martedì 8 giugno 2021
L’attore in scena stasera al Teatro Parenti di Milano con “Haberrante”: «È un ritorno alla vita. Canto i brani che hanno scritto apposta per me o quelli degli irregolari come Tenco e Ciampi»
L’attore, regista e cantante Alessandro Haber, 74 anni, questa sera in scena al Teatro Parenti di Milano in “Haberrante”

L’attore, regista e cantante Alessandro Haber, 74 anni, questa sera in scena al Teatro Parenti di Milano in “Haberrante”

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«Eccoci qua, sono venuto a vedere lo strano effetto che fa. La mia faccia nei vostri occhi... ». Nel camerino del Teatro Parenti di Milano, Alessandro Haber attacca in prova La valigia dell’attore, la canzone che è stata scritta apposta per lui da Francesco De Gregori. Una valigia piena di abiti di scena tagliati su misura, dal tragicomico vedovo Paolo che piange la sua Adelina in Amici miei atto II fino all’agiografico Antonio deLa vera storia di Antonio H. Dentro quella valigia ci sta mezzo secolo di cinema e tanto teatro. E infatti aprendola ritrovi anche la «parrucca platinata » per un Arlecchino rimasto unico nella storia nazionalteatrale. Nella storia dello spettacolo d’arte varia, Haber sfugge ad ogni clichè, in quanto istrionico come pochi ormai, entra ed esce da un ruolo all’altro, continuamente alla ricerca di frammenti della sua anima attoriale, perché dice, con la voce roca impastata dalle mille sigarette diventati mozziconi d’esistenza: «Per me recitare è vivere. Nella vita reale di tutti i giorni mi sento da sempre inadeguato. Io sono me stesso solo quando sono sul palco che recito e canto o sul set mentre giro un film. È solo in quei momenti che riesco a scavarmi dentro in profondità e ad offrire tutto me stesso al personaggio che porto in scena o sullo schermo.

«L’attore e la sciantosa», che poi è il suo mestiere, si stringono la mano e si abbracciano stretti, stretti.

È il gioco del doppio, che è diventato il mio mestiere. Un mestiere che non ti dà mai certezze e che scopri sempre nuovo, come le facce del pubblico pagante e il loro applauso che cambia ad ogni replica. Quello dell’attore è un mestiere che vivo come la passione più grande, paragonabile solo all’amore per una donna o per mia figlia che non era ancora nata quando entra in scena («siamo il padre e la figlia ») ne La valigia dell’attore.

Storia di una passione iniziata a vent’anni, nel 1967, scelto da Marco Bellocchio per il film La Cina è più vicina e proseguita fino a prima del lockdown in teatro, nei panni di Willy Lomon in Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller.

Pièce che riprenderò la prossima stagione, quell’uomo che davanti al fallimento si uccide per lasciare in eredità l’assicurazione ai figli e riscattarsi ai loro occhi è una storia che in tempi duri e di profonda crisi economica come questi, purtroppo, è quanto mai attuale...

Come attuale è il suo canto. Stasera a Milano (Bagni Misteriosi del Teatro Franco Parenti, ore 21.15) torna a far sentire la sua voce da chansonnier irreggolare tra gli irregolari. Uno spettacolo indefinibile, ma se volete trattasi di 'teatro-canzone' questo che porta il titolo di uno dei suoi cinque dischi registrati in studio, Haberrante.

Teatro-canzone mi fa pensare a Enzo Jannacci e Giorgio Gaber, due giganti. Jannacci senza conoscermi una notte mi svegliò alle 3 e mezza per dirmi al telefono: «Ho appena visto un tuo film, sei bravissimo ». Gaber è il cognome con cui un periodo mi scambiavano i fan per strada chiamandomi «Giorgio! Non sei Giorgio Haber?» – sorride divertito – ... Questa serata la considero un ritorno alla vita prima che un rientro in scena e devo ringraziare una donna stoica, una figura rara nel mondo dello spettacolo come Andrée Ruth Shammah (per lei sono stato Bettino Craxi in Una notte in Tunisia di Vitaliano Trevisan) che mi ha chiamato per ricominciare dallo spazio teatrale forse più originale che c’è oggi in Italia: i Bagni Misteriosi. Canto da un palco con il pubblico che assiste da una pedana galleggiante sull’acqua... Fantastico.

Haber ricomincia cantando brani suoi, scritti per lui, dall’appartato Mario Castelnuovo o il regista Paolo Virzì, ma anche canzoni culto di Cocciante, Endrigo, Tenco... E questo per molti è una novità.

La canzone è nel mio dna artistico, chi non lo sapeva ancora lo scoprirà. A un certo punto ho capito che esiste una musicalità insita nell’atto della recitazione, e tempo fa a Barga, davanti a 3mila persone in un Festival dedicato a Giovanni Pascoli mi sono permesso di 'cantare' le sue poesie.

Tutto questo è cominciato proprio dalla poesia.

Già, vent’anni fa a Parma, al Cortile Saffi, mi chiesero di fare un reading di Bukowski accompagnato da dei musicisti che non conoscevo. Senza prove, arrivando trafelato in treno da Roma, avevo appena letto quelle poesie selezionandole però accuratamente e quando sono salito sul palco ne è uscito fuori uno spettacolo in cui musica e parole si sono fuse così magicamente da mandare in estasi il pubblico. Sulla 'Gazzetta di Parma' il giorno dopo trovai una recensione talmente bella e gratificante che sono scoppiato a piangere dalla felicità...

Bukowski riappare anche nella serata Haberrante.

Bukowski c’è sempre, perché lo sento molto vicino alla mia anima e alle scelte che ho fatto nella vita. Bukowski lo vivo nel rapporto con l’altro, nel valore essenziale del rispetto e anche nella trasgressione, specie se non non è distruttiva. Anche stasera al Parenti continuerò a ferire e trascinare Bukowski che per due anni con Walter Gallione e la compagnia dell’Archivolto ho portato in tournée, cantandolo o recitandolo, questo solo il pubblico che ha assistito a teatro può dirlo.

Un Bukowski della canzone d’autore è stato Piero Ciampi.

Quando canto la sua Tu no mi strazio, ma è anche un brano che mi dà tanta forza. Ciampi è un disperato, un principe degli irregolari ai quali mi avvicino o mi vengono a cercare loro chiedendomi in qualche maniera di curarli, di accudirne la memoria e magari cantandoli di alleviarne il dolore, che poi è anche un po’ il mio. Quando interpreto Vedrai, vedrai percepisco che la ferita lacerante di Tenco è la stessa che in quel momento si apre anche nella mia carne di uomo che è chiamato a fare i conti con se stesso.

La sua vita sta tutta dentro La valigia dell’attore. Come nasce questo omaggio che le ha fatto De Gregori?

Conosco Francesco dai tempi in cui con il cast di Sogni d’orodi Nanni Moretti ci ritrovammo a giocare su un campo di pallone. Poi nel ’95 incontro Mimmo Locasciulli a un torneo di tennis di beneficienza e gli racconto che con gli 'Amici miei', Rubini, Ghini, Fantastichini, Bentivoglio e il fraterno Giovanni Veronesi, spesso le serate finiscono con «dai Haber, cantaci una canzone di Paoli o di Conte». Così Mimmo mi invita a cantare a un suo concerto al laghetto dell’Eur... Oh, un trionfo. Qualche sera dopo alla fine di una cena con De Gregori, Mimmo gli fa ascoltare la registrazione di quel concerto. «Ma chi è che canta? – domanda stupito Francesco – Ammazza che bella voce!». Io mi alzo, brindo e dico: Francesco, allora me la scrivi una canzone? Locasciulli tira fuori il titolo e una settimana dopo in sala di registrazione piangevo come un vitello ascoltando quel pezzo meraviglioso che De Gregori aveva scritto per me, e che resterà per sempre...

Rimane in scaletta anche E di nuovo cambio casa di Ivano Fossati.

La canzone che amo di più di Fossati è la Costruzione di un amore, ma lui la fa talmente bene che per rispetto non l’ho mai cantata in pubblico. Ripiego felicemente su Una notte in Italia, la inizio cantando e termino recitando: il testo, è un inno alla ripartenza.

Dei tanti irregolari a cui ridà voce c’è l’ingiustamente dimenticato Goran Kuzminac.

Povero Goran, con Carolina mi ha regalato un meraviglioso pezzo rock. Io non l’ho mai dimenticato e proprio nei giorni scorsi mentre giravo la serie tv di Carlo Verdone, faccio un ubriaco che mentre si allontana dalla polizia che lo aveva fermato barcollando intona: «Carolina dimmi tu se ti pare il momento, va tutto male e non me la sento...». È il mio piccolo atto d’amore per Kuzminac.

Dentro la valigia dell’attore ci sono rimpianti? No, forse solo qualche sogno sfumato. Tipo, potevo andare in America per un film western che poi mi dissero non hanno mai girato. Carmelo Bene che inveiva contro tutto il teatro italiano ma diceva «salvo solo Haber» e poco prima di morire mi chiese di fare un Don Chisciotte in cui io sarei stato il suo Sancho Panza... Ma non se ne fece niente, come di quella canzone che Lucio Dalla mi promise e che non scrisse mai, ma bugiardo geniale l’ultima volta che lo incontrai al compleanno di Mimmo Paladino all’improvviso mi salutò con un coppino sulla nuca dicendomi: «Te l’ho scritta Haber, si intitola 'Vaffa...'!. Al suo funerale ridevo e piangevo mentre riascoltavo la voce calda e amica di Lucio...

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