
Il regista: monsignor Massimo Manservigi durante le riprese del docufilm su Antonio Gaudí
«Al Cinema Santo Spirito di Ferrara, presenterò la versione inedita del mio film su don Santo Perin, il giovane parroco di Bando di Argenta, martire della Resistenza, morto eroicamente il 25 aprile del 1945…», spiega emozionato monsignor Massimo Manservigi stasera presente alla proiezione. Lo fa con timbro sottile e delicato, alla Fellini. E infatti tra una parabola e l’altra, una confessione ai suoi fedeli e un’omelia dal pulpito in qualità di vicario generale dell’Arcidiocesi di Ferrara, con lui si parla tanto anche di cinema. Passione giovanile del ragazzo nato nel borgo ferrarese di Vigarano Mainarda che, prima di lui, ha dato i natali al suo «grande amico», il tre volte Premio Oscar Carlo Rambaldi: l’effettista di Alien e King Kong, ma soprattutto il papà del pupazzo extraterrestre di Steven Spielberg, E.T. Passione dicevamo per l’universo di celluloide, diventata poi una seconda vocazione, fin dagli anni ’80. «Da piccolissimo con mio zio andavo al cinema a vedere tutti i western del mondo, poi mentre studiavo Teologia a Roma ho conosciuto e seguito i corsi alla Gregoriana di padre Virgilio Fantuzzi, critico cinematografico della “Civiltà Cattolica” che mi fece comprendere la bellezza, il valore storico e umano che da sempre possiede il cinema». Di storici e critici cinematografici nella Chiesa ce ne sono stati e ce ne sono ancora parecchi, ma di “registi-sacerdoti” da noi se ne contano appena sulle dita di una mano. Tre sono infatti quelli italiani: il presbitero paolino Emilio Cordero che nel 1950 girò il film Mater Dei, don Riccardo Cendamo autore di un cortometraggio in Messico e poi don Manservigi che a 64 anni è considerato un regista di lungo corso. Un carriera parallela e vissuta con estrema fede come quella pastorale, iniziata grazie all’incontro con un regista consacrato, Pupi Avati (fresco di David di Donatello alla carriera).
Gli inizi con Pupi Avati e il debutto con il lungometraggio "Baldassarre"
«Nel 1996 avevo realizzato il mio primo lungometraggio Baldassarre, e nel ‘97 Pupi Avati, grazie all’amicizia con il direttore della fotografia Cesare Bastelli, mi invitò alla lavorazione del film Il testimone dello sposo con Diego Abatantuono e Inès Sastre. Poi sono andato a Roma a lavorare a Tv2000 dove ho realizzato molti documentari e cortometraggi sotto la supervisione di Avati». Una strada quella per Roma, la via che porta al cinema, che prima di don Massimo, partendo da Ferrara, avevano percorso i “maestri” Florestano Vancini e Michelangelo Antonioni. «Nella serie di Tv2000 Un vescovo una città con Cesare Bastelli avevamo fatto incontrare Florestano Vancini con l’allora arcivescovo di Ferrara- Comacchio monsignor Carlo Caffarra per un’intervista che prendeva le mosse da La lunga notte del ’43, uno dei suoi tanti lavori di denuncia sociale realizzati con un taglio realistico estremamente originale. Il cinema di Michelangelo Antonioni l’ho amato e studiato a fondo. Nel 2007 a Ferrara ne ho anche celebrato il funerale. Il suo cortometraggio Il Mosè di Michelangelo, dove Antonioni ormai cieco fissa il suo sguardo e sembra quasi dialogare con la scultura, lo abbiamo presentato con la moglie Enrica Fico al Festival del cinema di Trento di cui ero presidente e poi a Gerusalemme ». L’arte, come quella michelangiolesca, entra spesso nella cinematografia di don Massimo Manservigi che sta ultimando un docubiopic pensato per il Giubileo della Speranza. «Si intitola Come il primo giorno ed è incentrato sul pittore friulano Giorgio Celiberti, un uomo e un artista di 95 anni che mi sta regalando emozioni forti e delle autentiche lezioni sul senso della vita». Cercando le 7 chiavi è invece il titolo del suo film, quasi profetico, sulla spiritualità dell’architetto Antonio Gaudí, premiato in Vaticano nel 2012 come miglior documentario al Festival Internazionale del Cinema Cattolico.
Il docufilm antesignano sul misticismo di Gaudí
«Prima di iniziare a girare Cercando le 7 chiavi il responsabile dell’Ufficio Cinema di Barcellona don Pejo Sanchez mi disse di non fare l’ennesimo lavoro sulla Sagrada Familia, ma di concentrarmi sulla figura umana e il cattolicesimo di Gaudí era molto osteggiato per il suo “catalanismo”. Il messaggio del mio documentario è: tutta la sua ricerca estetica nasce dalla conversione. Il suo capolavoro è frutto di un miracolo: la Sagrada Familia venne realizzata grazie alle offerte dei fedeli, una Provvidenza partita dal basso, dal popolo». Un miracolo, come quei miracoli compiuti dai santi ritratti da don Massimo, per il grande e il piccolo schermo, con la sua cinepresa, a partire da Il viaggio di Teresa sul viaggio dell’urna della Santa di Lisieux per la proclamazione a Dottore della Chiesa o Una vita per la verità: Edith Stein , biopic della filosofa e religiosa dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, morta nel campo di sterminio di Auschwitz. Con Teresa de Jesus: i giardini dell’anima, dedicato alla Santa di Avila, ha vinto il Premio “Donna e Religione” al Festival Religion Today nel 2001, a cui seguono Norina (Premio Festival del Cinema di Salerno 2004), su una mamma di Nomadelfia e Sabeth (Premio Festival Niepokalanow 2007) sulla figura Santa Elisabetta della Trinità. Ma di questo e molto altro che comprende la sua attività di regista, don Massimo non si vanta, perché il cinema, come il bene, si fa ma non si dice. Piuttosto si racconta e le chiese come la Sagrada Familia di Gaudí si possono mostrare. Per questo nell’Anno Santo giova rivedere la sua trilogia sulle chiese giubilari ferraresi: Cattedrale di Ferrara, Duomo di Comacchio, Abbazia di Pomposa e S. Maria in Aula Regia. Quelli della fede e delle missioni sono gli altri due sentieri battuti da don Massimo per la realizzazione dei suoi documentari. «Sono stato in Madagascar nel 1997 per raccontare le missioni italiane, ed ora mi sto dedicando alla storia di un missionario saveriano, padre Silvio Turazzi, morto di recente. Una figura incredibile, fratello del vescovo emerito di San Marino monsignor Andrea Turazzi, Silvio visse tutta la sua missione stando su una sedia a rotelle. Prima di andare in Africa, negli anni ’70 aveva operato tra i baraccati “pasoliniani” di Roma, dove il suo apostolato era stato compreso e molto apprezzato anche da papa Paolo VI». Ben cinque documentari sul tema del volontariato portano la firma di Massimo Manservigi che nel variegato percorso da regista ha cercato di seguire la via estetica tracciata dai suoi due punti di riferimento, Krzysztof Kieolowski e Terence Malick.
Il cinema come strumento per comprendere la storia e arrivare alla pace
«Film Blu di Kieslowski e The Tree of Life di Malick sono i miei due film della vita. Ma l’incontro che più mi ha emozionato è stato quello con il produttore di Kieoelowski, l’altro grande regista polacco Krzysztof Zanussi. Sono stato a casa sua, ho conosciuto la famiglia, abbiamo discusso del suo bellissimo film Da un paese lontano e mi ha spiegato che cosa significava fare cinema sotto il regime comunista in una Polonia in cui era assai difficile essere dei testimoni. L’uomo che l’aveva spiato per anni dopo la caduta del Muro di Berlino gli telefonava tutti i giorni dicendogli disperato: “Signor Zanussi, lei mi deve qualcosa, ora che non posso più spiarla sono disoccupato. La prego mi dia una mano» La sua generosità poi è sicuramente intervenuta». Un grande atto di generosità fu anche quello di don Santo Perin, saltato su una mina per portare fuori da un canale il cadavere di un soldato tedesco a cui voleva dare degna sepoltura. «Con don Perin saltano tutte le categorie ideologiche, il suo cristianesimo non faceva distinzioni e fino all’ultimo respiro operò nello spirito del Vangelo. La sua storia aveva colpito papa Giovanni Paolo II che nel 1990 venne in visita a Ferrara-Comacchio e poi ad Argenta e lì parlò di don Santo Perin e di don Giovanni Minzoni. Sono queste le storie che provo a raccontare attraverso il cinema che ritengo sia uno strumento fondamentale per comprendere la nuova umanità, la quale nasce dalle ferite della guerra. E tali ferite possono essere curate e magari guarite, solo andando oltre le ideologie, le dittature e le violenze che minacciano quella ricerca della pace che è la più grande eredità che ci ha lasciato papa Francesco».