venerdì 9 dicembre 2016
La star di Hollywood oggi compie 100 anni. Dai set con Kubrick e Wilder alla lotta al maccartismo alla filantropia, il filo rosso è l’impegno
Douglas vita da guerriero
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Scrive poesie e le recita (a memoria) ai sette pronipoti quando lo vanno a trovare nella sua villa a Beverly Hills. La moglie Anne Buydens, con la quale è sposato da 62 anni, gli sta vicino e, nonostante l’età (lei ne ha 97) riesce ancora ad accudirlo come fosse un bambino. Cosa che a lui non dispiace affatto. In realtà Kirk Douglas, una leggenda del cinema, compie oggi 100 anni e a chi gli chiede come vorrebbe festeggiare, risponde: «A casa mia, in poltrona, bevendo un buon drink insieme con Anne, mio figlio Michael e sua moglie Catherine (Zeta-Jones)».

Ma sicuramente attorno a lui ci saranno anche gli altri rampolli della dinastia, Joel e Peter, con le rispettive consorti, i nipoti Cameron, Dylan e Carys Zeta (figli di Michael) e l’ultima nidiata di eredi. Avrebbe voluto accanto a sé anche il quartogenito, Eric, morto nel 2004 a 46 anni per overdose: un grande dolore che papà Kirk ancora si porta dentro. Per il capostipite dei Douglas la famiglia è il valore che conta di più. Amici e colleghi, comunque, hanno già ricordato il suo secolo di vita onorandolo pubblicamente a Hollywood presso il Wasserman Campus, il 2 ottobre, in occasione dei 95 anni del Motion Picture & Television Fund (fondazione benefica che aiuta gli attori in pensione) preparandogli una gigantesca torta fatta di muffin.

C’erano anche Michael, George Clooney, Warren Beatty, Jane Lynch, il produttore Terry Semel e, in prima fila, l’inseparabile Anne. Kirk, che è uno dei finanziatori dell’organizzazione, nata nel 1921 per iniziativa di Charlie Chaplin, Douglas Fairbanks e altri artisti, è arrivato in sala sulla sedia a rotelle perché, dice, dopo un po’ si stanca a camminare col bastone (nel 1995, a 79 anni, fu colpito da un ictus dopo aver subito un intervento al cuore).


Gli hanno cantato Happy birthday to you e lui ha ringraziato con un breve discorso e il solito sorrisetto beffardo. La faccia da schiaffi, benché asciugata dagli anni, con quella fossetta in mezzo al mento e lo sguardo magnetico sono gli stessi di quando imperversava sui set di tutto il mondo litigando spesso con registi e attori per via di un carattere piuttosto irritabile. Kirk Douglas in sessant’anni di carriera ha girato (e in gran parte prodotto) 75 film interpretando personaggi memorabili, quasi sempre tormentati, come l’ambizioso pugile de Il grande campione (1949) di Mark Robson, il giornalista senza scrupoli de L’asso nella manica (1951) di BillyWilder, il cinico produttore de Il brutto e la bella (1953) di Vincente Minnelli che lo ha diretto anche nel ruolo di Vincent Van Gogh in Brama di vivere (1956), il coraggioso colonnello Dax nello splendido Orizzonti di gloria (1957) di Stanley Kubrick, il solare Doc Holliday nel western Sfida all’Ok Corral (1957), di John Sturges, a fianco dell’amico Burt Lancaster, e lo spavaldo gladiatore Spartacus nell’omonimo kolossal (1960) diretto da Kubrick. E non vanno dimenticati il poliziotto sfortunato di Pietà per i giusti (1951) di William Wyler, e il cacciatore spregiudicato de Il grande cielo (1952) di Howard Hawks.

Si è sempre mostrato un attore versatile e intelligente, in grado di improvvisare e risolvere, anche a camera accesa, vuoti di sceneggiatura o carenze di regia. Capace di passare con identica efficacia dai registri drammatici a quelli leggeri, Douglas si è guadagnato il successo interpretando film di ogni genere, dal western al noir, dallo storico alla commedia brillante, dal politico alla fantascienza (è stato Ned Land in 20.000 leghe sotto i mari, del 1954, di Richard Fleischer). Come regista ha girato due film, Un magnifico ceffo da galera( 1973) e I giustizieri del West (1975). Vanta tre nomination e un Oscar alla carriera, nel 1996. Nato nella periferia di New York da una famiglia povera di origine russo-ebraica (il padre vendeva stracci), vero nome Issur Danilelovitch Demsky, Kirk Douglas, unico maschio di sette figli, si laurea in Lettere alla St. Lawrence University e poi si diploma all’American Academy of Dramatic Art. Per pagarsi gli studi fa il cameriere e il lottatore sul ring. Il debutto come attore avviene nel 1941 nei teatri di Broadway. Dopo il servizio militare nella Marina e la partecipazione alla Seconda guerra mondiale, la Paramount e il regista Lewis Milestone (su interessamento della sua amica Lauren Bacall), lo chiamano per interpretare da protagonista Lo strano amore di Martha Ivers con la dark lady Barbara Stanwyck. Era il 1946. Comincia così un’avventura che lo porterà a diventare uno dei divi di Hollywood più osannati dal pubblico e dalla critica. Un’icona della Settima Arte.


A Cinecittà girò Spartacus di cui era anche produttore: non gli piaceva il regista Tony Scott e lo fece sostituire con Stanley Kubrick: «Aveva 32 anni – ricorda – ma sembrava un ragazzino». Si innamorò di Roma. Ci era già venuto per interpretare Ulisse nel 1954, diretto da Mario Camerini, ci tornò nel 1972 per Un uomo da rispettare di Michele Lupo e sei anni dopo voluto da Alberto De Martino per Holocaust 2000. Ma l’attore è famoso anche per la sua generosità e l’impegno sociale: negli anni ’50 si impegnò a denunciare le liste di proscrizione maccartiste che rovinarono carriere di attori in odore di comunismo (ma in molti casi non era vero). È un filantropo: ha finanziato, con elargizioni per oltre 50 milioni di dollari, centri di accoglienza per senzatetto, case di riposo per anziani e parchi per bambini. Ha sostenuto la battaglia dei neri d’America e l’integrazione linguistica degli immigrati. Una delle sue ultime fatiche davanti alla macchina da presa è Vizio di famiglia (2004), di Frank Schepisi, nel quale ha recitato, nella parte del padre, accanto al figlio Michael. «All’inizio speravo che il mio primogento facesse il medico o l’avvocato – racconta – ma poi, quando l’ho visto sul set mi sono ricreduto: all’inizio gli ho dato una mano ma poi ha fatto tutto da solo e ora è più bravo di me...».

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