giovedì 14 novembre 2013
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«Tutti i popoli, tutte le nazioni, anche le più povere, dovrebbero avere accesso alla ricerca scientifica. Anzi, credo che questo obiettivo dovrebbe costituire una sfida per gli scienziati di ogni disciplina di tutto il mondo». A parlare in questi termini è il gesuita e astronomo padre José Gabriel Funes, responsabile dell’osservatorio astronomico della Santa Sede, più conosciuto come Specola Vaticana. Ed è questa la proposta che intende portare sabato 16 alla Bocconi di Milano nella sua partecipazione alla Quinta Conferenza mondiale Scienze for peace, organizzata dalla Fondazione Veronesi sul tema: "Dna Europa. Scienza e pace: oltre quali confini, oltre quali limiti?". Lei pensa che la scienza possa davvero contribuire al dialogo fra i popoli?«La mia convinzione è che esiste una cultura scientifica positiva alla quale tutti dovrebbero poter accedere attraverso gli studi scolastici. La scienza aiuta ad avere spirito critico e a ragionare in modo ordinato. La scienza aiuta a lavorare in équipe, insegna a programmare il lavoro, a impegnarsi con pazienza per ottenere dei risultati. Tutti questi sono valori essenziali alla convivenza e alla crescita umana, che devono essere diffusi e per tutti raggiungibili».E gli scienziati come possono contribuire a questa idea?«Facendo in modo che ai grandi progetti di ricerca scientifica possano davvero lavorare studiosi e ricercatori di tutto il mondo, anche del cosiddetto Terzo Mondo, che solitamente vengono esclusi».Lei parla di sfida.«È una sfida, ma anche una questione di giustizia. Prima ancora che per il campo della ricerca scientifica, la diffusione a tutti i popoli delle conoscenze umane è una questione di giustizia. Tutti devono poter essere consapevoli che vivono su un pianeta che con l’universo che lo contiene ha 14 mila miliardi di anni di età. Non si può parlare di uguaglianza se gli uomini non sono messi nell’uguale possibilità di accedere agli strumenti della conoscenza. Né se a ogni singolo popolo non si dà la medesima possibilità di accesso alla ricerca e all’evoluzione scientifica. Questo sarebbe un reale percorso di pacificazione mondiale».Non tutta la scienza, però, lo sappiamo bene, produce pace.«Certo la scienza la si può usare per il bene, ma anche per uccidere. Questo dipende da noi. Anche questo fa parte dello spirito critico che la vera scienza insegna a utilizzare».Al convegno di Science for Peace lei partecipa a una tavola rotonda su "Scienza e fede in Europa".«Sì e sono contento che vi partecipino persone con idee distanti dalle mie: questo arricchisce molto la discussione. Allo stesso tempo tengo a sottolineare che la scienza in sé non è né atea né credente. Un concetto che la Chiesa ha messo bene in evidenza soprattutto col magistero di Benedetto XVI, il quale ha però anche sottolineato il pericolo che la scienza venga considerata l’unico approccio alla verità e che in questo modo diventi fondamentalista. Invece bisogna tenere conto degli altri aspetti della vita e del pensiero umano che non si possono spiegare attraverso la scienza. Così anche la religione diventa fondamentalista se non tiene conto della ricerca scientifica».In questo senso la Specola Vaticana è un luogo privilegiato.«In un certo senso sì. Io stesso sono un gesuita e un astronomo, un uomo di fede e di scienza. E questo risponde bene al mito di chi ritiene che tutti gli scienziati debbano essere atei. Alla Specola si fa ricerca scientifica come in tutti gli osservatori astronomici del mondo, in più, però, sentiamo viva la missione di coinvolgere, di includere nella ricerca tutti i popoli, anche i più poveri».Avete un progetto specifico?«Ogni due anni organizziamo una scuola di dottorato per giovani astronomi provenienti dalle università di tutto il mondo. L’anno scorso avevamo 25 studenti di 22 Paesi diversi. E di religioni diverse, anche islamici, anche atei. Per quattro settimane si riuniscono con i migliori docenti a livello mondiale. In questo modo si fornisce a questi giovani l’opportunità di essere inseriti in una comunità scientifica internazionale. Comunità che conserva rapporti nel tempo, con la possibilità di collaborazioni, di scambi di idee, con borse di studio messe a disposizione dalla Specola. Tornano nei loro Paesi con contatti importanti. Anche per questo organizziamo un incontro con gli ambasciatori presso la Santa Sede. E si scopre che Paesi solitamente in conflitto possono anche collaborare. Così si può dire di investire sui giovani, di scommettere su di loro e sulla pace. Noi lo facciamo nel mondo piccolo dell’astronomia. Ma si può fare in tutti gli ambiti della scienza a cominciare da salute e alimentazione».Quando ci sarà la prossima scuola?«In questi giorni si sono chiuse le iscrizioni per il mese di corsi che si tiene a giugno 2014: si tratta del quattordicesimo appuntamento. Abbiamo avuto oltre 140 richieste, ma purtroppo abbiamo solo 25 posti».Altre iniziative?«A marzo prossimo la Specola Vaticana organizza a Tucson un convegno internazionale con l’Università dell’Arizona sullo studio dei pianeti extra solari e sulla ricerca in essi della presenza di ossigeno e carbonio. Nella settimana che precede il convegno abbiamo organizzato tre giorni di studio per giovani astronomi».
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