Religiose in Terra Santa, madri di speranza nel cuore del dolore

Queste donne sono in prima linea nell’accoglienza, nell’ascolto e nella cura delle ferite di un territorio fragile e lacerato. L'opera e la testimonianza di suor Azezet Kidane
August 17, 2025
Religiose in Terra Santa, madri di speranza nel cuore del dolore
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Pubblichiamo la prefazione del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, al libro Oltre i confini. In missione dall’Africa in Terrasanta (LEV, in libreria dal 27 agosto, in anteprima al Meeting di Rimini), autobiografia di suor Azezet Kidane, missionaria comboniana eritrea, scritta insieme ad Alessandra Buzzetti, giornalista e corrispondente da Gerusalemme per Tv2000. Cresciuta nell’Eritrea che cercava l’indipendenza, espulsa dal Sudan dove ha rischiato più volte la vita, suor Azezet ha lavorato in Israele e Palestina, tra i beduini e i migranti. Ha lottato contro la tratta di esseri umani nel Sinai verso Israele. Suor Azezet Kidane e Alessandra Buzzetti intervengono al Meeting di Rimini venerdì 22 agosto nell’incontro dal titolo, “Madri per la pace”, vi prendono parte Layla al-Sheik, musulmana di Betlemme che ha perso un figlio nella seconda Intifada, e Elana Kaminka, israeliana, madre di Yannai, soldato ucciso il 7 ottobre 2023 da Hamas.
Sono state in gran parte donne le pioniere di significative opere sociali cristiane nella storia recente della Terrasanta. Hanno fondato scuole, ospedali, strutture di accoglienza per orfani e bambini disabili, altrimenti condannati all’abbandono e all’isolamento sociale.
Il contributo delle congregazioni religiose femminili alla Chiesa di Terrasanta è decisivo. Anche una delle due prime sante palestinesi dell’epoca moderna è una religiosa che ha speso la vita per educare le nuove generazioni e in particolare per alfabetizzare le ragazze arabe: Marie Alphonsine Danil Ghattas, canonizzata da Papa Francesco nel 2015, è la cofondatrice della Congregazione delle Suore del Santissimo Rosario di Gerusalemme, il primo ordine femminile autoctono di Terrasanta.
In un contesto molto tradizionale dal punto di vista sociale, culturale e religioso, penso a quello arabo in particolare, sono le suore ad avere il polso reale della situazione. In quanto donne e consacrate hanno modo di entrare nelle case, d’instaurare relazioni senza filtri con le madri di famiglia, di verificare i loro bisogni e quelli dei loro figli e, spesso, di avviare percorsi di riconciliazione in un contesto sociale ferito e frammentato.
Nelle mie visite pastorali, l’incontro con le religiose, ancora più di quello con i parroci, è un appuntamento fondamentale perché mi dà modo di acquisire una visione realistica delle criticità e delle esigenze del territorio.
Se in Terrasanta, come nel resto del mondo, diverse congregazioni storiche hanno nel tempo ridotto la loro presenza per il diminuire delle vocazioni, altre ne sono arrivate a servizio di povertà antiche e nuove. Come quella delle donne migranti: rifugiate africane e migranti asiatiche, impiegate come badanti in Israele. Sono cristiane, spesso madri sole. Compongono una parte numericamente importante della comunità cattolica in Israele. Le suore comboniane sono impegnate, da anni, nel sostegno di queste donne vulnerabili.
Suor Azezet Kidane ha dato vita a un’opera a Tel Aviv per rispondere al dramma e al bisogno, emersi una quindicina di anni fa, delle rifugiate africane vittime dei trafficanti di esseri umani nel deserto del Sinai. Suor Aziza ha cofondato la cooperativa Kuchinate con una psicoterapeuta ebrea e ha sempre collaborato anche con ONG israeliane. Sono ebrei israeliani i Rabbini per i diritti umani con cui suor Aziza e le sue consorelle comboniane hanno iniziato anche la loro missione tra i beduini.
Me l’ha raccontato nel nostro primo incontro a Gerusalemme. Ero all’epoca Custode di Terrasanta e mi era venuta a trovare, con un’altra suora comboniana, per chiedermi di poter prendere in affitto un appartamento ad al-Azariye, la Betania del Vangelo. Le autorità israeliane avevano ultimato la costruzione della barriera di separazione e il loro convento a Gerusalemme est si era trovato tagliato fuori dalla parte palestinese di Betania. Era diventato molto complicato per le suore raggiungere gli accampamenti dei beduini nel deserto di Giuda, tra Betania e Gerico. Mi aveva sorpreso il desiderio di condivisione e vicinanza di suor Aziza e della sua consorella, tanto forte da indurle a desiderare di trasferirsi in una casa all’interno di un normale condominio, abitato da famiglie cristiane.
Suor Aziza ha un tratto non comune in Terrasanta nel tessere le relazioni, perché non le filtra in base alle sue opinioni personali, più che legittime, sul conflitto. Ha sempre innanzitutto di fronte un bambino, una donna, un uomo. Li guarda per il loro bisogno, senza schemi ideologici, senza calcoli, con molta concretezza. Può sembrare un approccio troppo semplice e alle volte ingenuo, ma risulta, invece, molto saggio in un contesto lacerato come quello attuale.
La naturale comprensione di suor Aziza del dolore e della sofferenza dell’altro proviene in parte dalla sua storia personale. Ha vissuto fin da bambina in un ambiente semplice e povero. Da adolescente ha provato il dramma della guerra in Eritrea, il suo Paese natale; un dramma rivissuto negli anni successivi in altri sanguinosi teatri di conflitto: la prima guerra civile in Sud Sudan e il conflitto in Terrasanta.
Le barriere politiche, culturali e religiose ci sono sempre state, ma dopo il 7 ottobre 2023 appaiono invalicabili. La divisione non è solo tra israeliani e palestinesi, ma anche all’interno delle rispettive comunità di appartenenza. Un arcipelago composto da tante piccole isole, sempre meno comunicanti.
In Terrasanta occorrerà un lungo cammino di purificazione della memoria, di educazione umana e culturale, che consenta di guardare gli eventi non esclusivamente dalla prospettiva delle proprie ferite per riuscire a interpretare gli eventi personali e collettivi con uno sguardo verso il futuro.
Quando vedi morire persone che hai amato, quando legami che pensavi fossero solidi si trasformano in odio e disprezzo, quando vivi la solitudine dell’incomprensione da parte di chi dovrebbe porsi al tuo fianco, rimani segnato in profondità. I conti con la sofferenza non si fanno mai una volta per tutte. Occorre saper darle il giusto peso per non restarne schiacciati, ma soprattutto occorre viverla alla luce della fede: consegnarla a Dio nella preghiera e nella relazione con la sua Parola.
Suor Aziza vede pagine di Vangelo infatti all’apparenza irrilevanti nella storia del mondo. Come il dialogo tra una donna ebrea e una donna palestinese il cui figlio è stato ucciso dall’esercito israeliano.
Per lei, come per chi vive in Terrasanta, ma non ci è nato, è forse più facile accogliere la sofferenza di ciascuno, degli israeliani e dei palestinesi, senza giudicarli, né pretendere cambiamenti immediati. C’è però una condizione irrinunciabile: possedere un grande Amore che riempia il cuore.
È questo il segreto non solo di suor Aziza, ma di ogni cristiano chiamato a testimoniare la sua fede fino al dono di sé.
Gerusalemme, con tutti i suoi travagli sociali, politici, storici ed ecclesiastici, è un luogo privilegiato da questo punto di vista, perché riconduce sempre all’origine e allo scopo della missione: Gesù Cristo.
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