domenica 26 settembre 2021
A Milano in vista del pre-Cop26 il potente lavoro del regista Alessandro Galassi che denuncia mafie e distruzione «Tutto è partito dal Sinodo voluto dal Papa»
Una immagine del documentario del regista Alessandro Galassi “Anamei, los guardianes del bosque”

Una immagine del documentario del regista Alessandro Galassi “Anamei, los guardianes del bosque”

COMMENTA E CONDIVIDI

Anamei ha sillabe d’acqua. La stessa acqua del Grande fiume, “padre e patriarca” lo chiamava Pablo Neruda: il Rio delle Amazzoni. Anamei ha consistenza di terra, la terra ocra di Madre de Dios, dove affonda le sue radici. Anamei ha forza femminile di foresta e maschile energia di sole. Anamei è l’albero: il nutrimento, la casa, la sorgente da cui sono sgorgati gli indigeni Harakbut. Anamei è il mito delle origini.

Ma Anamei è anche e soprattutto orizzonte presente e promessa di futuro. Profezia che consente di scorgere nelle fattezze di un vecchio straniero vestito di bianco – il missionario domenicano José Álvarez Fernández prima, papa Francesco poi, entrambi Apaktone, “papà anziani e saggi”, amici sinceri dell’Amazzonia e dei suoi popoli –, speranza per costruire un diverso finale e un nuovo inizio. Perché la salvezza di Anamei si perpetua generazione dopo generazione: «Quando ormai la terra sarà sul punto di distruggersi, quando l’umanità si troverà sull’orlo dell’abisso, quell’albero verrà.

Un albero ci salverà. E sarà l’albero di Anamei». Mentre, seguendo i passi e le parole di Yésica Patiachi, coraggiosa insegnante Harakbut, lo sguardo si immerge nella selva peruviana di Madre de Dios, lo spettatore fa esperienza di quanto scritto dal Pontefice- Apaktone in Querida Amazonia: «Imparando dai popoli originari, possiamo contemplare l’Amazzonia e non solo analizzarla, per riconoscere il mistero prezioso che ci supera. Possiamo amarla e non solo utilizzarla, così che l’amore risvegli un interesse profondo e sincero. Di più, possiamo sentirci intimamente uniti ad essa e non solo difenderla, allora l’Amazzonia diventerà come una madre». Far contemplare, amare, sentirsi intimamente uniti ad essa fino ad avvertire lo squarcio della terra mutilata dei suoi alberi e trasformata in landa desolata dalle miniere d’oro. Più ancora dei paesaggi mozzafiato, delle inquadrature ardite, della fluidità della nar- razione capace di contaminare stili e storie, in questo risiede il fascino magnetico di Anamei, los guardianes del bosque, il nuovo documentario di Alessandro Galassi che domani alle 18 verrà proiettato per la prima nazionale all’Auditorium San Fedele di Milano.

Ad accompagnare l’evento, promosso dall’associazione “Laudato si’”, il dialogo tra l’autore e il presidente della Casa Carità, Virginio Colmegna, il direttore di “Aggiornamenti sociali” Giacomo Costa, il coordinatore del settore Ecologia del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, Josh Kurathadeem e la giornalista e scrittrice Daniela Padoan. Non casualmente, la presentazione di Anamei coincide con l’esordio della settimana della “pre-Cop26”, il summit preparatorio al vertice Onu sul clima di Glasgow, che si svolge nel capoluogo lombardo e nel cui programma di iniziative culturali All4Climate- Italy 2021 l’iniziativa è inserita. Nel processo che da Milano conduce alla Scozia, i leader mondiali sono chiamati a una decisione inderogabile. Se, cioè, accogliere il “codice rosso” lanciato dagli scienziati internazionali e tagliare drasticamente le emissioni in modo da contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi. O restare indifferenti. Una scelta troppo importante per delegarla ai soli Grandi. Dai “marginali” – a quanti non hanno la vista e le orecchie inquinate da interessi economici e vantaggi politici e sociali – può venire la spallata decisiva.

A patto di remare insieme. La slancio per esplorare rotte nuove, per cambiare paradigma, però, non nasce esclusivamente dalla testa. Richiede una “metanoia”, un mutamento del cuore. «Il coraggio, cioè, di avventurarsi nella “propria Amazzonia interiore”, fino a scoprire che tutto e tutti siamo collegati», spiega Alessandro Galassi e aggiunge: «Da questo moto intimo, che io ho sperimentato in prima persona grazie al Sinodo sull’Amazzonia e al viaggio fra gli Harakbut di Madre de Dios, è nato Anamei ». L’Assemblea sinodale convocata a Roma nell’ottobre 2019 e il ritmo quotidiano della comunità di Puerto Luz divorata dalla febbre dell’oro. Muovendosi con delicatezza da una sponda all’altra dell’Oceano e utilizzando come filo rosso il mito di Anamei – animato e letto in video dalla poetessa Ana Varela Tafur –, il documentario di Alessandro Galassi cuce insieme questi due mondi, solo in apparenza lontani. Le voci dei padri sinodali, di esperti e teologi si mescolano al grido di Delio, Marcos, Nelly e degli altri indigeni che hanno visto le miniere ingoiare, dal 2008, 70mila ettari di foresta e le esistenze di innumerevoli uomini e donne. Prigionieri dell’illusione di fuggire alla miseria atavica, i primi.

Attirate con false promesse e vendute nei postribar aperti h24, le seconde. Nel mentre, le mafie – protagoniste del business dell’oro grazie alle connivenze in patria e all’estero – lucrano sullo scempio di vite e alberi. «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale», ha scritto e affermato, più volte, Francesco, il Papa della Laudato si’. In Amazzonia – dove isolamento e indomabile furia vegetale fanno cadere i veli di presunte civiltà – questo legame appare in tutta la sua tragica potenza. Ecco perché il Pontefice ha voluto indicarla – con il Sinodo, aperto proprio dal suo viaggio a Madre de Dios nel gennaio 2018 – come luogo in cui Dio ci parla. «Il Signore chiederà a ciascuno: “Che cosa hai fatto per l’Amazzonia insanguinata?”», dice Yésica, in una delle riunioni finali del Sinodo, a cui ha partecipato come uditrice.

“Anamei” declina l’interrogativo al plurale: come ci poniamo di fronte a tutte le Amazzonie del mondo, davanti alla sofferenza di ecosistemi, popoli, singoli? Fasciamo le ferite, asciughiamo le lacrime, ricomponiamo i brandelli di spirito o passiamo oltre? Il documentario risponde con una poesia in immagini lunga sessantatrè minuti. Perché, come scriveva il cantautore e musicista Vinicius de Moraes, citato in Querida Amazonia, «solo la poesia, con l’umiltà della sua voce, potrà salvare questo mondo».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: