mercoledì 21 luglio 2021
Tante “coincidenze” permetterebbero di colmare una lacuna nella sua biografia: quella sugli anni 1308-1316 L’ipotesi di Giovanni Toso
Una veduta di Noli, in Liguria: fu una repubblica marinara dal 1192 fino a Napoleone

Una veduta di Noli, in Liguria: fu una repubblica marinara dal 1192 fino a Napoleone - archivio

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Tante coincidenze fanno una prova, si dice. E se si legge senza pregiudizi il libro Dante, Noli e il Purgatorio di Giovanni Toso (Sabatelli, pagine 310, euro 38,00) di coincidenze se ne trovano così tante che alla fine la tesi proposta dall’autore appare quantomeno possibile: Toso avrebbe scoperto il grande segreto di Dante, fino a oggi rimasto un buco nero nella sua biografia, ovvero il rifugio nascosto in cui visse gli anni dell’esilio tra il 1308 e il 1316 circa, quando era un ricercato sulla cui testa pendevano ben due sentenze di morte, una al rogo (« igne carburatur », 1302), l’altra per decapitazione (« caput amputetur », 1315). Da sette secoli i biografi di Dante non sono riusciti a fare definitiva chiarezza sul “bel soggiorno” (così definito dallo stesso poeta ma mai citato apertamente) in cui poté salvarsi grazie alle protezioni di amici molto potenti e mettere in atto tutti i tentativi di rientrare a Firenze riabilitato (cosa che non avverrà mai, morendo Dante in esilio a Ravenna ospite dei signori da Polenta). Dopo aver smantellato le tradizionali versioni, Toso azzarda l’ipotesi che il suo rifugio di anni sia stata la cittadina ligure di Noli, antica Civitas Nauli, quinta delle Repubbliche marinare insieme alle più famose Venezia, Pisa, Amalfi e Genova, nonché storica alleata di quest’ultima, entrambe fieramente guelfe (come Dante). Sappiamo che nel 1304 Dan- te, guelfo bianco, ruppe i rapporti con gli altri fuoriusciti fiorentini sia neri che bianchi e dovette cavarsela in solitudine. Dove fuggire? Nel 1308 la guerra fratricida in Firenze sfociò in una vera caccia agli esuli, che lo costrinse certamente ad affidarsi a famiglie influenti in grado di proteggerlo in un luogo lontano dalle pressioni toscane. Ma dove, quindi? Toso rileva l’incoerenza delle varie tesi tradizionali che vedono Dante rifugiato in località (la Lunigiana, un ritorno a Verona ecc.) dove in effetti sarebbe stato in pericolo. Un esempio lampante: alcune biografie riportano che Dante sarebbe tornato in Toscana nel 1313 dai signori Alagia Fieschi e Moroello Malaspina, suoi grandi protettori. Però «approfondendo le biografie dei singoli personaggi e la storia locale di quel periodo – spiega Toso – si apprende che Moroello e Alagia lasciarono la Lunigiana e i parenti Malaspina per trasferirsi proprio a Genova», dove i due amici di Dante si erano schierati a fianco del potentissimo cardinale genovese Luca Fieschi, fratello di Alagia. Non solo: scappando dalla Lunigiana, Dante fece perdere definitivamente le sue tracce dopo una sosta al monastero di Santa Croce del Corvo, tra Lerici e Marina di Carrara, come emerge da una discussa lettera dell’abate Ilaro, il quale però rispetta la reticenza di Dante che non poteva lasciare indizi ai suoi inseguitori. Se qui era passato, dove era diretto? Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante dice che il poeta intendeva recarsi “passati i monti”, ma che significa? Quali monti voleva superare? Per dove? Ilaro riporta che Dante era diretto “ ad partes ultramontanas” senza specificare altro. Ora però Toso ha rintracciato un documento inedito sulla storia della diocesi di Luni-Sarzana che getta una nuova luce: il “ quarterium ultra montes” indicava proprio la zona della Riviera sotto il controllo politico militare di Genova. Insomma, l’abate Ilaro per indicare la destinazione di Dante aveva semplicemente utilizzato la toponomastica in uso nella diocesi lunense, scrivendo chiaro che Dante era in viaggio verso il Ponente ligure, dove sorgeva la bella Repubblica indipendente di Noli, guelfa, amica, attivissima, difficilmente raggiungibile e orograficamente protetta. Il cui vescovo negli anni 1303-1317 fu (altra “coincidenza”) Leonardo Fieschi, cugino di Alagia e del potentissimo cardinale genovese Luca Fieschi. Impossibile qui riportare il complesso reticolato di ricostruzioni che, lungo le 310 pagine del libro, aggiungono elementi che si incastrano al giusto posto proprio come i pezzi di un puzzle, inducendo il lettore ad essere sempre più convinto rispetto alla diffidenza iniziale. Diffidenza di cui l’autore appare ben conscio fin dalle prime pagine, quando ammette di essere un “outsider”, lui che, ingegnere nolese, unisce però in sé le due conoscenze imprescindibili: della Commedia e di Noli medievale. La Noli di Dante non era l’ameno paese turistico di oggi, ma una Repubblica potente con le sue settantadue torri (alcune svettano ancora) e altrettante galee ancorate nel golfo, il cui nolo era legato ai nolesi già nel nome fin dai tempi antichi. Galee inviate da Noli persino alle Crociate, oltre che nelle guerre di Genova contro Venezia. Come un novello Schliemann, così Toso – Divina Commedia alla mano – si spinge fino a ripercorrere i terrazzamenti del monte Ursino ritrovandovi fin nei particolari le cornici del Purgatorio, che il poeta avrebbe appunto composto a Noli lasciandosi suggestionare dalla geografia del luogo. D’altra parte della forte impressione che Noli lasciò in Dante abbiamo una prova incontestabile nel IV canto del Purgatorio («discendesi in Noli…»), dove la cita proprio come esempio di luogo irraggiungibile. Tanto irraggiungibile che, scrive Dante, per arrivare a Noli «convien ch’om voli». Fino a oggi nessun commentatore aveva saputo spiegare perché Dante conoscesse la piccola Repubblica tanto bene. E va anche detto che una secolare tradizione orale locale ricorda un soggiorno di Dante a Noli, con tanto di invettiva da parte del poeta prima di partire definitivamente nel 1316. L’autore del volume si è chiesto se fosse il caso di sfidare con questo saggio le precedenti interpretazioni sedimentate, così come Dante nel Paradiso chiede al suo avo Cacciaguida se sia opportuno, una volta tornato tra i vivi, scrivere quanto ha visto nell’Aldilà. La risposta di Cacciaguida vale anche per Toso e chiude il suo bel libro carico di passione: «Tutta tua visione fa manifesta; ché se la voce tua sarà molesta nel primo gusto, vital nodrimento lascerà poi, quando sarà digesta».

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