McDonagh: «Gli scrittori inglesi convertiti al cattolicesimo»
La storica racconta le storie di numerosi intellettuali che lasciarono la Chiesa anglicana, da Greene a Waugh, Anscombe e Spark

«Graham Greene, all’inizio del ventesimo secolo, diceva: “Voglio così tanto attaccarmi a qualcosa di solido e fermo”, spiegando così la sua decisione di diventare cattolico. Ed è questa stessa ricerca di sicurezza che ha motivato anche la conversione di altri scrittori famosi di quell’epoca, come Evelyn Waugh. In quegli anni molto febbrili, di grande incertezza economica e sociale e di tensioni intergenerazionali, il cattolicesimo rappresentava stabilità e certezza e offriva verità oggettive e non soggettive. Per questo motivo, oltre ad alcuni fra gli intellettuali e gli artisti più famosi dell’epoca, anche centinaia di migliaia di persone comuni decisero di diventare cattolici in quel periodo». Con queste parole Melanie McDonagh, nota giornalista cattolica di origine irlandese, collaboratrice di testate come “Times”, “Daily Telegraph”, “Evening Standard” e “Spectator”, e anche dei cattolici “Tablet” e “Catholic Herald”, racconta il contenuto del suo libro intitolato Converts, “Convertiti”, che verrà pubblicato dalla casa editrice Yale University Press. Il volume è dedicato al movimento sociale e storico che vide, tra gli anni 1890 e gli anni 1960, in un’epoca di crescente e inesorabile secolarizzazione, più di mezzo milione di inglesi diventare cattolici.
Il suo è il primo studio di questo tipo?
«C’è stato un libro dedicato allo stesso argomento e scritto da Joseph Pearce intitolato Literary Converts, “Convertiti letterari”, ma è un volume scritto da un punto di vista religioso, di uno studioso cattolico, mentre la mia è una ricerca storica e scientifica. Ho usato quasi sempre fonti primarie, gli scritti di questi famosi intellettuali, e alterno alcuni capitoli, dedicati agli individui e alle loro storie personali, con altri dove parlo della società e della Chiesa dell’epoca. Ho incontrato alcuni discendenti di questi personaggi come la figlia di Elizabeth Anscombe, che tradusse Wittgenstein in lingua inglese, la nipote del poeta e scrittore Sigfried Sassoon e il pronipote del romanziere Maurice Baring. Ho anche usato una serie di dati e di statistiche che mi sono stati forniti da Timothea Kinnear, che cura un sito che si chiama “Catholicism in Numbers”, “Cattolicesimo nei numeri”».
Può raccontarci che cosa è successo tra la Prima guerra mondiale e il Concilio Vaticano II ?
«Durante la Prima guerra mondiale ai cappellani cattolici era consentito di arrivare fino in prima linea per ascoltare le confessioni di chi era ferito, di chi rischiava di morire e di chi stava per andare a combattere, e non venivano tenuti in caserma, dietro le linee, come capitava per i pastori anglicani. Molti soldati decisero di diventare cattolici vedendo questi sacerdoti all’opera e traendo conforto dalle loro parole. Il cattolicesimo offriva anche la possibilità di pregare per i morti, così importante in tempi di guerra, un culto che non esiste nella parte evangelica della Chiesa di Inghilterra, ma soltanto tra la minoranza degli anglocattolici. Nel 1920, quando c’era molta incertezza economica, in una società febbrile, la Chiesa cattolica garantiva insegnamenti certi e istruzioni chiare, e attirava molti intellettuali e persone ricche che si ritrovavano a pregare, nella stessa chiesa, insieme alle loro donne delle pulizie di origine irlandese. Diventare cattolici era difficile perché la Chiesa cattolica era una chiesa povera e chi apparteneva alle classi alte doveva adattarsi a edifici disadorni e di cattivo gusto, se paragonati alle chiese anglicane. In molti casi chi si convertiva veniva diseredato da genitori e parenti. Così è capitato a Oscar Wilde, che si è visto ridurre l’eredità da suo zio, che sospettava che potesse diventare cattolico, da 2000 sterline a 100 sterline. Benché il prezzo sociale e finanziario fosse così alto, migliaia di persone decisero di pagarlo, e questo aumento delle conversioni al cattolicesimo continuò anche durante la Seconda guerra mondiale, anche se in misura più limitata rispetto a prima. Subito prima del Concilio Vaticano II, alla fine degli anni Cinquanta, questi anglicani che diventavano cattolici sono aumentati da quasi 2.000 persone all’anno agli inizi del secolo a 16.000 negli anni Sessanta. Nel corso del ventesimo secolo ben oltre 600.000 inglesi sono passati dalla Chiesa di Inghilterra a quella cattolica, una decisione che aveva un impatto anche sui loro discendenti».
È significativo anche il calibro di queste conversioni. Si tratta spesso di intellettuali noti.
«Sì. A diventare cattolici, alla fine del diciannovesimo secolo, furono l’artista gallese Gwen John, sorella del più famoso Augustus Jones, tutto il circolo attorno a Oscar Wilde, Hugh Benson, il figlio dell’arcivescovo di Canterbury, il capo della chiesa anglicana dell’epoca, Graham Greene, Evelyn Waugh, Maurice Baring, e poi, qualche anno dopo, la filosofa Elizabeth Anscombe e Muriel Spark, che divenne, insieme, cattolica e scrittrice. Sia Baring che Spark dedicarono al tema della conversione il loro primo romanzo, che fu di natura autobiografica. Sono convinta che il tema del bene e del male, tipico del cattolicesimo, offrì a quegli scrittori un orizzonte più profondo e interessante rispetto alla noia della quotidianità e, senz’altro, così si sentirono Graham Greene ed Evelyn Waugh quando si convertirono».
E che cosa motivò queste conversioni?
«Graham Greene venne attratto dalla Chiesa perché si innamorò della sua futura moglie Vivien Leigh, che era molto credente, anche se, quando cominciò ad essere istruito nel cattolicesimo, il suo interesse per la fede divenne una ricerca personale di Dio, indipendente dal suo amore per Leigh. La conversione di Evelyn Waugh fu un processo intellettuale e il cristianesimo, ed in particolare la Chiesa cattolica, rappresentò, per questo scrittore, un baluardo contro il caos che caratterizzava la società dell’epoca. Muriel Spark decise di diventare cattolica quando cominciò a leggere gli scritti di san John Henry Newman. Oscar Wilde fu attratto dal cattolicesimo mentre studiava all’università Oxford. Aveva letto gli scritti di John Henry Newman e di Henry Manning, e gli piaceva la liturgia della Chiesa di Roma, ma suo padre era contrario, mentre la madre lo fece battezzare quando era ancora piccolissimo. Wilde si dimenticò poi del cattolicesimo negli anni successivi, quando divenne uno scrittore famoso e decise di abbracciare la fede soltanto pochi minuti prima di morire. Fece promettere al suo amico Robbie Ross che gli avrebbe portato un sacerdote, se si fosse trovato in punto di morte, e Ross mantenne fede alla parola data, trovando un prete passionista, don Cuthbert Dunne, che confessò Wilde e gli somministrò l’Unzione degli infermi. Molti sostengono che lo scrittore, in quel momento, non era in grado di capire cosa stesse succedendo, ma io non sono d’accordo. Wilde comunicava con i gesti e seguiva che cosa stava capitando. Era cosciente, anche se non in grado di parlare».
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