Il problema lo sintetizza Ahmad Mansouri, psicologo, in un’intervista di poco tempo fa a
Der Spiegel: «La lotta contro l’islamismo non comincia soltanto in Siria. Questa lotta comincia prima di tutto nelle nostre scuole». Mansouri ha 39 anni, è nato in Israele da genitori palestinesi trasferitisi in Germania. Ha avuto un’educazione fondamentalista, è cresciuto nell’odio (da cui oggi mette in guardia) verso gli ebrei. Vive e lavora a Berlino, sotto protezione della polizia per le minacce degli estremisti. Ritiene che nelle scuole tedesche (frequentate da 750mila giovani musulmani) sia necessario sviluppare un pensiero critico sull’islam e che gli insegnanti debbano conoscere la realtà del radicalismo religioso. Sta emergendo nel mondo tedescofono, Austria compresa, una generazione di intellettuali di origine islamica che vuole leggere il Corano appunto attraverso una interpretazione critica, come afferma un altro scrittore di famiglia iraniana nato in Germania, Navid Kermani, non limitato a «un vademecum che si interroga come un motore di ricerca su questa o quella parola». Ciò suona altrimenti, aggiunge, come una storia di decadenza del pensiero islamico e una sconfitta vera e propria del pensiero religioso. Con un’ulteriore domanda: perché è in crisi oggi quella cultura che sino al 1300 si irraggiava con risultati scientifici uguali o superiori a quelli dell’Europa? E perché, se all’epoca le varianti del Corano erano considerate un arricchimento della fede, oggi l’ipotesi di differenti modi di lettura è uno scandalo per molti musulmani? Si tratta di un piccolo, coraggioso gruppo di uomini di cultura, quasi tutti sotto scorta, che non accettano in primo luogo – come dice uno dei loro capifila, Mouhamad Khorchide – il generale «analfabetismo religioso », il gigantesco deficit di conoscenza presso tanti che parlano di islam; intellettuali che contestano inoltre la prevalente autorità delle raccolte di «hadit», cioè i detti e i fatti del profeta Maometto, che col tempo hanno assunto un peso maggiore dello stesso Corano. Scrittori, docenti, giornalisti, teologi stanno sfidando in Germania, non senza difficoltà, la comunità islamica e i suoi dirigenti, che temono di perdere una sorta di diritto di interpretazione della fede. Sinora l’istruzione religiosa, ad adulti e giovani, era stata lasciata agli imam delle moschee, provenienti e finanziati principalmente dalla Turchia (sono oltre due milioni e mezzo i turchi presenti nella Repubblica federale) e dall’Arabia Saudita, a impronta tradizionalista e che in genere poco conoscono del Paese in cui lavorano. Da alcuni anni il governo tedesco segue con attenzione il processo educativo impartito agli studenti di origine islamica, anche per evitare la formazione di una sorta di ghetto che rifiuti i fondamenti di uno Stato democratico, dalla libertà ai diritti dell’uomo e della donna. Così la spinta degli intellettuali musulmani 'liberali' si è coniugata con gli interessi politici tedeschi portando ad apposite iniziative universitarie. Fra il 2015 e il 2016 si è tagliato il traguardo del primo quinquennio di funzionamento di cinque centri per l’insegnamento religioso dell’islam in altrettanti atenei (Münster, Osnabrück, Tubinga, Francoforte ed Erlanden- Norimberga), con 20 milioni di euro stanziati dal ministero dell’istruzione e un ulteriore finanziamento per il periodo 2016-2020. È stato considerato un successo la frequenza ai corsi di 1800 studenti, con le prime lauree. Ma i problemi non mancano. Anzitutto a causa di un vero e proprio contrasto di fede, poiché i docenti, appartenenti per lo più all’islam moderato, contestano come si è detto l’interpretazione meccanicistica del Corano. Quindi i dirigenti del Consiglio delle comunità musulmane si trovano in polemica con gli insegnanti, specie con il più noto fra essi, Khorchide, titolare di una cattedra di pedagogia religiosa islamica a Münster e del quale hanno chiesto, invano, la rimozione. Gli studenti iscritti sono 700, una parte dei quali si occuperà poi di religione nelle scuole tedesche. Qui è però il primo ostacolo. Afferma Harry Harun Behr, che insegna Pedagogia delle religioni a Francoforte sul Meno, come almeno la metà dei suoi alunni voglia soltanto scavare nelle ragioni della fede e non abbia interesse a un lavoro di approfondimento scientifico. Ai test che propone riceve molto spesso risposte del tipo: è proibito esprimersi sul Corano. Come faranno – si chiede – a insegnare con chiusure ideologiche di questo tipo? Khorchide, forse meno pessimista, ritiene però anche lui che sarà necessario un tempo non troppo breve perché si capisca che l’università è un luogo nel quale riflettere sulla fede. Per lui «il Corano non è un testo di leggi» ma «una lettera di vita di Dio agli uomini»: egli distingue fra le «sure » di Maometto profeta alla Mecca, che sottolineano valori universali come giustizia, libertà e diritti umani, da quelle successiva di Medina, quando era diventato leader politico. E Khorchide ha cercato di spiegare quel primo Maometto nei suoi libri, uno dei quali si intitola
Islam ist Barmherzigkeit («L’islam è misericordia »), e in una serie di testi, sgraditi ai vertici islamici in Germania, diffusi per l’insegnamento nelle scuole. Comunque qualche risultato si può cogliere sin d’ora, se da una recente inchiesta il 90% dei musulmani sunniti in Germania, «seriamente credenti», vede nella democrazia una buona forma di governo. Non a caso, dopo gli attacchi di novembre a Parigi, Khorchide è stato invitato dai dirigenti della prestigiosa università islamica al-Azhar del Cairo, che hanno confermato come ci sia bisogno di un islam della misericordia, di un islam umanista. Altrettanto significativo che il ministero nigeriano delle scienze (un Paese dove picchia duro il terrorismo fondamentalista) abbia sottoscritto una convenzione per formare i suoi imam a Münster: da Khorchide, appunto.