domenica 15 maggio 2016
​La leggenda della nazionale azzurra si "sdoppia" tra ct della Slovenia e coach di Verona: "Lavoro sui giovani ai quali insegno a credere sempre in loro stessi e in quello che fanno".
Generazione Giani: fenomeni per sempre
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FORTI IN PANCA COME IN CAMPO.  Molti dei protagonisti, con Andrea Giani, di quella squadra leggendaria guidata da Julio Velasco che vinse tutto (campione del mondo nel ’90 e ’94 e argento olimpico ad Atlanta ’96 – nella foto) sono diventati tecnici di successo. Lorenzo Bernardi ha appena conquistato lo scudetto in Turchia con l’Halkbank Ankara. Idem Fefé De Giorgi, campione di Polonia con il Zaksa Kedzierzyn-Kozle. Gloria qui anche per Andrea Anastasi, ora allenatore a Danzica, che nella World League del 2012 trionfò da ct della nazionale polacca, mentre Andrea Gardini siede sulla panchina dell’Olsztyn. Paolo Tofoli, dopo aver portato Tuscania a livelli altissimi in A2, ora è approdato al Siena che punta alla Superlega. Luca Cantagalli, sempre in A2, con la sua Reggio Emilia ha sfiorato la finale promozione. Marco Bracci sforna giovani interessanti in B1 nella sua Santa Croce; sempre in B1, a Ferrara, sta facendo bene Marco Martinelli. A bordo campo poi non si possono dimenticare altre due leggende: Andrea Lucchetta, commentatore Rai, e Andrea Zorzi, che gira nelle scuole e nei teatri con uno spettacolo sul volley.

 

Fenomeni per sempre. Oggi allenatore vincente di Verona e della Nazionale slovena, ieri stella di quella Nazionale che adesso regala successi anche in panchina: «Non è un caso, quel gruppo aveva grande carattere oltre al talento. Nella mia vita ho subito sette operazioni, ma non mi è mai pesato ripartire da zero. Sogno di diventare ct azzurro, ma aiutiamo i giovani a crederci fino in fondo». Un nome, un volto, che rimandano alle pagine più belle della nostra pallavolo. Andrea Giani, oggi 46enne, è una leggenda di questo sport. 196 cm di classe e potenza per un atleta entrato di diritto nella Hall of Fame, il tempio del volley mondiale (insieme con i suoi compagni di allora Andrea Gardini e Lorenzo Bernardi). Nato a Napoli, ma cresciuto a Sabaudia (Roma), da giocatore non ha mai smesso di vincere: tra Parma (1985/96) e Modena (1996/2007) ha messo in bacheca 22 allori tra titoli (di cui 5 scudetti) e trofei (tra i quali 2 Champions League e 3 Coppe Cev). Non da meno il palmarés in Nazionale: 3 ori consecutivi ai Mondiali (1990, 1994 e 1998); 2 argenti e 1 bronzo alle Olimpiadi; 4 ori, 1 argento e 1 bronzo agli Europei. Punta di diamante di quella “generazione di fenomeni” che da Velasco in poi, per tutti gli anni Novanta portò l’Italia a dominare sui campi di pallavolo in tutto il mondo. Tolkien è tra i suoi autori preferiti, eppure a dispetto delle sue letture fantasy, parliamo di un uomo che ha costruito i suoi successi sulla concretezza del sacrificio. Una mentalità vincente che ha portato anche in panchina: nel 2007 ha infatti intrapreso la carriera di allenatore che gli sta riservando altri successi. Alla guida di Verona quest’anno ha conquistato la Challenge Cup, un trofeo storico per la giovane società scaligera. Dal marzo 2015 poi è anche il tecnico della Nazionale maschile slovena, che ha condotto l’anno scorso all’argento euro- peo, battendo l’Italia in semifinale.

Un doppio incarico che le sta regalando doppie soddisfazioni. «Sono contento perché abbiamo avuto lungimiranza e pazienza in entrambi i casi. Non si tratta di miracoli ma di frutti che vengono da lontano. A Verona siamo partiti dai cocci della vecchia società e dai giovani. E anche con la Slovenia abbiamo lavorato sodo: non hanno certo alle spalle la nostra tradizione per cui la scorsa annata è stata straordinaria, battere l’Italia poi è stata un’emozione forte, la squadra con cui ho giocato per trent’an-ni… Ma nessuna rivalsa: il mio spirito è sempre di giocare per vincere e dare il 200%». 

In panchina si ispira a Velasco? «Ho avuto la fortuna di avere grandi allenatori. Ma credo che poi ognuno debba sviluppare le proprie idee. Bisogna fare esperienza, essere umili e saper lavorare in gruppo. A Verona mi rende particolarmente orgoglioso il fatto che oggi tutta la città si sia unita intorno a questa squadra. E anche in Slovenia c’è tanta cultura sportiva e hanno fiducia in me: mi stanno proponendo un progetto fino al 2024…».

E dire che lei era una promessa dal canottaggio con 79 vittorie su ottanta gare disputate da ragazzino. «Mio padre è stato olimpionico di questo sport e mi aveva avviato alla disciplina. Ho praticato il canottaggio dai 7 ai 12 anni. Poi però alle scuole medie un professore vedendo la mia stazza mi ha detto: perché non provi con la pallavolo? E fu una folgorazione. Uno sport in cui non mi allenavo più da solo, ma con i coetanei e la palla a quell’età fa la differenza. Però il canottaggio mi ha insegnato il valore dei sacrifici e la forza di chi non si arrende mai. Nella mia carriera ho subìto sette operazioni, ma non mi è mai pesato ripartire da zero. Sono uno che guarda sempre avanti in maniera positiva».

Tra i tanti record da giocatore, c’è anche quello delle presenze in maglia azzurra: ben 474… «Non ho mai guardato ai primati. I record son fatti per essere battuti. Ricordo con soddisfazione ogni vittoria perché tutte sono state difficili e frutto di grandi sacrifici. Certo per il nostro movimento la conquista del Mondiale del 1990 è stata una svolta. Ho un unico rimpianto: non essere riuscito a vincere l’oro olimpico. Per la nostra generazione che ha vinto quasi tutto sarebbe stata la ciliegina. E se la dovessi vincere un giorno da allenatore non sarebbe la stessa cosa».

Oggi tanti suoi compagni di quella storica Nazionale siedono in panchina e sono vincenti. «Non mi sembra un caso. Quella squadra aveva giocatori che abbinavano il talento a uno straordinario carattere. Tra i miei obiettivi c’è quello di diventare un giorno ct del-l’Italia. Ma credo che tutti i giocatori di quella Nazionale lo vorrebbero. Siamo rimasti grandi amici e ci sentiamo spesso. Ammiro Zorro (Zorzi, ndr) per il suo impegno nelle scuole e nei teatri a favore dei ragazzi. E un giorno mi piacerebbe spendermi di più per i giovani in difficoltà».

Di quel gruppo faceva parte anche lo sfortunato Vigor Bovolenta, scomparso in campo nel 2012. «Per me è stato un colpo tremendo. Era il mio grande amico. È come aver perso mio fratello. Una persona sempre sorridente e pronta alla battuta…».

Dove può arrivare oggi la nostra Nazionale? «È un’ottima squadra. Giocatori come i nostri Juantorena, Zaytsev e Giannelli pochissime altre nazionali ce li hanno. Possiamo salire sul podio alle Olimpiadi e anche vincerle. Il problema è che spesso non affrontiamo le manifestazioni con la convinzione di chi gioca sempre per vincere. Di talenti però ne abbiamo, tocca anche a noi allenatori farli emergere».

Non avremo un nuovo Giani, suo figlio ha scelto il basket… «Sono felice ugualmente, anche mia moglie giocava a basket, mia figlia poi ha scelto il volley. Ma spetta a loro prendere in mano la propria vita. Non è importante che diventino atleti professionisti. Sono contento che facciano sport perché li aiuterà senz’altro a sviluppare il coraggio di assumersi le responsabilità anche fuori dal campo. I trionfi sportivi sono gioie diverse, ma i giorni più belli e unici della mia vita sono stati l’incontro con mia moglie e la nascita dei miei due figli. A loro oggi auguro di fare un’esperienza all’estero e di studiare: sono un lettore accanito soprattutto di Tolkien, adoro Il Signore degli anelli. Sono assorbito dalla pallavolo, ma quando torno a casa non parlo mai di volley: voglio dedicarmi solo alla mia famiglia. Ci vediamo poco ma è la qualità del tempo che vivo coi miei figli a far la differenza ».

Qual è il segreto della sua passione? «L’amore per la pallavolo non ha una spiegazione, ti viene da dentro. A me piace tanto lavorare coi giovani, per aiutarli a credere sempre in quello che fanno. Ringrazio i miei genitori per aver avuto la possibilità attraverso la pallavolo di poter dare delle emozioni alle persone, perché al di là delle vittorie, la gente ti ricorderà per questo».

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