domenica 15 dicembre 2019
La priora del monastero di vita contemplativa nel Cottolengo di Torino: «Qui chi bussa trova ascolto. Abbiamo bisogno di vedere la fede in chi la mostra nella vita e la preghiera è profumo che attrae»
Suor Cristina Cattaneo

Suor Cristina Cattaneo

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Una clausura dalle porte aperte. Incontri suor Cristina Cattaneo e ti viene in mente il ripetuto invito di papa Francesco a tenere le chiese aperte, perché «quando andiamo per strada e ci troviamo davanti una chiesa chiusa, sentiamo qualcosa di strano», perché «una chiesa chiusa non si capisce». Non solo noi non possiamo entrare, ma anche «il Signore che è dentro non può uscire» (omelia 17 ottobre 2013). Suor Cristina ha 48 anni ed è priora del monastero di vita contemplativa che si trova a Torino all’interno della Piccola casa della Divina Provvidenza. Nel fondare la sua grande opera di carità, infatti, san Giuseppe Cottolengo pensò di affiancare al ramo apostolico anche dei monasteri col compito di sostenere nella preghiera il servizio in favore dei malati e degli indigenti. «Qui – spiega – chi cerca conforto, chi cerca preghiera e accoglienza trova la porta aperta. San Giuseppe Cottolengo diceva, come san Benedetto, che bisogna sempre aprire a chi bussa perché potrebbe essere Gesù in persona». E come disse il Papa in quella stessa omelia del 2013, «la chiave che apre la porta alla fede è la preghiera » e «quando il cristiano prega, parla con Gesù».

Cosa significa pregare per una suora di clausura?

La preghiera intesse la giornata. Ogni cosa la offro in preghiera e la accompagno con un’intenzione, col desiderio di portare aiuto a qualcuno. Entrando in monastero ho subito capito che la preghiera consente cose che non arriveresti mai a fare. Avevo i nonni anziani ai quali sarebbe stato utile il mio aiuto. Qui ho trovato delle sorelle anziane, allora ho chiesto a Gesù: io offro la mia assistenza a loro e ti chiedo di non far mancare niente alla mia famiglia che avrebbe bisogno di me. Ed è stato proprio così.

Pregare per aiutare?

La mia vocazione nasce dal desiderio di fare qualcosa per gli altri. Poi ho scoperto che Gesù non voleva solo il mio fare. Gesù voleva me. Subito mi sono spaventata e, almeno per un anno, sono diventata sorda al suo richiamo, ho fatto altri progetti... È stato l’anno più faticoso e più triste. Dentro sentivo come un tarlo. Avevo soddisfazioni sul lavoro con le amicizie... Eppure mancava il senso del dove andare e sentivo di diventare sterile, inutile. Non sembra, ma è più difficile dire no al Signore che abbandonarsi al suo volere... Quando ho avuto il coraggio di fare un’esperienza in monastero ho vissuto la sensazione di trovarmi finalmente a casa. Ho scoperto il silenzio come luogo in cui risuona la Parola, in cui è custodita la Parola che genera le nostre parole, i nostri atteggiamenti, il nostro accogliere e metterci in relazione. E poi la preghiera...

La preghiera?

Nella preghiera ho ritrovato quella chiamata iniziale a fare qualcosa per gli altri. Un giorno, mentre pregavo, osservavo le mie mani giunte e dicevo: «Signore, una vita spesa nella preghiera, spesa con le mani chiuse come può arrivare a essere dono per gli altri?». In quel momento ho alzato lo sguardo al Crocifisso e un nuovo pensiero si è fatto largo nel cuore: «Signore, le mie mani saranno chiuse, ma le tue braccia sono aperte, spalancate. La mia preghiera nella tua sale al Padre per i fratelli. Saranno le tue braccia a raggiungere le necessità, i bisogni, le sofferenze di tante persone, infinitamente di più di quante potrei raggiungere con le mie mani». In questo modo, ogni giorno, Gesù mi attira a sé, invitandomi a cercarlo per poi donarlo ai fratelli attraverso la preghiera, ma anche negli incontri in parlatorio con le persone che bussano alla porta. Ecco, la preghiera... non è un fare, ma un essere. È uno stare vicino a Gesù perché altri possano ricevere, con una predilezione per gli ultimi che non hanno nessuno che pensi a loro.

Come i malati del Cottolengo?

Da noi spesso vengono i parenti a chiedere preghiere, soprattutto se nei reparti sentono parlare del monastero. Adesso le richieste arrivano anche per email. E c’è chi chiede telefonando al centralino dell’ospedale. Così siamo sempre vicine ai malati anche se non possiamo andarli a trovare.

La Piccola Casa della Divina Provvidenza Cottolengo a Torino

La Piccola Casa della Divina Provvidenza Cottolengo a Torino - Juzzolino

Le persone vengono da voi e la preghiera apre anche la porta del loro cuore?

Ne vengono di tutti i tipi. La cosa di cui hanno più sete è essere ascoltati. Cercano persone a cui poter affidare le loro fragilità, le loro fatiche, il loro dolore. C’è chi, travolto dalla vita, chiede di pregare per non perdere la fede. C’è chi sente la fede che vacilla o chi cerca disperatamente di dare un senso a quello che gli sta capitando. E tu non puoi cavartela dicendo loro che Dio è buono e provvidente: se soffri non lo capisci e a volte nemmeno vuoi sentire parlare di Dio, cerchi solo accoglienza... E allora ascolti e poi ancora ascolti. Porti un po’ del loro peso. Del resto vengono qui da noi e sanno che passiamo la vita pregando e che pregheremo anche per loro... È perché già conoscono la strada e in fondo al cuore, anche nella rabbia, cercano conferme.

Quindi viene anche chi sostiene di non avere fede?

Anche chi non ha fede ha già qualcosa dentro. Se vedono che sei serena cominciano a farsi e a farti domande. A chi chiede come riusciamo a essere sempre così sorridenti, rispondo che ho trovato la persona per la quale vale la pena spendere la vita. Non un ideale, ma una persona di cui mi fido ciecamente e che garantisce per me al punto di restarmi fedele nonostante le mie infedeltà.

L’ascolto richiede tempo...

Se non offri il tuo tempo non puoi ascoltare. Solo se dai la tua disponibilità le persone possono vedere la fede che è in te e possono capire che cosa cambia fra l’averla e il non averla. In tutti c’è desiderio di felicità, libertà e verità, ma per sapere qual è la fonte della vera felicità, della vera libertà e della verità autentica bisogna che ci sia qualcuno che me lo mostri con la sua stessa vita. Non c’è scelta vocazionale se non vedi quella scelta vissuta in qualcuno. Ma tante volte c’è anche la semplice necessità di tornare a porsi domande, di esercitare il discernimento, di usare lo spirito critico. Io posso dire con certezza che se scopri la verità di Cristo capisci subito che quello è il tuo punto di partenza... e la vita in Lui diventa il tuo desiderio.

Cosa manca a queste persone per fare il salto?

Alla nostra società manca tanto il silenzio. Dicono che non credono, ma se facessero silenzio nella loro vita prima o poi riuscirebbero a sentire la presenza divina che portano nel cuore. Il silenzio è il terreno sul quale camminare per incontrare chi ci abita dentro e chi intorno a noi chiede ascolto. Dio ci attende e tutta la nostra vita ci è data per prepararci a questo incontro che è stato pensato dall’eternità.

Il silenzio da solo è sufficiente?

Serve anche semplicità. Del resto dove va la gente oggi a cercare la fede? Va nei luoghi della semplicità, abitati da persone che si sono liberate da ogni sovrastruttura mentale e sociale. Persone che sanno guardare dal basso verso l’alto: una capacità che noi abbiamo perduto. Solo i piccoli ci riescono, gli umili, coloro che non hanno paura di mettersi in gioco e di perdere il proprio baricentro per spostarsi verso l’altro.

Gente che ha trovato la persona per la quale vale la pena spendere la vita?

È Gesù che si è messo nei nostri panni per fare esperienza della nostra sofferenza. E da quel giorno continua a portare al Padre il sapore delle nostre lacrime, del nostro sudore, del nostro dolore... il profumo versatogli addosso da Maria di Betania. Spesso la vita contemplativa viene vista come questo spreco. Ma la preghiera è come quel profumo che non vedi, eppure inonda l’ambiente. E le persone sono attratte da ciò che profuma. Dalla fragranza di verità. Non sappiamo come, ma non soltanto la preghiera arriva, è anche un profumo spirituale che agisce come un richiamo.

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