sabato 29 ottobre 2022
La testimonianza del patriarca latino Pierbattista Pizzaballa: «Troppo spesso religione e politica si confondono. In un sistema di blocchi contrapposti i cristiani costruiscono ponti di dialogo»
Gerusalemme

Gerusalemme - Anton Mislawsky / Unsplash

COMMENTA E CONDIVIDI

Presentiamo parte dell’intervento tenuto dal patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa nell’incontro con i giovani delle diocesi di Grosseto e di Pitigliano-Sovana-Orbetello in occasione della Settimana della Bellezza.

Il cammino plurimillenario di Gerusalemme, il ruolo che ha avuto nella storia della rivelazione, il fortissimo richiamo simbolico che la città ha per le tre fedi monoteiste, l’hanno legata al desiderio profondo di ogni uomo per la pace e per l’incontro. Ma, allo stesso tempo, proprio quella stessa storia plurimillenaria, l’attaccamento delle tre fedi a quei luoghi, la vita controversa nella città di ciascuna di esse, rischiano continuamente di rendere quel desiderio un miraggio.

Troppo spesso a Gerusalemme gli argomenti religiosi si intrecciano con le prospettive politiche di israeliani e palestinesi. Ciascuno vuole esprimere anche politicamente la propria sovranità sulla città, specie nella parte dove si trovano i propri Luoghi Santi, testimoni di una storia di fede che è anche storia di popolo e identità nazionale. Toccare un Luogo, spostare dei confini, affermare la propria sovranità su una parte della città, è visto come una necessità; è un modo per fissare nel territorio i riferimenti religiosi, che sono anche nazionali e politici. E l’affermazione della propria storia viene intesa come negazione di quella altrui, e ognuno si sente così defraudato del suo passato e della sua identità, in un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.

Sul piano politico v’è una continua instabilità. In Israele si sono svolte tre elezioni in un anno, e nella zona palestinese le elezioni sono un ricordo lontano: sono due situazioni profondamente differenti, ma mostrano la medesima fragilità politica, che caratterizza in vario modo tutto il Medio Oriente. E l’indebolimento della politica ha pesanti ripercussioni sull’economia e sulla vita sociale.

Guardando al futuro le prospettive appaiono poco chiare e molto fragili. C’è tanta frustrazione, tanta stanchezza, e tende a prevalere l’idea che alla forza occorra rispondere con la forza. Il dialogo è percepito come un segno di debolezza. Le cose non cambiano se non c’è una convenienza. Bisogna creare le condizioni che rendano conveniente il dialogo, anche dal punto di vista economico, e questo deve coinvolgere la comunità internazionale.

Va detto, tuttavia, che Gerusalemme non è solo disaccordo ed esclusione. Sotto la superficie di contenziosi e divisioni scorre un fiume di umanità bella, di uomini e donne che si mettono in gioco per dare espressione al desiderio radicato nel loro cuore di amare Dio. Sono persone che desiderano incontrare il fratello, la sorella che vive accanto a loro, rifiutando di credere che sia un estraneo o addirittura un nemico. Persone che non si accontentano di vivere di stereotipi, ma si pongono domande e cercano risposte, direttamente e sinceramente.

È indispensabile lavorare con e per le giovani generazioni sostenendo la loro fede. Costruire la fratellanza nella vita di ogni giorno non è semplice. Occorre intessere i legami sul territorio, a partire dalle piccole cose. Ci sono le vie tradizionali, come ad esempio le nostre scuole. Sono percorsi faticosi, complessi, pieni di contraddizioni, ma sono anche esempi concreti di come si possa vivere insieme, educandosi l’un l’altro. E bisogna poi cercare di creare occasioni d’incontro con la leadership locale. Non soltanto unirsi nel condannare, ma fare qualche cosa insieme.

La comunità cristiana, pur essendo tra le più piccole del Paese (l’uno per cento, di cui solo la metà cattolici), con il suo stile di vita e con le sue scelte pastorali è chiamata a essere per tutti luogo di incontro, dove nessuno sia considerato ostile. La nostra esperienza è quella di una Chiesa che, nonostante l’esiguo numero di fedeli e il contesto difficile, non è ripiegata su se stessa ma è aperta alle relazioni con tutti, e lavora alacremente attraverso le sue numerose strutture scolastiche, sanitarie, assistenziali; una Chiesa capace di resilienza, che affronta i problemi con un atteggiamento non violento e, allo stesso tempo, non rinunciatario.

C’è ancora molta strada da fare affinché la presenza di Dio illumini le relazioni fra noi tutti. Occorre comprendere come sia necessario purificare la lettura degli eventi e della storia. Occorre comprendere che per definire la propria identità religiosa e comunitaria non è necessario essere in contrapposizione con quella degli altri.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: