Un anno di sguardi con “Gutenberg”
Alla Biblioteca Apostolica Vaticana per festeggiare il primo anniversario dell’inserto culturale di “Avvenire”. Girardo: «Cultura, atto di resistenza»

Nel libro c’è un «intreccio di generazioni» che parte dall’alba dell’umanità e arriva fino a a noi. Non ci sono solo autori e lettori, ma anche chi ha reso possibile la sua materialità: pergamena, inchiostro, metallurgia per i caratteri mobili, per la carta, fino ai bites di oggi. Una storia che è arrivata ed è ripartita dalla Bibbia di Gutenberg che ieri i partecipanti al convegno “Lunga vita al libro” – organizzato da Avvenire per celebrare il primo anno del supplemento di cultura e libri “Gutenberg” – hanno potuto ammirare nelle sale della Biblioteca Apostolica Vaticana, che ha ospitato l’evento.
L’immagine dell’intreccio, insieme a quelle del libro disponibile alle mani, che incoraggia, ma anche che si nega alle mani quando queste «offuscano il libro e lo perdono», è stata usata dall’arcivescovo Giovanni Cesare Pagazzi, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, nell’introdurre la tavola rotonda che ha coinvolto – moderati dal responsabile della Cultura di “Avvenire”, Edoardo Castagna – lo scrittore Alberto Manguel, la direttrice del Salone del Libro di Torino Annalena Benini e lo storico Andrea Riccardi. In apertura, il saluto del direttore di “Avvenire” Marco Girardo, che ha ricordato come in questi tempi di crisi «investire nella cultura sia un atto di resistenza». E che dopo un anno di “Gutenberg” anche il nuovo sito abbia l’intento di non rivolgersi a «consumatori», ma a chi cerca informazione e cultura. Dimensione che è cruciale «per il singolo e la collettività, e anche per favorire un confronto tra culture diverse», spiega l’assessore alla periferie di Roma, Giuseppe Battaglia.

La vitalità e il futuro del libro come oggetto, che cambia, ma in fondo resta sempre un amico non rimpiazzabile, come contenitore di storie in cui ci si rispecchia e – non ultimo – come strumento di libertà e democrazia, e che per questo è da sempre inviso ai totalitarismi, sono i temi che hanno affrontato le tre voci davanti alla platea in cui sedevano, tra gli altri, il segretario generale della Cei, l’arcivescovo Giuseppe Baturi. «Riportare al centro del dibattito gli inserti culturali – ha sottolineato Benini – è ridare centralità al libro attraverso la critica letteraria e il ragionamento. Tutto ciò solo dopo precipita in eventi come il Salone». Benini poi ha definito il libro un «magnete» e ha notato come per i giovani oggi, soprattutto dopo il Covid, incontrare gli autori, farsi un selfie con loro, è diventato una modalità di partecipazione. Ed è una modalità «che fa scendere gli autori da un piedistallo».
Come l’uomo faccia diventare un oggetto materiale «un’estensione delle sue mani e del suo cervello» si è soffermato Manguel. Libri che possono essere fonti di bene e di male, a seconda di come li interpreta il lettore, ha proseguito lo scrittore, ricordando come l’assassino di John Lennon abbia detto di essersi ispirato al Giovane Holden per commettere l’omicidio. La libertà del lettore spaventa molto i risorgenti fascismi.
«Il libro è decisivo per la nostra civiltà», ha esordito Riccardi, che ha ricordato come i tomi di carta siano stati troppo spesso e prematuramente dati per morti come anche dei giornali e delle edicole. Ma – ha sottolineato lo storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio – «non si vive bene da ignoranti nel mondo globale. Serve un di più di cultura». A queste affermazioni è seguita una disamina su come – sia nel Novecento a cui Riccardi e Benini hanno fatto più volte riferimento, sia nel Nuovo Millennio di social e intelligenza artificiale – il libro abbia resistito ad attacchi di ogni tipo e a continue risorgenze. In particolare, all’esordio, si è soffermato sulla ripresa della formazione biblica nel cattolicesimo post-conciliare e su come questa abbia formato nuove generazioni di cristiani, dopo un oblio che lo aveva portato – ha riferito citando un gustoso aneddoto – a fare da zeppa alle sedia di un parroco. Poi c’è stata la resistenza alla tv, alla poca lettura in famiglia e da ultimo alle tecnologie.
Da studioso di storia del Novecento Riccardi – dopo che Benini aveva citato le donne iraniane che hanno letto Lolita di nascosto, fotocopiandola come gesto di libertà – ha ricordato la barbarie dei roghi di libri passati e recenti – dal nazismo ai talebani. Per questo lo studioso ha sottolineato come la lettura, la cultura, il libro siano presupposti per la pace. Un intellettuale arabo ha detto, la citazione di Riccardi «che quando si rompono le penne non restano che i coltelli». Come ultimo esempio di resistenza di un popolo, quello armeno, e della sua identificazione con un libro, Riccardi ha riportato la storia raccontata da Antonia Arslan ne Il libro di Mush, volume di 27 chili trasportato per le montagne a rischio della vita durante il genocidio per il valore identitario dato a quei testi. Uno dei mille esempio del «cancellare le libertà di chi legge». Non per niente – è stata la conclusione di Manguel – c’è un libro che è stato scritto e rilegato per ogni uomo, ogni istituzione, per il mondo, come diceva Dante; questa è la risposta che l’autore dà ai giovani che gli chiedono «perché leggere?»: «Sta a te scoprirlo».
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