martedì 20 maggio 2014
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​«Come possiamo rimanere fedeli al popolo che soffre e alla sua liberazione, e contemporaneamente al Vangelo dell’amore che rispetta il nemico?», domanda a Goss il giovane sacerdote, Camilo Torres. Non è una questione teorica. È in gioco la vita: sua e degli altri. In un’America Latina devastata dalla miseria e ipnotizzata dalla mistica della rivoluzione, il riscatto dei diseredati sembra essere generato da e nel sangue. Jean Goss non ci sta. E non per ingenuità. Questo ex ferroviere francese ha fatto la guerra e ha ammazzato decine e decine di avversari. Di nazisti, dunque cattivi per definizione. «No, erano umili tedeschi costretti dal dittatore a prendere le armi», risponde quella notte a Bogotà, Goss a padre Torres. È il 1962: quattro anni dopo, il prete si unirà alla guerriglia e verrà assassinato durante il primo scontro a fuoco. Se avesse continuato a combattere, probabilmente, avrebbe compreso davvero il significato della terza via profilata da Jean. «C’è una sola strada, Camilo, il radicalismo del Vangelo, ossia la messa in atto della forza liberatrice della non violenza di Dio». Solo la Parola di Gesù cambia le coscienze e, con esse, le strutture sociali ingiuste che condannano alla miseria gran parte del mondo. Jean lo sa, perché quella forza l’ha letteralmente incontrata. Laggiù, in trincea, un giorno del 1940, dopo aver piazzato cannoni e mitragliatrici, visto la carne umana spappolarsi e gli occhi di troppi uomini in agonia. Il sottoufficiale ventottenne si sveglia in piena notte, con in cuore un sentimento indescrivibile di pace e di amore per ogni essere umano.Non è, però, sull’onda dell’emotività, quantunque mistica, che il sindacalista cristiano arriva a incarnare nella propria vita la non violenza evangelica. Il suo è un percorso lungo, sofferto, intenso, come ben sottolinea il libro Jean Goss, apostolo della non violenza, scritto dalla vedova, Hildegard Goss-Mayr e da Jo Hanssens, presidente di Pax Christi Fiandre, appena pubblicato da Emi (pagine 144, euro 11,90; con prefazione di Adolfo Pérez Esquivel, di cui a fianco pubblichiamo un brano, e postfazione di Alex Zanotelli).Il saggio non si limita a raccontare la vita di uno dei più noti "costruttori di pace" del Novecento, ne trasmette l’umanità appassionata. La non violenza non è per Goss una teoria, una dottrina filosofica e neppure religiosa. È l’unica arma efficace contro il male sperimentato sulla propria carne. Nei colloqui con gli aguzzini nazisti nel campo di prigionia vicino a Lubecca dove viene rinchiuso per cinque anni. Nelle lotte per la casa con gli emarginati della banlieue parigina di Arcueil. E, in seguito, nell’impegno per la dignità dei popoli del Sud del mondo. Lavorando per 13 anni in mezzo agli esclusi della capitale francese, nel secondo dopoguerra, Goss comprende il nesso perverso tra povertà, ingiustizia, rivolta e repressione. Da qui la ricerca di una «lotta non assassina», che spezzi la spirale violenta invece di alimentarla. E da qui l’impegno del Movimento internazionale di riconciliazione (Mir). Una scelta che lo porta a conoscere la sua compagna di vita e di missione, Hildegard, e a girare il mondo, da Mosca (oltrepassando la cortina di ferro in piena Guerra fredda) all’Africa e all’America Latina. Passando per le Filippine. Qui sono i seminari di Goss a spingere gli attivisti a combattere la dittatura di Marcos senz’armi. E a vincerla. Le foto delle donne intente a offrire fiori ai soldati, delle veglie di preghiera nel centro di Manila, delle croci levate di fronte ai carri armati resteranno a testimonianza di quell’incredibile trionfo. La morte, nel 1991, lo coglierà intento a organizzare le proteste pacifiche contro la guerra del Golfo. Ogni viaggio, ogni incontro con una differente forma di male (guerra, miseria, diseguaglianza, oppressione) rafforza la sua convinzione: Dio è in ciascun essere umano, nelle vittime come nei carnefici. Per questo, la lotta non violenta, dinamica per definizione è, «aggressiva contro il male e l’ingiustizia, non contro l’uomo». Non solo combatte «i meccanismi dell’oppressione, ma cerca di stabilire fin da oggi le basi di una società senza oppressi né oppressori». Pura utopia? Goss risponde raccontando un episodio avvenuto durante la prigionia a Lubecca. Un aguzzino pestava ogni sera un prigioniero, a caso. Fin quando un detenuto si offre. Il guardiano lo deride: «Dimmi anche quanti colpi ti devo dare!». Il recluso risponde: «Lascio questo alla vostra coscienza». «Io non ho coscienza!» urla l’aguzzino. Ed era vero. Nessuno lo aveva mai rispettato e amato. Il prigioniero (lo stesso Goss, ndr) gli parlava con dolcezza, incoraggiandolo. Lo amava. Quella guardia non ha più picchiato nessuno.
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