mercoledì 12 maggio 2021
Un ex attivista del Sinn Féin, Richard Behal, ha reso nota l’esistenza di ulteriori drammatici micro-scritti di denuncia dal carcere (su cartine da sigaretta e carta igienica) del leader irlandese
Da qualche giorno il volto sorridente di Bobby Sands campeggia anche a Roma, in un grande murale realizzato dall’artista di strada Jorit sulle pareti esterne della palestra popolare Valerio Verbano, nel quartiere del Tufello

Da qualche giorno il volto sorridente di Bobby Sands campeggia anche a Roma, in un grande murale realizzato dall’artista di strada Jorit sulle pareti esterne della palestra popolare Valerio Verbano, nel quartiere del Tufello - -

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Sono riemerse dall’oblio quasi all’improvviso, come un fiume carsico, nuove testimonianze dall’inferno carcerario di Bobby Sands e dei prigionieri politici irlandesi. Scritti, lettere e memorie che a distanza di quarant’anni riaprono ferite lontane e mai rimarginate del tutto. Minuscoli pezzi di carta ormai erosi dal tempo, alcuni con quella firma inconfondibile - 'Marcella, blocco H5' -, lo pseudonimo che Sands usò a lungo per firmare i suoi scritti clandestini dal carcere di Belfast, tra il 1977 e il 1981. Costretto all’anonimato da motivi di sicurezza, il giovane martire irlandese scelse di usare il nome di una delle sue sorelle, la sua sostenitrice più accanita, quella che andava sempre a fargli visita in carcere e gli sarebbe rimasta vicina soprattutto durante lo sciopero della fame che lo portò alla morte, il 5 maggio 1981.

Negli anni più cruenti del conflitto Sands e gli altri prigionieri politici irlandesi vissero in condizioni spaventose, rinchiusi in celle vuote, nudi e privati di tutto. Scrivevano di nascosto, usando minuscole ricariche di penna a sfera, su pezzi di carta igienica e cartine di sigaretta che nascondevano tra le pagine della Bibbia e poi passavano clandestinamente ai familiari nel corso delle visite. Sands era capace di far entrare fino a trecento parole sul lato di una cartina da sigaretta, senza interruzioni tra un paragrafo e l’altro. Di fronte agli orrori del carcere e alla violenza quotidiana dei secondini la parola era rimasta l’unica arma per conservare la dignità, per sentirsi più forti di un sistema che voleva ridurli al silenzio. I testi, una volta trascritti e pubblicati, divennero un potente atto di accusa contro il governo britannico. Gli scritti dal carcere di Bobby Sands comprendevano già una raccolta di opere politiche e letterarie di ampio spessore, composta dal toccante diario dei primi giorni del suo sciopero della fame e da centinaia di testi precedenti in prosa e in poesia, che descrivono la violenza fisica e psicologica, l’umiliazione della sporcizia e della nudità, la tensione costante tra l’imprigionamento del corpo e la libertà della mente e dello spirito.

Si sapeva però che la sua intera produzione non si limitava a quanto pubblicato finora e che molti dei suoi scritti erano andati perduti nel corso del tempo. Ad annunciare l’esistenza di un ampio quantitativo di testi inediti, nei giorni scorsi, è stato Richard Behal, un ex attivista ormai ottantenne che ha diretto fino al 1986 l’ufficio per gli affari esteri del partito indipendentista Sinn Féin. Il professor Ruan O’Donnell, capo del dipartimento di storia dell’Università di Limerick ha visionato il materiale (conservato finora nell’abitazione di Behal nella contea di Kerry, nella Repubblica d’Irlanda) e ha affermato che si tratta di un ritrovamento dal notevole valore storico. Sarà lo stesso Ateneo di Limerick a prenderlo in carico nei prossimi giorni per analizzarlo e catalogarlo. Ma alcuni elementi sono già stati resi noti.

Sappiamo ad esempio che si tratta di centinaia di piccoli pezzi di carta che negli anni sono stati ciclostilati o incollati su fogli più resistenti per poter essere meglio conservati nel tempo. La scrittura risulta ancora chiara, nitida e ben leggibile. Tra i nuovi testi di Sands spicca una straziante poesia finora del tutto ignota, intitolata The Greatest Hell ("L’inferno più grande"), che inizia così:

«C’è una prigione dove anime disperate sono state rinchiuse

Ci sono tombe di cemento di sei metri quadri dove a malapena si intravede la luce del giorno

Dove in inverno, il lungo e oscuro inverno, il corpo conosce il morso pungente del freddo

E il vento (non uno spiffero) fa venire i brividi all’uomo più robusto e placa i coraggiosi e gli audaci

Dove un uomo è costretto a giacere su un materasso umido e lercio, sopra un pavimento gelido

Nudo, fatta eccezione per alcuni luridi stracci. Il cuore grida e il corpo chiede, Dio Santissimo, cos’altro ancora?»

Ci sono inoltre molte lettere scritte dai prigionieri dell’Ira e di altri gruppi indipendentisti. Sono perlopiù denunce delle drammatiche condizioni carcerarie, ma anche richieste di sostegno per la durissima protesta carceraria che proprio in quegli anni avrebbe conosciuto una drammatica escalation.

Più la gente si mobilitava nelle strade, in cortei e manifestazioni sparsi per il Paese, più le istanze dei prigionieri politici ottenevano forza e legittimazione di fronte al governo di Londra, che voleva invece ridurli a criminali comuni privi di alcun sostegno popolare. Decine di lettere sono indirizzate dai prigionieri a esponenti della politica e del clero di entrambe le parti dell’isola: a Michael D. Higgins (all’epoca senatore laburista al parlamento di Dublino e oggi presidente della Repubblica d’Irlanda), al vescovo di Kerry, Kevin McNamara, al rettore del Trinity College, e a molti membri della Camera dei Comuni e dei Lord. Alcuni dei testi inediti risalenti alla seconda metà degli anni ’70 provengono invece dal carcere femminile di Armagh: a scriverli furono le attiviste dell’Ira, anch’esse incarcerate in condizioni drammatiche, che intrapresero forme di protesta estrema insieme ai loro compagni. Come Mairéad Farrell, Mary Doyle e Mairéad Nugent, le tre giovani detenute di Armagh che il primo dicembre 1980 iniziarono uno sciopero della fame che si concluse una ventina di giorni dopo, senza giungere alle estreme conseguenze.

Sul valore storico dei documenti ritrovati nei giorni scorsi concorda anche Danny Morrison, presidente del 'Bobby Sands trust', la fondazione di Belfast che detiene i diritti sulle opere del rivoluzionario irlandese. Quando l’abbiamo contattato, Morrison ha affermato però di essere «perplesso» sui motivi che hanno spinto Behal a rivelare soltanto adesso l’esistenza di questo materiale. «Tutti gli scritti carcerari, sia di Bobby che degli altri, sono stati depositati finora in un archivio conservato presso la Biblioteca nazionale di Dublino », ci ha detto. «È inspiegabile che abbia aspettato tutti questi anni per farcelo sapere». Non è invece arrivato alcun commento dai familiari di Sands, da tempo chiusi in un silenzio che in anni recenti è stato interrotto solo dalle accuse nei confronti della stessa fondazione. Secondo loro utilizzerebbe il nome del leader di quella memorabile protesta carceraria che cambiò la storia del conflitto anglo-irlandese senza avere in realtà alcun titolo per farlo.

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