martedì 2 aprile 2024
Ereditando la lezione di Habermas e riprendendo il celebre “sogno” di Nicola Cusano, un intervento sulla società sarà possibile solo se corale. Dialogo a tre voci tra Amato, Bosetti e Paglia
Fede e ragione alleate contro le crisi della contemporaneità

Josh Barwick/unsplash

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A quasi vent’anni dall’omonimo volume di “Reset”, Giuliano Amato, già presidente del Consiglio e presidente della Corte costituzionale, e Vincenzo Paglia, arcivescovo presidente della Pontificia Accademia per la Vita, riprendono il loro dialogo, questa volta insieme a Giancarlo Bosetti, direttore di “Reset Dialogues on Civilizations”, nello spirito «post-secolare» teorizzato da Jürgen Habermas, alla ricerca di un’alleanza tra fede e ragione laica. Ne è nato il volume Il sogno di Cusano. Dialoghi post-secolari sulle religioni e a politica inaridita di oggi (Baldini+Castoldi, pagine 224, euro 19,00), del quale anticipiamo ampi stralci della prefazione.

Siamo di fronte a una serie di emergenze e di shock, le guerre, la pandemia, il riscaldamento globale, l’inverno demografico europeo, i grandi flussi di migranti e rifugiati. E da parte di leader e organizzazioni politiche, siano maggioranza o minoranza, siano governo o opposizione, non vediamo prepararsi le condizioni, l’attrezzatura, la mentalità per guidare l’opinione pubblica verso risposte adeguate, verso piani di azione di medio e lungo termine. Vediamo solo accentuarsi la conflittualità per accaparrarsi pochi voti nell’immediato, assecondando richieste e interessi di corto respiro. Vale per l’Europa intera e per gli Stati Uniti, dove la polarizzazione dell’arena politica ha raggiunto i limiti della violenza e del rifiuto di riconoscere la legittimità degli avversari e del risultato elettorale; vale per quei regimi che, anche all’interno dell’Unione europea, hanno cercato e cercano di indebolire le libertà politiche e l’indipendenza della magistratura sulla spinta di un populismo nazionalista e autoritario. Ma vale anche per l’Italia dove l’astensionismo degli elettori ha raggiunto nel 2022 quasi il 40 per cento, superando di gran lunga la coalizione di maggioranza: 17 milioni di non votanti contro 12 milioni della maggioranza e 14 milioni delle opposizioni, che hanno più voti, ma perdono per effetto del sistema elettorale e perché sono divise. E sono, questi, altri fattori stranianti che alienano i cittadini dalla politica e che mostrano un vuoto di ragionevolezza. Paghiamo le conseguenze della scomparsa di quel fondamentale elemento di mediazione e moderazione che erano i partiti di massa, di destra, di sinistra e di centro.

Dovunque in Europa, salvo la solo parziale eccezione tedesca, quei grandi partiti, capaci di visione nel tempo e di programma, hanno lasciato il posto a organizzazioni che cercano di raccogliere il consenso nel giorno per giorno, ora per ora, sulla base dell’ascolto continuo dei sondaggi e dei tecnici della comunicazione. I partiti sono diventati, nel caso migliore, cabine di regia, per lo più personali, senza una radicata e diffusa presenza sul terreno. Riescono, quando va bene, ad ascoltare richieste, ma mai a sviluppare una interazione, una discussione capace di ragionare sulle preferenze dei cittadini e di interpretare gli interessi specifici collegandoli a un quadro più generale di compatibilità con l’interesse collettivo e con progetti di più lungo termine. Ci sarebbero da perseguire finalità, ideali, politiche e strategie per l’assistenza ai disperati in fuga dall’inferno delle guerre o dalla miseria, per la copertura dei posti di lavoro vacanti nell’economia europea, per la difesa della natura, per la ricerca di una maggiore giusti- zia fiscale, per il rafforzamento della solidarietà europea nella gestione delle maggiori emergenze globali. Questa essiccazione della politica è da tempo sotto osservazione: il ciclo del metabolismo democratico, dove funziona, ha da tempo perso contatto con vaste aree sociali, che la globalizzazione ha messo ai margini. E non ha più presa su molti dei problemi, a cominciare dalla crisi ambientale e climatica, che richiedono necessariamente visione globale e impegni nel tempo e che possono comportare sacrifici oggi per benefici futuri.

Di fronte a questi deficit di idee, di sapienza e illuminazione, di umanismo e di moralità, abbiamo deciso di prendere seriamente in considerazione la prospettiva che va sotto il nome di «post-secolare» e che è stata ispirata a Jurgen Habermas da un giurista, tedesco come lui, Ernst-Wolfgang Bockenforde, al quale si deve una celebre tesi, questa: lo stato liberale non è in grado di riprodurre le premesse (morali) dalle quali è nato, non è in grado cioè di alimentare il terreno, arato nel tempo dalle religioni con la loro forza etica e normativa, perché si è condannato alla neutralità, per essere liberale, nei confronti del tema della vita buona. Ciascun individuo infatti nel mondo liberale ha giustamente il diritto di decidere quale sia la vita migliore per sé e da sé e senza l’intervento dell’autorità.

Il filosofo tedesco dell’etica del discorso ha ripreso l’idea in un celebre confronto con il cardinale Ratzinger, nel 2004, facendone scaturire il tema della necessità di aprire le porte del dibattito pubblico, a certe condizioni, alla religione. La politica democratica sembra aver bisogno dell’aiuto dei religiosi. Verifichiamo, sostiene Habermas, se questa politica disidratata idealmente non possa ricevere, in assenza di altre fonti, sostegno e alimento dalla gente di fede, di ogni fede, e, soprattutto in Europa, dai cristiani. Un altro grande filosofo, il canadese Charles Taylor, cattolico, ha sviluppato l’idea che di fronte all’enorme, immane, fabbisogno di risorse morali per le cause globali che incombono, per la promozione dei diritti umani, per la difesa della dignità umana nei contesti più difficili, per la realizzazione di una solidarietà così vasta come quella richiesta dai problemi del mondo, ci sia ancora utile «l’opzione teistica», vale a dire l’apporto di tanti credenti in un Dio personale, da unire in comuni difficili impegni con i non credenti.

In sostanza prendiamo qui sul serio l’idea che la marcia giusta e necessaria della secolarizzazione istituzionale del mondo, la separazione indispensabile delle chiese dal potere politico, l’affermazione della laicità e neutralità dello Stato (dove è avvenuta, certo nei regimi teocratici non lo ha fatto) non doveva necessariamente spingersi fino a cancellare la religione dalla vita sociale e a farne soltanto una testimonianza privata.

Oggi quelle risorse di fede possono diventare un ingrediente difficilmente sostituibile per ricucire la società, per una iniezione di solidarietà, per far fermentare nella società energie morali che si sono indebolite dopo la grande corsa liberale dell’individualismo. L’ascesa dei diritti soggettivi, della possibilità di fare scelte personali in tutti i campi dell’esistenza, senza tutele patriarcali, senza patronati di autorità laiche e religiose, pur non essendo mai integral-mente compiuta per tutti, ha fatto molta strada e ha avuto una grande funzione liberatoria, ma ha anche indebolito la coesione della communitas, ha prodotto anche frammentazione e solitudini, ha dato via libera a una visione egocentrica del nostro destino, ha visibilmente indebolito il capitale sociale, l’insieme delle legature che in una società tradizionale sorreggevano la vita in comune. In questo processo, pur positivo, qualche cosa si è perso che rischia di far deflagrare la società. E questo mentre l’urgenza di questioni aperte e scioccanti nel mondo ci chiama ad affrontare compiti che richiedono un’azione comune di difficoltà senza precedenti.

Quella che proponiamo qui è una richiesta al mondo della fede, e in particolare in Italia ai cattolici, che tornino a far valere le loro ragioni di umanità e amore per il prossimo, le ragioni al centro del messaggio evangelico, come un benefico impulso di cui la società ha bisogno. A chi temesse una pur sempre pericolosa invasione delle prerogative dello Stato secolare ricordiamo che la Chiesa di Bergoglio, quella delle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, non è la stessa che venti anni fa si arroccava in difesa della propria fortezza assediata e si rinchiudeva nel perimetro dei propri princìpi non negoziabili in tema di vita e di morte. Sulle questioni bioetiche, dove resteranno sempre diversità di vedute, tra laici e religiosi, si tratterà di avvicinarsi in uno spirito di aperta discussione rispettosa delle opinioni altrui, cercando tutte le possibili mediazioni. Ma questo angolo delle divergenze non deve dominare il rapporto tra le forze laiche e quelle cattoliche. Tra coloro che vi scrivono qui ci sono anche diversità di vedute su quei temi e anche sulla interpretazione dell’evoluzione della Chiesa attraverso gli ultimi tre papi, ma fortissima è la convergenza sull’idea che ci sono vasti e fondamentali terreni della vita politica dove la collaborazione è possibile e dove i cattolici sono chiamati a far valere tante ragioni che premono a tutti. Non espri-miamo soltanto una speranza, vogliamo formulare anche una critica che va indirizzata, oltre che alla politica, anche alle religioni, nessuna esclusa. A più riprese ci imbattiamo nelle manifestazioni di sovranismo che vanno di pari passo con forme di fondamentalismo ed estremismo religioso. È vero per i musulmani radicali e jihadisti, per i talebani e i guardiani della mostruosa teocrazia di Teheran, come è vero per l’induismo populista oppressivo nei confronti delle minoranze islamiche, ma il fondamentalismo intacca anche le comunità cristiane, gli evangelici e i cattolici americani, che avversano papa Francesco.

Percorrendo in dialogo questi ragionamenti ci siamo ancorati a una prospettiva forte di pluralismo culturale che sfugga ai vizi consueti di una mentalità eurocentrica o tanto meno nazionalista. È importante per noi evitare che le discussioni in tema di pluralismo degli stili di vita, della cultura di provenienza, delle valutazioni sul passato, delle religioni e ovviamente delle opinioni politiche vengano sbarrate con etichette che mettono fine a ogni confronto e costringono alla rissa. Ci sono state qui di grande aiuto una rivisitazione della biblica Torre di Babele, nonché una rilettura del sogno di Nicola Cusano, in cui Dio stesso ci ricorda che è stato proprio lui a volerci diversi e a dotarci di diversità di fede, per cui faremmo bene ad andare tutti a congresso al più presto a Gerusalemme per accordarci su una pace definitiva tra tutte le religioni. Prospettiva che più che mai ancor ci manca. E che ci attrae.

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