martedì 26 agosto 2014
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L’inizio dell’età moderna dell’Europa segna l’inizio dell’età planetaria: dell’età dell’interdipendenza di tutti i popoli della Terra. L’Europa, fino a quel momento marginale, avvolge e conquista il mondo con le sue reti commerciali, ed esperisce le diversità di popoli e di ecosistemi naturali fino ad allora inimmaginabili.Ma lo shock cognitivo la conduce a minimizzare e a combattere la diversità. La prospettiva di omogeneizzazione, che la guida nella sua espansione imperiale nei Nuovi mondi, ricade drammaticamente sull’Europa stessa. In certo senso, l’Europa colonizza anche se stessa, attentando alle sue diversità interne. Il processo di omogeneizzazione religiosa è doloroso: l’espulsione di ebrei e di islamici dalla Spagna nel 1492 e in seguito i conflitti di religione fra cattolici e protestanti sono guerre contro le proprie diversità.Questa omologazione apre la via ad altre omologazioni: delle lingue, delle culture, della vita materiale... La tensione verso l’omologazione delle diversità sfocia infine in un progetto di Stato nazionale che innesca un’ostilità ricorrente nei confronti sia dell’«altro» che sta al di là delle frontiere, sia dell’«altro» che non risulta omologabile all’interno di ogni Stato (le minoranze). La via è aperta verso un Novecento tragico, in cui l’Europa giunge sull’orlo dell’autodistruzione con l’esasperazione totalitaria di queste ostilità: la guerra diventa guerra di annientamento; l’omologazione interna agli Stati si imbarbarisce in pulizia etnica, espulsione forzata di popolazioni, genocidio.Vi è però anche un’altra Europa. È un’Europa che nasce con la riscoperta dei testi classici, latini e greci, letti non in contrasto, bensì in feconda interazione con la cultura e le tradizioni cristiane. Gli umanisti e i grandi esponenti del Rinascimento concepiscono la sua identità culturale come un edificio che poggia su quattro colonne: le tre colonne delle tre religioni monoteistiche a cui si aggiunge la sapienza antica. È un edificio che definisce un’identità multipla, nutrita dalle diversità.Poi, nell’età moderna, si diffonde l’interesse per la comprensione delle molteplici culture del mondo: l’Oriente, le culture dei popoli senza scrittura, le antiche civiltà dell’Egitto e del Medio Oriente, le culture dei cacciatori-raccoglitori… È un’Europa che crea anche l’Università, nello spirito dell’unità nella diversità, come luogo di interfecondazione fra saperi molteplici. È un’Europa che aspira alla problematizzazione di ogni punto di vista e alla dialogica fra molti punti di vista, quale via maestra per una civiltà planetaria in cui i popoli del mondo possano convivere.All’indomani della seconda guerra mondiale, dopo aver esperito fino in fondo l’ambivalenza dello Stato nazionale dotato di sovranità assoluta, fonte di integrazione ma anche di interminabili conflitti esterni e interni, inizia a farsi strada l’idea di un’Europa politica una e molteplice. Si delinea una nuova prospettiva per la costruzione europea: non l’omologazione, ma la valorizzazione delle diversità; non le semplificazioni imposte dalle maggioranze dominanti, ma il rispetto della complessità degli intrecci etnici, linguistici, culturali, religiosi; non il soffocamento delle molteplici identità individuali e collettive, ma il supporto al loro pieno sviluppo.Questo progetto attende ancora il suo compimento, sempre più necessario, ma anche sempre più improbabile. Ancora oggi, l’Europa vive un’ambivalenza di fondo, che la mantiene sull’orlo dell’autodistruzione, per la persistenza degli egoismi nazionali, dei localismi unilaterali, delle intolleranze culturali. Il progetto di un’Europa una e molteplice è minacciato dal risvegliarsi delle antiche barbarie del «nemico ereditario» e della pulizia etnica, e dall’irrompere di nuove barbarie, imperniate sul culto «disumano» dell’omologazione assoluta. Ma è anche minacciato dall’inaridirsi della fonte vitale dell’umanesimo: la problematizzazione. La cultura oggi dominante,  ammantata di un’aura di progresso, è frammentata e divisa dagli specialismi chiusi su se stessi, incapaci di cogliere i problemi multidimensionali, fondamentali e globali.La civiltà europea rischia l’autodistruzione proprio sotto il peso di questa frammentazione, degli specialismi incapaci di dialogare, che isolano gli individui gli uni nei confronti degli altri e riducono al minimo la responsabilità personale. L’inadeguatezza dei modi di pensare utilizzati per affrontare i problemi dell’era planetaria costituisce essa stessa una delle maggiori fonti di crisi.Il nostro momento storico richiede all’Europa di problematizzare il suo sguardo sul mondo, di problematizzare se stessa, di riscoprire il senso profondo e generativo del suo umanesimo: il principio dell’unità nella diversità umana e della diversità nell’unità umana. In questo principio consiste la Mente creativa dell’Europa.
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