sabato 14 maggio 2022
A 110 anni dalla nascita un convegno ricostruisce l’eredità artistica della poetessa. La biografa Bernabò: «È stata poco considerata. Ma la sua figura parla al nostro tempo»
Antonia Pozzi a Madonna di Campiglio nel dicembre del 1937

Antonia Pozzi a Madonna di Campiglio nel dicembre del 1937 - archivio

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Le parole sono un tema fondamentale della vita e dell’opera di Antonia Pozzi, poetessa, fotografa e saggista milanese che - a 110 anni dalla nascita - viene ricordata per la sua eredità artistica in una tre giorni letteraria intitolata L’età delle parole è finita per sempre?, ideata e condotta da Gianni Criveller, missionario Pime, in collaborazione con Fara Editore e il patrocinio del Comune di Pasturo (Lecco). La giornata odierna si aprirà con una condivisione di poesie e saggi ispirati ad Antonia Pozzi nel corso di una escursione verso la Grigna, la sua montagna, ampiamente raccontata peraltro in un libro del 2012 di Marco Dalla Torre, Antonia Pozzi e la montagna, edito da Àncora, in cui l’autore ne ricostruisce l’attività alpinistica e ne indaga la relativa trasfigurazione poetica, che costituisce una linea tematica fortemente originale all’interno del suo canzoniere. Il pomeriggio proseguirà con un evento pubblico intitolato Incontro con le parole, presso il cineteatro Bruno Colombo di Pasturo, in collaborazione. A intervenire saranno Onorina Dino, curatrice degli scritti di Antonia Pozzi, Marco Dalla Torre, il critico letterario Davide Puccini e Graziella Bernabò, biografa della poetessa e autrice di Per troppa vita che ho nel sangue. Antonia Pozzi e la sua poesia, appena pubblicato in una nuova edizione (ampliata con l’aggiunta di testimonianze e nuovi materiali d’archivio) da Àncora, in occasione dell’anniversario di nascita della poetessa. Chiuderà la giornata una lettura scenica del-l’attrice Aglaia Zannetti, una serata artistica a più voci dedicata ad Antonia Pozzi. Domani, infine, si terrà una visita a Villa Pozzi e ai luoghi del suo itinerario poetico e fotografico. L’intervento di Graziella Bernabò al convegno partirà da uno dei temi presenti anche nel libro, ovvero la sottovalutazione di Antonia Pozzi nel suo ambiente, anche successivamente, mentre veniva riscoperta e tradotta all’estero. «Da parte del mondo intellettuale – spiega Bernabò – era stimata per la sua gentilezza, per la generosità, per il buon carattere, per i suoi studi critici, come ad esempio la tesi di laurea sull’apprendistato letterario di Gustave Flaubert, ma mai davvero considerata con reale interesse verso la sua poesia. Il motivo è che la sua poesia era diversa e distante da quella dell’amico Vittorio Sereni e della nascente Linea lombarda; era molto elaborata stilisticamente, ma anche calda e appassionata. Nei suoi versi non c’era frattura tra corpo ed emozione, era fuori dagli schemi e in qualche modo anticipatrice. Oggi apprezziamo molto la poesia del corpo - Amelia Rosselli, Sylvia Plath -, diventata importante nel secondo Novecento, mentre allora sembrava troppo effusiva e banale». A emergere oggi è perciò il ritratto di una donna che sa parlare con freschezza al nostro tempo: «Pozzi è vicina al nostro tempo sia come figura di donna che come intellettuale, che come poeta – continua Bernabò –. Come donna ha avuto una vita difficile per via della figura dominante del padre, ma tuttavia era una donna libera e perseguiva la libertà nel rapporto con l’amore, con gli altri, nel rapporto schietto con le persone semplici e la natura. Ha infatti scritto anche poesie contro la guerra e sulle periferie milanesi, mettendo sempre al centro l’essere umano in relazione al mondo e agli eventi storici». Un altro aspetto su cui si sofferma Bernabò è quello della fragilità, di una sensibilità fuori dal comune, che spingeva Antonia Pozzi ad assorbire la sofferenza esterna, in particolare quella delle persone meno fortunate, ma che al tempo stesso le ha dato un’insolita e preziosa ricchezza: «A volte la grande sensibilità si paga sul piano della vita, ma paradossalmente è una risorsa per il mondo. Per la sua sensibilità – spiega la biografa – Antonia Pozzi si è aperta al dolore, ma anche alla bellezza del mondo». La nuova edizione del volume di Bernabò, infine, mette in risalto anche la rete di relazioni della poetessa tramite le lettere, mandate e ricevute, l’attenzione che suscitò in Eugenio Montale, nonché la riscoperta come fotografa: «La poesia di Antonia Pozzi ha percorso il tempo – conclude Bernabò –. Montale riconobbe nella sua poesia la capacità di nettezza dell’immagine e la purezza del suono, concludendo però che era ancora giovane e avrebbe ricominciato tutto da capo in seguito. Quanto al suo lavoro come fotografa, aprì certamente alcuni spiragli nella fotografia italiana di quel tempo e credo che se avesse superato lo scoglio di solitudine in cui si è imbattuta, avrebbe potuto aprire ancora molte porte anche in quel campo, perché è stata una figura completa di donna, intellettuale, poetessa e fotografa». Una figura che, scrive nella postfazione al volume Onorina Dino, «da alcuni decenni a questa parte è sempre più letta e studiata proprio nella specificità di una poesia che esprime un sofferto, e tuttavia ricco e originale, universo di donna. Ed è proprio su questa base che sta conoscendo oggi nuova fortuna».

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