giovedì 26 febbraio 2015
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Era il 1956, il libro si intitolava Morte di Adamo  e in copertina portava un volto di Cristo dipinto da Georges Rouault. Degli otto racconti che componeva la raccolta della venticinquenne Elena Bono, del resto, sette riguardavano la vita di Gesù e, in particolare la sua Passione. Era però il primo, nel quale si immaginavano gli ultimi istanti terreni del progenitore dell’umanità, a dare l’intonazione complessiva. Un racconto perfetto, che Elena Bono sosteneva di aver scritto come sotto dettatura. La letteratura, per lei, era qualcosa che capitava, era la percezione autentica della realtà alla quale si può accedere solo guardando con gli occhi chiusi. O, se si preferisce, abbandonandosi misticamente a Dio e alla sua grazia.Caso critico sempre attuale, questo della grande scrittrice cristiana morta esattamente un anno fa all’ospedale di Lavagna, in provincia di Genova. Da molti anni Elena Bono viveva non lontano, a Chiavari, in una casa sul lungomare che sembrava preservata dallo scorrere del tempo. Nata a Sonnino, nei pressi di Latina, il 29 ottobre 1921, era una lavoratrice instancabile. Ogni sua pagina era sottoposta a molte revisioni prima di essere messa in bella copia dal marito Gian Maria Mazzini, morto nel 2010: un uomo simpaticissimo, critico letterario prestato all’imprenditoria, tanto espansivo quanto la moglie era riservata, quasi intimidita dal proprio talento. Il suo esordio era stato un evento, e non solo in Italia, dove Morte di Adamo era stato pubblicato da Garzanti e salutato da un entusiasta Emilio Cecchi. Le traduzioni si era susseguite con rapidità impressionante e sempre con enorme risonanza. Versioni in inglese, francese, spagnolo. Ma non in tedesco, come ricorda Stefania Segatori nella postfazione alla riproposta in forma autonoma di La moglie del Procuratore  (Marietti 1820, pagine 208, euro 12), il più vasto e articolato dei testi che compongono Morte di Adamo. Perché in Germania no? Perché la novella condivideva il tema con un’opera di Gertrud von Le Fort, La moglie di Pilato, e un eventuale confronto si sarebbe concluso a vantaggio dell’autrice italiana. Fu uno dei primi inciampi in una carriera letteraria che, iniziata nel 1952 con le magnifiche poesie dei Galli notturni, parve interrompersi bruscamente a ridosso degli anni Settanta. Elena Bono, il cui nome era stato precedentemente accostato a quello di Pier Paolo Pasolini (da un suo dramma, La testa del profeta, il regista del Vangelo secondo Matteo avrebbe voluto trarre un film), cominciò a non trovare più ascolto presso gli editori e, di conseguenza, a essere trascurata dalla critica. Continuò tuttavia a scrivere e anche a pubblicare, grazie al meritorio appoggio di una piccola etichetta ligure, Le Mani, alla quale succede ora Marietti 1820. A un anno dalla morte della scrittrice, infatti, la nuova edizione della Moglie del Procuratorearriva in libreria affiancata da una raccolta di saggi che costituiscono un circostanziato “invito alla lettura di Elena Bono” (Quanto io ti chiamo, a cura di Francesco Marchitti, pagine 152, euro 10). Imminente, inoltre, la pubblicazione, sempre presso Marietti 1820, di un’ampia monografia critica allestita dalla già ricordata Segatori.Nel volume ora disponibile, diversi studiosi prendono in esame i vari aspetti dell’opera di Elena Bono, indagandone la produzione in versi (Gian Mario Veneziano) e quella drammaturgica (Silvia Guidi), esplorando l’imponente ciclo narrativo “Uomo e Superuomo” (Anna Maria Roda) e ribadendo l’assoluta centralità di Morte di Adamo (Marchitti), capolavoro colpevolmente cancellato dal canone letterario del nostro Novecento, al quale peraltro appartiene di diritto. Da questo punto di vista, La moglie del Procuratore rappresenta molto più di un assaggio della prosa, magistrale e coinvolgente, di Elena Bono. Nella sua prefazione, per esempio, Armando Torno passa in rassegna le fonti classiche alle quali l’autrice ha fatto ricorso, sia pure avendo cura di dissimularle con abilità. Sono le tracce di una conoscenza diretta e approfondita, che tuttavia non impedisce il dispiegarsi di un’invenzione a sua volta esattissima sul piano teologico.Concentrata in una sola notte, la vicenda mette a confronto Claudia Serena Procula, ormai vedova di Ponzio Pilato, e il suo antico maestro Seneca. Siamo a Roma, negli anni inquieti dell’Impero. La fede negli antichi dèi è al tramonto e dalle province più remote arrivano nell’Urbe i culti dei misteri, ai quali rischia di essere assimilata la predicazione di Paolo, l’artigiano che annuncia la dottrina, nuova e sconvolgente, di Gesù. Ma il Galileo è da tempo l’ossessione di Claudia, che lo ha incontrato in sogno nella notte fatale di Gerusalemme e da allora non ha mai smesso di interrogarsi sulla morte di quel giusto e, più ancora, sui molti misteri che circondano la sua figura: i miracoli, la risurrezione, il regno a venire. Anche Pilato ha continuato a confrontarsi con il Cristo fino all’ultimo, tanto da lasciare in eredità a Claudia un cartiglio che riporta la domanda cruciale: quid est veritas? Può darsi che la donna sia già cristiana in cuor suo, può darsi che perfino Seneca – al quale la tradizione attribuisce un carteggio con l’apostolo Paolo – non sia lontano dalla fede. È la storia di sempre, in fondo. Poche volte, però, è stata raccontata come in queste pagine di Elena Bono.
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