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In principio era la cancellazione. «Il mio primo dipinto nero (oggi distrutto) era il risultato di una sola intenzione: abolire l’immagine di Cristo in croce. Il mio unico obiettivo era annientare, dal punto di vista simbolico, un’iconografia cristiana dalle radici profonde». Thierry De Cordier prende una crocifissione della tradizione barocca fiamminga, a cui egli stesso appartiene, e la ricopre con il catrame. Ma presto questo gesto, nato come forma di iconoclasmo, subisce un bouleversement. «Ricordo di avere dipinto una dozzina di tele di questo tipo in meno di un mese. Le consideravo una mia vittoria personale contro la religione. Tuttavia, la mia soddisfazione è svanita in fretta». Il dipinto si ferma «all’aneddoto che portava con sé», non riesce a evolvere divorato dalla piattezza del simbolo. Fino a che l’artista non si imbatte in un passaggio di san Giovanni della Croce: “Nessuna enfasi, solo rigore assoluto. La ricerca del NADA (il ‘nulla’) della Croce; il pensiero dell’unica cosa necessaria”. «All’improvviso – racconta – è apparsa in me una visione e ho compreso a fondo il significato dei dipinti slegandoli dal vincolo restrittivo in cui erano imprigionati. Come liberate dalla negazione originale, le tele iniziavano gradualmente a evolversi fino alla realizzazione ultima della pittura: il sublime».
Fondazione Prada, a Milano, presenta dieci dipinti della serie NADA. Collocati nei tre vani della Cisterna, alcuni di grandi dimensioni, come vere e proprie pale d’altare, tutti di formato verticale, sono per lo più opere quasi monocrome, pervase da un buio luminoso. A volte la croce resiste come traccia, in altre l’immagine è una nube nera in cui tralucono aloni bianchi o blu. Il nero non è mai copertura ma profondità, i margini sono l’orizzonte degli eventi. Da questo tipo escono, significativamente, una tela vuota, abbagliante, e una invece in cui l’oro è l’equivalente del buio. Sono opere in cui convergono più memorie: la teologia apofatica, il deus absconditus, la “nube della non conoscenza”, la noche oscura carmelitana, la velatio quaresimale... Ma questi dipinti interrogano a fondo la questione del sacro in arte, che l’abitudine definisce come “rendere visibile l’invisibile”. Nascondendola alla vista, de Cordier porta in tutto il suo ingombro la croce al centro della contemporaneità: come un cuore rivelatore. È come la croce calpestata in Silence di Endo e Scorsese: il gesto blasfemo è il solo modo per affermare la verità. Il Nada, dunque, come sola parola dicibile del tutto, sola icona che rende possibile un mostrare cancellato da secoli di figurazioni parziali.
Già in occasione della fondamentale mostra “Icônes” a Punta della Dogana (Venezia, 2023), era emerso il tema di un arretramento dell’immagine verso una presenza che resiste, ma impredicabile. È stato Paul Ricœur, nei suoi studi su memoria culturale e dimenticanza, a parlare di una “cancellazione necessaria”, un “oubli necessaire” temporaneo e generativo, indispensabile soprattutto a seguito dei grandi traumi collettivi. Nel rispondere alla rimozione del sacro e all’impasse della figurazione come deissi, il sacro trova una soluzione nel sottrarsi: definito da troppe parole e immagini che l’hanno obliterato sotto convenzioni, il Crocifisso riposa come il campo a maggese.
Questo svuotamento dell’icona nei linguaggi della contemporaneità (a fronte di una sua sovraesposizione come simulacro nei luoghi di culto: in entrambi i casi agisce un moto nostalgico) corrisponde a quello di Gesù sulla croce. È la kénosis, ossia – nelle parole di Gianfranco Ravasi – «l’abisso in cui Dio precipita nel Figlio morto in croce e umiliato». Appare possibile individuare un intero movimento kenotico dell’icona, a cui appartengono opere come Piss Christ di Serrano o Senza Titolo, (Svelamento) di Kounellis, nella cripta di San Fedele a Milano. Se la kénosis è lo svuotamento di ciò che eravamo convinti che fosse il divino, la kénosis dell’icona interpella ciò che pensavamo di sapere dell’immagine sacra. «Eppure – prosegue Ravasi – quello “svuotamento” liberamente scelto da Cristo non ne annienta la divinità. Essa riappare quando si è raggiunto il fondo ultimo della kénosis, la morte. È là che si apre l’alba di Pasqua, la gloria della risurrezione». Così lo svuotamento dell’icona non annienta la sua capacità del sacro ma si incarica di abitare questo lunghissimo sabato della storia.