giovedì 27 aprile 2023
Tornano in libreria le interviste realizzate nel 1985 dall’allora giovane teologo Angelo Scola ai due maestri della teologia del ’900. Testi da cui emergono nodi e ragioni della crisi attuale
Hans Urs von Balthasar (1905-1988) ed Henri de Lubac (1896-1991

Hans Urs von Balthasar (1905-1988) ed Henri de Lubac (1896-1991 - archivio

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Esce oggi per Itaca la nuova edizione di Henri de Lubac-Hans Urs von Balthasar. Conversazioni sulla Chiesa. Interviste di Angelo Scola (pagine 208, euro 18,00). Presentiamo ampi stralci della nuova prefazione del cardinale Scola.

Nella primavera dell’anno scorso ho ricevuto in omaggio dall’editore Cerf di Parigi il volume in cui sono state raccolte le due interviste da me fatte nel 1985 al cardinale Henri de Lubac e al cardinale eletto Hans Urs von Balthasar. L’idea nacque da me e dal giornalista di 30Giorni Alver Metalli in occasione del Sinodo dei vescovi del 1985 indetto da san Giovanni Paolo II per il 20° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II . Non sapevo nulla di questa riedizione dei due testi, il primo pubblicato nel 1985 in coedizione da France Catholique e Cerf e ripubblicato da Cerf nel 2007 (De Lubac) e il secondo pubblicato in tedesco nel 1986 da Schwabenverlag (Balthasar).

L’iniziativa di questa nuova edizione francese è stata di Jean-Robert Armogathe, professore emerito della Sorbona e coordinatore delle diverse pubblicazioni di Communio. Oltre a ciò Armogathe ha rivisto con attenzione i testi e li ha accuratamente annotati. È importante anche precisare che sia De Lubac, sia Von Balthasar avevano ampiamente rielaborato i loro testi iniziali sulla base del manoscritto in lingua italiana. Ora Eugenio Dal Pane, fondatore e direttore dell’editrice Itaca, ha preso l’iniziativa di pubblicare in italiano il volume edito da Cerf.

Credo che sia normale interrogarsi sulla sua attualità. Ha veramente senso ripubblicare due testi che hanno ormai quasi quarant’anni, considerati tutti gli eventi succedutisi in questi decenni nella Chiesa e nella società? In una parola, queste due interviste, sia pure molto articolate, sono ancora in grado di suscitare l’interesse dei lettori di oggi? I mutamenti verificatisi nella Chiesa e nella società stessa, a cavallo dei due secoli XX e XXI, non sono di tale portata da vanificarne l’attualità? In occasione della scelta dell’editore italiano mi sono molto interrogato su come rispondere a queste domande. Alla fine mi sono convinto che la genialità teologico-culturale dei due autori ha offerto risposte illuminanti, ovviamente a diversi gradi di intensità, a problemi ancora oggi aperti. (…)

Tornando alle due interviste, mi sembra di poter dire che molti sono i segni e gli argomenti che possono aiutarci, anche oggi, a illuminare meglio l’attuale situazione della Chiesa nelle società opulente del Nord Occidente del pianeta. Anzitutto ci aiutano a capire che il processo di scristianizzazione non si è fermato con la fine della secolarizzazione. In che modo? Per spiegarmi meglio si rende necessaria una precisazione.

De Lubac e Balthasar affrontano problemi e sollevano questioni che lasciano intravvedere la natura del cambiamento in atto almeno mostrandone le radici. Gli autori inoltre si spingono fino a mostrare come i tratti dell’avvenimento di Cristo e della communio ecclesiale che ne consegue mantengano una sorprendente attualità. È nota l’affermazione di Balthasar che suona all’incirca così: «Se viene meno il cristianesimo, non si torna al Primo Testamento, ma a un neo paganesimo».

De Lubac parlava in proposito della tendenza alla mondanità spirituale. Papa Francesco ha ripreso più volte l’espressione delubachiana per mostrare che questa tentazione è in fondo un male interpretato adattamento della verità, della bontà e della bellezza dell’avvenimento di Gesù Cristo alla cultura dominante.

Sinteticamente si può indicare il centro di questo assai insidioso atteggiamento nella radicale rottura tra l’io e il noi che sta sempre più investendo le nostre società. Non è questa la sede per indagarne le cause. Si può però dire che esse sono correlate all’inevitabile ricerca del senso della vita, del perché, ma ancor più del per chi io vivo: nessun uomo può vivere, ne sia cosciente o meno, senza avere un’idea del significato e della direzione del suo esistere.

Mi sembra utile indicare i temi fondamentali trattati dai due autori per facilitare la lettura non sempre immediata del genere intervista. L’intervista a De Lubac – a proposito del quale rimando il lettore attento al volume in cui Balthasar, al compimento dei novant’anni di De Lubac, presenta una lettura sintetica ma efficace di tutte le sue opere – ruota intorno all’avvenimento del Concilio Vaticano II a cui egli partecipò e alle vicende del cosiddetto post-Concilio.

Ampio spazio viene dedicato a un pronunciamento sui vari documenti che il Concilio ha prodotto, in particolare sulle quattro Costituzioni. Non mancano significativi elementi autobiografici, anche legati alla prova quasi decennale del silenzio che De Lubac dovette mantenere in seguito alle polemiche suscitate dalla pubblicazione del Surnaturel (1946). Quello che trovo singolare, ancora oggi, è il realismo con cui De Lubac indaga le radici di quello che sarà il disagio postconciliare. Dopo l’emarginazione subìta a causa dei suoi primi scritti sul soprannaturale, all’inizio dei lavori conciliari dovette toccare con mano che il sospetto era ancora vivo.

L’intervista mostra lo sforzo di abbandonare ogni reattività per cercare una valutazione oggettiva della situazione. Il suo giudizio sui fermenti dialettici conciliari e su certe posizioni postconciliari lo impegnò, con grande umiltà, anche a distaccarsi del tutto dalla sua vicenda personale. Ciò che gli stava a cuore era il bene della Chiesa, mostrarne la natura profonda e la sua missione nel mondo, così come era emersa nel Concilio, affinché l’uomo contemporaneo, assetato di felicità, vedesse trasparire sul volto della Chiesa la bellezza del volto di Cristo.

Più facile è indicare il percorso seguito dal cardinale eletto Von Balthasar nell’intervista. Essa prende le mosse da un suo famoso libro, Abbattere i bastioni, per riflettere sul compito della Chiesa nel mondo di oggi. Da questo angolo visuale vengono affrontati diversi temi: Illuminismo ed Ebraismo; la teologia della liberazione; il rapporto tra fede e cultura; la relazione tra Roma e le Conferenze episcopali; i carismi e i movimenti nella Chiesa.

L’ultima parte dell’intervista affronta il tema del corpo e dell’amore, della speranza e della santità possibile in ogni stato di vita. Per concludere, non mi resta che elogiare il coraggio dell’Editore italiano per essersi gettato in questa ardimentosa impresa. Auguro al lettore, come è avvenuto per me nel riprendere in mano questi testi, di trarne sorprendente giovamento.

Il Vaticano II spiegato da due giganti del Novecento

(di Filippo Rizzi) Un allora giovane e già apprezzato teologo, Angelo Scola, in ascolto degli insegnamenti sul Vaticano II e sul post-Concilio di due “padri della Chiesa” del Novecento: Henri de Lubac (1896-1991) ed Hans Urs von Balthasar (1905-1988). È forse la prima istantanea che affiora prendendo in mano il corposo volume in uscita proprio oggi per Itaca: Henri de Lubac-Hans Urs von Balthasar. Conversazioni sulla Chiesa. Interviste di Angelo Scola (pagine 208, euro 18,00).

Un volume che, come spiega nella prefazione (di cui, qui sopra, presentiamo ampi stralci) il cardinale arcivescovo emerito di Milano, era stato pensato nel 1985 come un vademecum quasi ermeneutico da parte dei due grandi teologi e patrologi, di formazione ignaziana, per spiegare l’attualità e l’eredità del Concilio Vaticano II a venti anni dalla sua conclusione (1965-1985).

Un testo che rappresenta un unicum editoriale perché incarna il confronto, per così dire, quasi parallelo sulla loro idea di Chiesa e anche di “mistero” (per usare una categoria delubachiana) tra questi due giganti del Novecento cattolico, che oltre che colleghi furono fraterni amici: De Lubac introdusse l’allora scolastico gesuita svizzero von Balthasar allo studio di Origene.

Appare anche una congiuntura felice, quasi provvidenziale, che questo volume sbarchi ora nelle nostre librerie e che venga riproposta integralmente l’intervista al cardinale De Lubac. Solo il 31 marzo scorso, infatti, la Conferenza episcopale francese ha espresso voto favorevole sull’avvio dell’apertura della causa di beatificazione del pensatore gesuita di Cambrai che fu tra i padri nobili della “Nouvelle théologie”.

Ultimo motivo di vanto – per stessa ammissione dell’editore – sta nel fatto che l’intervista che il cardinale Scola concesse ad “Avvenire” a chi scrive il 4 settembre 2021, a trent’anni dalla morte di De Lubac, è stata una delle principali fonti, quasi l’incipit “nascosto” che ha spinto Itaca a riproporre questa pubblicazione, quasi quarant’anni dopo la prima edizione.

Come sottolinea nella postfazione il curatore e traduttore don Giorgio Sgubbi, ciò che verrà consegnato al lettore di questo libro, come suo frutto più sapido, è forse uno «stimolo per un rinnovamento nella “Tradizione”». Emergono ovviamente, nelle interviste, gli amori teologici di Scola per questi due autori e, di riflesso, l’importanza che entrambi hanno avuto, assieme a Erich Przywara, per il cammino di fede del fondatore di Comunione e liberazione: don Luigi Giussani.

Ovviamente si intravedono tra i tre interlocutori (Scola, De Lubac e von Balthasar) le comuni letture a cui si sono abbeverati nel corso delle loro esistenze. Ma soprattutto emerge quasi un filo rosso ideale con ciò che lo stesso Scola ha raccontato recentemente di sé e della sua idea di cristianesimo nella sua autobiografia, edita da Solferino nel 2018: Ho scommesso sulla libertà.

Si scopre, per esempio, che molte delle impressioni, anche decisamente personali, di De Lubac su come andò veramente il Vaticano II (e frutto dei suoi appunti) sono quasi anticipate da ciò che racconta in queste interviste e che verrà poi spiegato in modo più dettagliato nell’opera postuma Quaderni del Concilio (Jaca Book 2009).

De Lubac racconta molto di sé: viene confermata la stima per il domenicano Yves Marie Congar, con cui viene scelto quasi “simbolicamente” come perito della Commissione preparatoria del Vaticano II nel 1959 da Giovanni XXIII; o ancora il teologo francese approfitta per quasi demitizzare l’“impronta” da lui lasciata sulla scuola teologica di Lyon Fourviére; non nasconde le sue amarezze in questo colloquio, ma rivela (questa sì una testimonianza inedita) che nonostante prima del Concilio egli fosse stato allontanato dall’insegnamento universitario anche a causa del suo saggio del 1946 Surnaturel (in cui aleggia il sospetto di aver abbandonato la Scolastica tradizionale di Tommaso d‘Aquino) egli godesse della stima della Sede Apostolica e del Papa di allora, Pio XII, e di un gesuita che rappresentava un ponte di interlocuzione: Agostino Bea.

Emerge la stima che De Lubac nutriva per il futuro Giovanni Paolo II, tanto che già negli anni del post-Concilio preconizzava la sua elezione al Soglio di Pietro dopo Paolo VI; o quanto rappresentasse un elemento di rottura, ai suoi occhi, il fatto che alla guida dell’ex Sant’Uffizio non ci fosse più Alfredo Ottaviani ma Joseph Ratzinger. Evento, questo, che significò anche un cambio di metodo nello stile di ascolto per i teologi di professione.

Toccanti sono le parole che dedica a Jean-Marie Lustiger, ebreo di nascita e cardinale di Parigi, che leggendo una «traduzione protestante della Bibbia» decise pian piano, senza la mediazione di nessun prete, di farsi cattolico.

Altrettanto carica di significato e con un tratto squisitamente cristologico è la seconda parte di questo saggio in cui von Balthasar affronta con il suo «buon amico» don Angelo Scola molte questioni nodali sul cristianesimo di allora. Traspare da subito quanto figure come Karl Barth e Adrienne von Speyr abbiano inciso sulla sua coscienza di “teologo solitario”. Per il pensatore di Lucerna (definito nel giorno dei suoi funerali nel 1988 da Ratzinger «un maestro di fede, cristiano, giovanneo e ignaziano») è soprattutto l’occasione per riaffermare cosa significhino per lui categorie di pensiero (frutto tra l’altro di suoi importanti trattati teologici) come “Abbattere i bastioni” o “Il Complesso antiromano” (termine declinato in anni precedenti, seppure in modo diverso, da Congar). Von Balthasar ha qui l’occasione (basti pensare al suo famosissimo libro Cordula) anche per sottolineare i suoi distinguo sul concetto di «cristianesimo anonimo», caro a Karl Rahner e alla sua idea di “tomismo di tipo trascendentale”.

Ma non solo. Traspare in queste pagine anche l’amarezza per il declino della vita religiosa e soprattutto claustrale nella sua vecchia Europa. Come molto amara è la testimonianza, per lui che è ormai un ex gesuita, in cui rammenta e fa sua la rievocazione sulla fine della «vita religiosa all’interno della Compagnia di Gesù» del suo amico Jean Daniélou.

Un libro insomma che ci aiuta, grazie alle testimonianze di questi due giganti del pensiero cattolico, a capire anche oggi molto del nostro sentirci Chiesa. In comunione con Roma.




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