesuiti, Rubens e arte della persuasione, a cura di Pierre Delsardyt e Esther Van Thielen: oltre alle testimonianze usuali, questa mostra rilegge la maieutica gesuitica, per esempio attraverso i celebri quadri di nature morte floreali al centro delle cui ghirlande si trovano emblemi e figure, come quella di Francesco Saverio dipinta da Seghers a metà seicento, che solleticano i palati più colti invitandoli all’elevazione spirituale.

I vari studi per i dipinti del soffitto della chiesa borromaica distrutti nell’incendio, esposti al S&R, ci mostrano non soltanto un riflesso efficace di ciò che è andato perduto ma anche una nuova maniera di raccontare la santità, più moderna e umana, ricca di forza espressiva grazie al tipico stile fluente di Rubens che suscita meraviglia e la cui potenza vince ogni dubbio sull’annuncio di salvezza cristiano. Come nel pannello L’Arcangelo Michele che sconfigge gli angeli ribelli.

In un saggio celebre, dedicato a Sade, Fourier e Loyola, Roland Barthes prendeva di mira una persuasione che dipende da un ordine inflessibile. Ma parlando di Loyola mette in rapporto gli Esercizi, cioè l’elemento linguistico, e quello visivo, cioè l’immaginazione, dove l’elemento verbale ferma e scioglie dalle sue ambiguità l’immagine. Era già avanguardia della persuasione, dunque. E al Museo Reale di Belle Arti si può vedere una mostra che cerca di documentare l’opera svolta nell’arte sacra dall’associazione di artisti cattolici “De Pelgrim”(il pellegrino) operando nel beghinaggio di Liegi lungo gli anni Venti del Novecento; del gruppo, iniziato come il cenacolo da dodoci artisti, facevano parte pittori, architetti, poeti, scrittori, musicisti, scenografi che ebbero come direttore spirituale il gesuita Leonce Reypens cofondatore della Anversa Ruusbroec Society. Allestita all’ultimo piano del Museo, questa mostra fa capire quanto sia complesso e non sempre facile rispondere alle trasformazioni della modernità, salvando alcuni principi della storia artistica cristiana senza cadere nel passatismo.

In definitiva, le domande che emergono da queste mostre non sono soltanto quelle legate alle nostre affinità col barocco, ma anche quelle più specifiche su come sia cambiata la comunicazione rispetto alle tecniche persuasive del barocco. Oggi, anche per la fede, la persuasione va oltre le chiese e i pulpiti, entra nello spazio virtuale dove operano miriadi di persuasori più o meno occulti. Rispetto al passato, in rapporto ai fini degli imbonitori di oggi, tra pubblicità, fake news e disinformazione, come abbiamo visto in tempi di Covid e di guerra, si deve ammettere che all’origine di ogni persuasione contemporanea c’è una verità artefatta. Se i persuasori gesuiti avevano come giudice del loro operato Gesù Cristo, gli Influencer di oggi rispondono ai poteri economici e alle lobby del potere, e le somiglianze risultano esteriori. Ma è su questa esteriorità che i persuasori cattolici di oggi possono agire per convincere masse orientate dagli interessi materiali a una nuova esperienza spirituale.

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