Tutto il bello dell'Anima secondo il poeta François Cheng

Nel suo ultimo libro lo scrittore e pensatore cinese sfida tutti coloro per cui l’essere umano è soltanto pura materia
February 1, 2018
Tutto il bello dell'Anima secondo il poeta François Cheng
Il poeta cinese naturalizzato francese François Cheng
«Alla fine, resta l’anima. In ogni essere, il corpo può conoscere la decadenza e la mente la menomazione. Resta questa entità irriducibile, che vi palpita da sempre, che è il segno della sua unicità». E ancora: «È un misto di evidenza e di mistero, è di una sorprendente semplicità, anche se, al contempo, è di una complessità sbalorditiva, come gli studi di psicologia e di psicoanalisi hanno dimostrato». Così François Cheng, poeta e filosofo cinese naturalizzato francese, calligrafo e traduttore, figura poliedrica capace di meritarsi di entrare fra gli Immortali, nel suo ultimo breve saggio L’anima, da poco edito in Italia da Bollati Boringhieri (pagine 136, euro 15). Che insiste: «Non dimentico i tre ordini di Pascal, che faccio miei. Nell’indispensabile triade corpo-spiritoanima, riconosco pienamente il ruolo fondamentale del corpo e il ruolo centrale dello spirito, ma dal punto di vista del destino dell’individuo, è l’anima ad avere la meglio». Nel suo libro egli ci rammenta la distinzione biblica fra corpo, spirito e anima così come fu elaborata da san Paolo e ripercorre, attraverso la forma di sette lettere scritte a una giovane incontrata sulla metropolitana, gli sforzi di pensatori e poeti alla ricerca dell’anima. E lancia una sfida a quei neuroscienziati che sono giunti ad affermare che il cervello è pura materia. Tutti, secondo Cheng, si sono domandati cosa è l’anima ma ben pochi sono stati in grado di rispondere. Una difficoltà che permane ancor oggi: sia nel caso dei teologi e dei filosofi come degli psicologi e dei fisiologi, emerge quasi l’impossibilità a sondare l’insondabile, a definire ciò che è indefinibile.
Eppure, dell’anima noi a parte gli scientisti radicali - non dubitiamo anche se non riusciamo a designare il suo posto preciso, o la sua stessa sostanza. Ma Cheng è sicuro che essa è legata alla bellezza e alla bontà. Quella bellezza che in sant’Agostino scaturisce dall’incontro dell’interiorità di un essere e dello splendore del cosmo che per lui è il segno della gloria di Dio. Da tempo ormai Cheng rivisita a suo modo «il vero, il bello e il buono », le categorie di Platone fatte proprie da Tommaso d’Aquino, aggiungendo alla visione occidentale la sua esperienza di poeta e la tra- culturale asiatica in cui si sente ancora immerso nonostante viva a Parigi dal 1949, scampato dal comunismo maoista. Molti sono i suoi riferimenti al taoismo ed egli cerca nel suo sforzo speculativo di unire il meglio delle culture di cui si è nutrito, pervenendo a una sintesi fra Oriente e Occidente. Non a caso, allorché prese la nazionalità francese nel 1971 ha scelto il nome di François in onore di san Francesco d’Assisi. E innumerevoli sono in questo breve saggio i riferimenti alla tradizione cristiana, dalla mistica Ildegarda di Bingen («il corpo è il cantiere dell’anima») al poeta Pierre Emmanuel che in un verso ricorda «il guscio del corpo che s’incrina sotto la veemenza dell’anima » allo scrittore Georges Bernanos, che fa dire a Blanche de la For- nei Dialoghi delle Carmelitane: «Quella semplicità dell’anima, noi consacriamo la nostra vita ad acquistarla ».
Ma il capitolo più sorprendente è quello dedicato a Simone Weil, la cui vita stessa è in grado di rappresentare il concetto di anima. Per la filosofa e mistica francese lo spirito è quella capacità dell’essere umano che gli permette di capire e razionalizzare la sua vita. Può essere definita anche mente o intelletto e, in quanto strumento di conoscenza, è fondamentale ma, come il corpo, è al servizio dell’anima, che è l’humus nativo e irriducibile di ogni essere. Descrivendo il suo desiderio di farsi cristiana, il viaggio compiuto ad Assisi e poi all’abbazia di Solesme, il suo incontro folgorante col Cristo, anche attraverdizione so l’amicizia con padre Perrin e il contadino-filosofo Gustave Thibon,
Cheng conclude che «Simone Weil non dubita del fatto che lo stato ultimo di ogni essere sia la sua anima, che ha assorbito in sé i doni del corpo e dello spirito, e che ha una parte già situata nell’altro mondo». Spezzando il sarcasmo voltairiano che in nome dell’intelletto ( esprit) nella sua accezione più ristretta disprezza fino a cancellare l’idea di anima, ma anche il dualismo cartesiano (entrambi hanno portato a un clima «chiuso e inaridente» che predomina in Francia e in Europa), Cheng riesce a mostrarci come l’anima sia tutt’altro che una convenzione che si è preservata solo nell’uso linguistico (“anima gemel-la”, “supplemento d’anima”, eccetera), ma la parte più intima, più sece greta, più inesprimibile e al contempo più vitale di ogni essere, il segno indelebile dell’unicità di ogni persona umana. Come ci ricorda un passo da lui citato del premio Nobel della letteratura Gustave Le Clézio: «La grande bellezza religiosa è di aver concesso a ciascuno di noi un’anima. Strana presenza nascosta, ombra misteriosa che si è calata nel corpo, che vive dietro il viso e gli occhi, e che non si vede. Ombra di rispetto, segno di riconoscenza della specie umana, segno di Dio in ogni corpo».

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