mercoledì 20 novembre 2013
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Dopo una lunga lotta contro il cancro se ne è andato, a 60 anni, Marcello D’Orta, il maestro che ha raccontato, attraverso la voce più autentica e naturale dei suoi alunni, il mondo della "nuova" scuola italiana, in una realtà assai difficile, quella delle zone più depresse e ad alta densità criminale di Napoli (Forcella, Secondigliano, Arzano), scoprendo, in quei ragazzi, un’umanità profonda. Tanto che aveva più volte sottolineato quanto quell’esperienza fosse stata importante per lui: «In tanto degrado ambientale e umano, la loro lezione di vita (mai scoraggiarsi, guardare sempre a chi sta peggio di te, prendere la vita con filosofia, lottare per raggiungere l’obiettivo) è stata fondamentale per me, perché mi ha permesso di maturare». E quell’umanità, intrisa di umorismo e di ironia, ma anche di tanta amarezza, aveva colpito anche i lettori, trasformando il suo primo libro, Io speriamo che me la cavo in un best seller da due milioni di copie. Inizialmente a quella sua scelta di temi dei suoi ragazzi non aveva creduto nessuno e il manoscritto del libro era stato rifiutato da tutte le case editrici italiane. Non aveva pensato però di mandarlo ad una casa editrice come Mondadori che invece, dopo averlo ricevuto, ne intuì le potenzialità, trasformando il libro, pubblicato nel 1990, in un best seller tradotto in molte lingue. Un successo che ha fatto del volume un vero e proprio "caso", con rappresentazioni teatrali in Italia e all’estero, un film di Lina Wertmuller, interpretato da Paolo Villaggio, quattro tesi di laurea, e studi anche alla Yale University negli States. D’Orta, anche se la sua prospettiva di scuola, come quella che una decina d’anni dopo proporrà Paola Mastrocola nei suoi romanzi e nei suoi saggi, viene oggi messa in discussione perché troppo disfattista e fuorviante, ha avuto il merito invece di dare voce ad una realtà particolare, ad una scuola dove per apprendere, oltre alla didattica, è fondamentale l’ascolto della voce dei ragazzi, la condivisione delle loro esperienze, la naturalità di una realtà vissuta in un ambiente che propone non-valori o prospettive sempre al di fuori della legge. Anche dopo aver lasciato l’insegnamento, Marcello D’Orta si è sempre sentito maestro e ha continuato in questo suo percorso volto ad accompagnare la "parole" dei ragazzi, tanto che già nel 1992, pubblica un altro libro a tema, che indaga la vita religiosa dei bambini, un aspetto poco considerato dalla nostra società, Dio ci ha creato gratis, realizzato con la collaborazione di amici insegnanti, di catechisti e anche di una sorella che insegnava a Milano, componendo quello che D’Orta, nella premessa, definiva «un ritratto, stavolta da un’angolatura insolita, del ragazzino meridionale: timido e sfrontato, impunito e filosofo, col suo eloquio pittoresco, il suo umorismo a volte surreale e soprattutto la sua ancestrale accettazione del dolore, serena e quasi divertita. In più, sbrigliata dagli episodi colorati e dalle note soprannaturali, esplode in queste pagine una fantasia che è gioco, evasione e consolazione. Ma anche lezione di vita».D’Orta era nato il 25 gennaio del 1953 in una casa di Vico Limoncello, nel Centro Antico di Napoli, in una famiglia di dieci persone. A quei suoi luoghi è sempre rimasto fedele. Dalla sua casa al Vomero, dove viveva con la moglie Laura, prendeva il "volo" viaggiando con la scrittura con la quale, negli ultimi tempi, aveva voluto "dimenticare" la malattia, quel cancro sul quale lo scrittore, qualche mese fa, non avendo vizi di sorta, aveva manifestato il sospetto potesse essere stato sviluppato in una realtà "avvelenata" e degradata dalla presenza sul territorio dei rifiuti riciclati illegalmente dalla camorra.L’impegno civile in questi anni era stato al centro del suo interesse, un impegno legato anche alla fede. Lo scorso anno, commentando la notizia che in un quartiere napoletano alcune famiglie, non volendo nella scuola frequentata dai loro figli i bambini rom provenienti da un vicino campo, si erano rivolti alla camorra per farli allontanare, aveva detto: «Di fronte all’assenza dello Stato, di fronte a famiglie che dello Stato non si fidano minimamente preferendo rivolgersi alla camorra, la Chiesa è l’unica alternativa che offra speranza».Non è un caso che l’ultimo suo libro, edito da Mondadori lo scorso anno, sempre con le parole dei ragazzi, riguardi proprio queste tematiche, e nasca da una collaborazione con «’A voce d’ ’e creature», la fondazione, in una villa sequestrata a un boss, che raccoglie decine di bambini dai quartieri degradati di Napoli e dintorni, guidata da don Luigi Merola, l’ex parroco di Forcella, che per il suo impegno contro la camorra è stato minacciato di morte.
 
Ed è ’A voce d’ ’e creature anche il titolo del libro che nasce dall’incontro fra i ragazzi di don Merola e il maestro più famoso di Napoli. Loro hanno scritto una serie di temi in cui raccontano, con la loro scandalosa innocenza, Napoli e i suoi problemi. Parlano di camorra e di pizzo, di violenza e di monnezza. Il "maestro" D’Orta e don Merola spiegavano così il senso dell’iniziativa: "Noi crediamo che il riscatto di Napoli parta dai bambini, dal dare voce alle sue creature". E D’Orta, a questi suoi "ragazzi", prima di andarsene, ha voluto lasciare un grande dono.
Grazie all’aiuto della fede e del figlio frate ha scritto un libro su Gesù, riuscendo a correggere, tra tante fatiche, anche le bozze. Il figlio Giacomo, 29 anni, teologo dell’Ordine Religioso dei "Frati minimi" (che celebrerà i funerali oggi alle 12 nella Basilica di San Francesco di Paola, in piazza Plebiscito), spiega: «Papà voleva raccontare Gesù ai bambini e io stavo cercando di dargli una mano dal punto di vista, diciamo così, "tecnico". La sua fede lo ha aiutato tantissimo. La malattia lo aveva stroncato nel fisico, ma non nello spirito. Io gli leggevo i vari capitoli e lui correggeva...». Una fede, quella di D’Orta che lo aveva portato anche a indagare, con All’apparir del vero (Piemme), il mistero della conversione e della morte di Giacomo Leopardi.Raccontare Gesù ai bambini di oggi, lo considerava invece la sua opera più difficile. Dice ancora il figlio: «Ci stava riuscendo ma se se ne è andato al sorgere del sole. Sono convinto che il Signore raccoglierà questo suo sforzo e tanti bambini conosceranno Gesù grazie a lui».
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