lunedì 2 febbraio 2015
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Ancora pochi giorni e tornerà su Raiuno la serie di maggiore e sorprendente successo del 2014: quella Braccialetti rossi che racconta le vicende di tanti ragazzi in lotta per la vita nelle corsie degli ospedali. L’anno scorso la fiction diretta da Giacomo Campiotti ha raccolto sei milioni di ascolti medi a puntata con uno share altissimo, il 23%; e la sua colonna sonora, le cui canzoni sono parte integrante della trama emotiva dell’opera, è arrivata al secondo posto delle classifiche vincendo pure due premi al Festival del Cinema di Roma. Ora, in attesa del debutto di Braccialetti rossi 2, cinque episodi dal 15 febbraio, circola già in radio e digital download la canzone inedita che lancia il secondo Cd legato alla serie, un brano intitolato Il bene si avvera (Ci sono anch’io), scritto e cantato – con i protagonisti della fiction – da Niccolò Agliardi. Anche il Cd completo di Braccialetti rossi 2 è già nei negozi: fra successi di Emis Killa e De Gregori e altri brani nuovi di Agliardi affidati anche alle voci di L’Aura, Edwyn Roberts, Roberto Vecchioni, Ermal Meta, Alessandro Casillo, Paola Turci. Con lo scopo, dice il cantautore, «di dimostrare ancora che quello che la gente vuole è la verità, un’arte che parli di cose vere e sappia aiutare nella vita, non uno sfoggio vanitoso di canzoni scritte solo per esigenze commerciali. Io stesso da questa esperienza ho capito molte cose sul vero senso del mio lavoro».Agliardi, cosa l’ha stupita di più del successo di Braccialetti rossi e della sua musica?«Tutto è andato ben oltre qualunque immaginazione. Soprattutto è accaduto che quelle canzoni, legate alle storie della serie, ci hanno portato alla gente. In teatri, in palazzetti dello sport gremiti, da Napolitano. Ma anche dal Papa, in oratori, in ospedali. È stato un segnale forte».In effetti il successo dei Braccialetti parrebbe strano, a guardare i contenuti medi delle alternative proposte dalla televisione di oggi…«Invece la gente ha premiato la mancanza di ipocrisia. Il dolore c’è e va raccontato, non edulcorato. E nel dolore c’è anche la poesia. La musica avrebbe dovuto essere una punteggiatura affettiva, ma di storie vere: che il regista ha avuto il coraggio di affrontare senza fare sconti».Cosa l’ha convinta a cimentarsi nel progetto?«Un mio dolore privato, un momento durissimo. E la mia convinzione che chi ha vent’anni sarà magari ancora incapace di esprimersi appieno, ma non è vuoto di valori. Quando Nicola Serra e Carlo Degli Esposti di Palomar mi fecero vedere la prima puntata della versione originale spagnola, non potei sottrarmi all’esigenza di contribuire alla scommessa. Che poi ha voluto dire per me anche un inatteso rapporto di amicizia con ragazzi che hanno metà dei miei anni».Scrivere per i Braccialetti aiutò il suo dolore?«Abbracciare i dolori altrui mi ha fatto mettere da parte il mio: capire che non sei l’unico a soffrire, che non sei solo nel buio, dà consapevolezze importanti. Che ho espresso nel testo del brano di Emma Se rinasci, oggi inserito nel disco».La musica ha una forza enorme…«E non so se era così in origine. Molto in Italia è dipeso proprio dal rapporto creatosi fra me, i ragazzi, il regista. E la gente, che ha rilanciato brani anche imprevisti: dovevamo far respirare oltre l’apnea di storie dolorose, è diventato un uso terapeutico, liberatorio, della musica».La canzone tradizionale ha ancora questa forza?«Come si fa? Siamo saturi di proposte tutte uguali. Però questa vicenda insegna che se una canzone nasce per esigenza di chi la scrive, può trovare vie: e non deve imporsi, anzi. Sarà la gente a riconoscerla».Ma quanta ispirazione resta, in un lavoro che commenta storie specifiche?«Sicuramente c’è più artigianato della scrittura, però attenzione: nulla è imposto. Io non ho finito, canzone simbolo dell’anno scorso, è una storia mia ed era nata prima. Eppure è stata condivisa dall’attore, dal regista, da due milioni di persone su Youtube».Ci sono paletti etici nella scelta dei testi inediti o dei brani già noti da inserire in colonna sonora?«Devono essere parole che aiutano. Senza didascalia e senza retorica. Per esempio, quando i cinque ragazzi grideranno il loro perché al cielo di fronte all’ennesima disgrazia, Vecchioni canta Non lo so. Le canzoni, ripeto, devono essere vere, sincere».Ci sono passaggi particolari nella nuova serie?«C’è una scena, in una delle prime puntate, che ha dato il la al brano Il bene si avvera con la sua stessa sconvolgente trama. Ma in generale la storia continua e le canzoni proseguono il loro ruolo».Tra esse spicca Tulipani, un bambino che parla a sua mamma che sta per andarsene...«Era previsto nella prima serie, ma c’era pudore di andare così a fondo. Poi Campiotti ne ha usato un pezzettino e la gente, più coraggiosa di noi, l’ha rilanciato ovunque. Tanto che ho chiamato subito Paola Turci, bravissima, per reinciderla».
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