venerdì 8 novembre 2019
Rifondata la squadra di calcio lanciata nel 1963 da don Fraccari, prete veronese partito volontario in Germania per andare ad assistere i militari italiani nei lager
Il presidente Livolsi e l’allenatore Fabiano del nuovo Club Italia, squadra fondata nel 1963 da don Luigi Fraccari

Il presidente Livolsi e l’allenatore Fabiano del nuovo Club Italia, squadra fondata nel 1963 da don Luigi Fraccari

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Il calcio d’inizio di questa incredibile storia tricolore nel cuore di Berlino lo diede un sacerdote impavido: don Luigi Fraccari. Fu lui nel 1963 a scrivere il primo capitolo della favola del Club Italia, la società che da allora diventò punto di riferimento non solo sportivo per i nostri emigrati nella capitale tedesca. A trent’anni dalla caduta del Muro si gioca ancora nel nome del prete veronese (1909-2000) visto che il suo sodalizio calcistico oggi, dopo alterne fortune, è stato rifondato e riportato allo spirito delle origini. Tutto cominciò quando il 34enne don Fraccari partì volontario per la Germania dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943: colpito dal rastrellamento dei militari italiani, spediti nei lager dai nazisti, il prete veronese non esitò ad espatriare per andare a condividere le sofferenze dei nostri soldati. Si trovò subito alle prese con una situazione spaventosa: oltre ai circa 120mila italiani che già lavoravano in terra tedesca, si aggiungevano ora gli oltre 600mila (di cui circa 38 mila a Berlino) soldati rastrellati dalle SS in Italia. Ma si rimboccò le maniche e portò assistenza e conforto agli internati nei vari campi di prigionia.

A Berlino diventò presto però il parroco anche di tutti gli emigrati facendo della Missione cattolica italiana un luogo di incontro e di amicizia. Dopo la guerra ebbe anche l’intuito di mettere su una casa rifugio per orfani e anziani senza famiglia e senza possibilità di rimpatrio. Nacque così nel 1949 la Casa Pio XII, con l’aiuto determinante del pontefice stesso, una struttura che tuttora è un centro di accoglienza per bambini svantaggiati. Neppure la costruzione del Muro lo fermò: don Luigi ogni domenica entrava a Berlino Est per non perdere i contatti con i circa 800 italiani che avendo sposato cittadini/e del luogo vivevano lì con le loro famiglie. E nel suo apostolato in Germania l’“angelo dei deportati” si servì anche del pallone: chiamò a sé un imprenditore e uomo di sport come Andrea Fusaro (1933- 2017) e nel 1963 “battezzò” la Gioventù italiana di Berlino, la sua prima storica squadra di calcio. Quella che nel 1980 sarebbe confluita nel Club Italia facendosi poi strada anche nelle categorie professionistiche. Una società che dal 2016 ha avuto in panchina anche Thomas Häßler, campione del mondo con i tedeschi a Italia ’90 e giocatore in Serie A con la Juve e soprattutto con la Roma.

Ma negli ultimi anni il club stava progressivamente perdendo contatto con le radici. Così l’anno scorso si è arrivati a una scissione: la prima squadra è passata al Berlin United, la seconda è diventata il nuovo Club Italia. Una vera rifondazione grazie alla passione di Mario Livolsi, 59 anni, imprenditore nel ramo della ristorazione, dalle origini siciliane: «La vecchia società - spiega il neo “vulcanico” presidente - aveva perso di vista la missione originaria. Questo club è stato fondato non di certo per fare business o professionismo a tutti i costi. E poi la presenza di italiani era ormai marginale. Noi invece vogliamo essere ancora espressione della collettività italiana a Berlino che oggi è formata da circa 30mila persone». C’è poi una promessa da onorare: «Mio padre - continua Livolsi - è di Favignana ( Trapani), mia madre invece berlinese. Io sono cresciuto tra la Sicilia e la Germania. Andrea Fusaro per me è stato uno di famiglia, uno “zio”: grande amico di mio padre, si erano conosciuti nel treno che li portava a Berlino. Due anni fa prima di morire mi chiese di tenere in vita il Club Italia. E io ci tengo molto, anche perché il calcio è uno strumento per prevenire le devianze dei ragazzi». Un impegno che va oltre lo sport. «Ci siamo dati una struttura societaria per organizzare anche eventi che facciano conoscere la cultura italiana». Gianni Capolei, 63 anni, si occupa del marketing: «Sono stato il braccio destro di Fusaro nel rilancio del club nel 1980. E ho vissuto da ragazzo gli ultimi anni di don Luigi qui a Berlino in cui lui rimase fino al 1977: un grande uomo, lo rimpiangono tutti qui. Ricordo le feste di Natale, in cui coinvolgevamo tutti i ristoranti italiani per dare qualcosa alle famiglie bisognose».

Il nuovo corso calcistico è ripartito invece dalla Kreisliga C: «Un campionato che corrisponde alla nostra Promozione - spiega il giovane mister catanese, il 27enne Umberto Fabiano, chiamato quest’estate sulla panchina degli “azzurri” di Berlino - In squadra abbiamo anche turchi e polacchi, ma gli italiani sono sempre di più. Anche se molti, lavorando nella gastronomia, hanno turni difficili per gli allenamenti». Strutture all’avanguardia e un legame con il nostro Paese che balza subito agli occhi con maglia azzurra e logo già di successo: «Il design è mio - svela Livolsi - , sono anche pittore, ho cominciato a 15 anni a dipingere e i primi soldi li ho ricevuti con l’arte. Per le maglie abbiamo già tante richieste anche dall’Italia al punto che sul sito avremo una sezione dedicata al commercio elettronico». In campo la partenza è stata super: 11 vittorie su 11 partite. «Abbiamo suscitato l’interesse di mass media e nuovi sponsor - commenta soddisfatto il presidente - . Sono convinto che questa squadra sia già di due categorie superiori. Ma per noi è stato più importante far rivivere la squadra di don Luigi Fraccari e Andrea Fusaro. La storia del Club Italia non finirà».

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