martedì 7 giugno 2022
A 91 anni si è spento lo “Scriba” del tennis Brera lo chiamò alla mitica redazione sportiva del “Giorno”. Italo Calvino di lui disse: «È uno scrittore prestato al giornalismo»
Il giornalista sportivo, grande intenditore di tennis, Gianni Clerici (1930-2022)

Il giornalista sportivo, grande intenditore di tennis, Gianni Clerici (1930-2022)

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Fino a domenica scorsa, osservando la tribuna stampa del Roland Garros, ci domandavamo: ma dove sarà lo “Scriba” del tennis Gianni Clerici? Ora lo sappiamo, il Maestro dei “gesti bianchi” stava salutando il suo Lago dalla casa di Como, per congedarsi da questa terra, che speriamo davvero «gli sia lieve», come avrebbe chiosato il suo amico, il massimo scriba del folber, Gianni Brera. Clerici a 91 anni (ne avrebbe compiuti 92 il 24 luglio), se ne va in punta di piedi, con il suo fare aristrocratico L’uomo del tennis (Storia della mia vita e di uomini più noti di me) (Mondadori), titolo della sua ultima autobiografia, fu anche l’etichetta con cui lo battezzò frettolosamente nel salotto letterario del Premio Bagutta la sua madrina, Maria Bellonci. Lo fece forse ignara del giudizio più completo dato dall’altra Maria, la somma filologa Corti che, allo stile linguistico “clericiano” riconosceva il crisma idiomatico del «lombardese».

Se per uno sprezzante Umberto Eco «Brera è un Gadda spiegato al popolo», Clerici è stato un dandy, alla Dorian Gray, letto dall’alta società, misto a un più popolare Giorgio Bassani da pagina di quotidiano (ha cominciato nella mitica redazione sportiva del “Giorno nel 1956, proseguendo per “Repubblica” fino a poco tempo fa). Di sicuro, discendente diretto del vate del “prototennis”, l’abate Antonio Scaino da Salò che, alla corte degli estensi, nella Ferrara del tennista- scrittore Bassani, diede alle stampe il trattato cinquecentesco Del giuoco della palla. Caposaldo arricchito e completato dal suo monumentale ed esaustivo 500 anni di Tennis. Clerici storico, certo, enciclopedico diderotiano, ma dotato da sempre di sublimi smash narrativi, (leggere l’ultimo romanzo 2084 La dittatura delle donne; Baldini +Castoldi) quanto di scavalcanti lob poetici. I suoi versi furono apprezzati dal poeta laureato, l’elegiaco cuore interista Giovanni Raboni.

Per Italo Calvino, Clerici è stato semplicemente «uno scrittore prestato al tennis ». Trasformista fregoliano, sfugge ad ogni catalogazione, assurgendo a unico biografo all’altezza del suo personaggio. «Allevato con amore, forse eccessivo e con poca disciplina. Lasciato libero di frequentare il liceo, di ritirarmi da scuola per tentare l’avventura del tennis, di iscrivermi all’università, per abbandonarla e poi riprenderla...», scrive di sé in Quello del tennis. Un pozzo di sapienza che si è nutrito dei tomi cari ad Alan Little, il bibliotecario di Wimbledon. Alla teoria del narratore in erba e del futuro storyteller del green londinese, fece seguire la pratica: le lezioni al Circolo Tennis di Alassio (presieduto da Lord Daniel Hanbury e dal segretario Goodchild), impartitegli dal maestro angloamericano Sweet. «Ai miei tempi il tennis era ritenuto un gioco aristocratico, se erano gli aristocratici a giudicarlo. Per altri un gioco da signorine, il sissy gameanglosassone».

Molti critici musicali non hanno mai suonato uno strumento e spesso non sanno neppure leggere lo spartito, Clerici invece ha imparato presto a pizzicare le corde della racchetta e ha vergato magistralmente interi capitoli dei libretti d’opera e dell’epica eroica dei “Gesti bianchi”. Oltre a far iscrivere il suo nome sull’Albo d’oro del ranking. Campione italiano di doppio, in coppia con Fausto Gardini nel 1947 e nel ’48’. Nel 1950, la stagione mitica di Costa Azzurra, a Vichy vinceva la “Coppa de Galea” e due anni dopo trionfava anche al “Monte Carlo New Eve Tournement”. Non era il più forte di quella “generazione di fenomeni” composta dai vari Pietrangeli, Sirola, Merlo, Gardini e Bergamo, ma lo Scriba in calzoncini e maglietta, rigorosamente bianca, almeno per un turno ha calcato l’erba sempre verde di Wimbledon e “scivolato”, per ribattere colpo su colpo, sulla terra rossa parigina del Roland Garros del suo amato Rafa Nadal.

“Snob e stupid nel tennis”, l’articolo al vetriolo titolato dal “folberciclofilo” Brera, segnò idealmente la sua battuta, d’arresto, con il tennis giocato, ma almeno gli aprì le porte della più straordinaria delle redazioni sportive, quella del “Giorno” voluto dal visionario editoriale Enrico Mattei. Il direttore Italo Pietra gli diede subito in mano la wild card per coniare un nuovo modello di reportage dello sport, da esportare in tutti i campi del mondo. Salutiamo dunque un uomo dallo stile inconfondibile, unico, che ha saputo raccontare con la stessa poesia e intensità romantica la «Divina» Suzanne Lenglen, così come il suo «Idolo» dimenticato, Gianni Cucelli, nato Giovanni Kucel, in terra d’Istria (a Fiume). Giovane staffettista e poi partigiano della bella scrittura Clerici, ha saputo inseguire la traiettoria della pallina e al contempo uscire dalle righe del campo per viaggiare, conoscere, interrogare uomini e donne di tutte le fedi, forte anche di una laurea in Storia delle religioni.

Il tennis con la penna dello Scriba, a tratti del match ha rimbalzato tra la letteratura e l’ascetismo mistico alla Siddharta, eroe del suo amato Nobel personale, Hermann Hesse. Salì apposta nella vicina e ticinese Montagnola, per conoscerlo de visu. E dei tanti libri letti, la risposta al suo mestiere di vivere, l’ha trovata proprio in un paragrafo hessiano di Da una biblioteca della letteratura universale. «L’attività di un cosiddetto libero scrittore è considerata oggi una “professione”, probabilmente perché esercitata come un mestiere qualsiasi da molti che non hanno per essa alcuna vocazione… Perciò ogni libero scrittore trova difficoltà a orientarsi nella sua ambigua situazione, a metà tra il redditiere e lo scrittore non libero, e cioè il giornalista». Lezione appresa, come una battuta regolare. Grazie anche per questo Maestro Clerici.

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