Lumini: «Il vuoto è l'altra faccia dell'amore che crea»

L'"eremita metropolitana" a Torino Spiritualità: «Il vuoto non distrugge, ma libera. Non annulla, ma apre alla creazione»
October 15, 2025
Lumini: «Il vuoto è l'altra faccia dell'amore che crea»
Antonella Lumini
Fino al 19 ottobre, torna per la 21ª edizione Torino Spiritualità, il festival della Fondazione Circolo dei lettori che quest’anno indaga vuoto, mancanza e soglia con il titolo “Questo vuoto d’intorno. Smarrirsi. Raggiungersi”. Il festival, curato da Armando Buonaiuto, quest’anno declina quindi il vuoto in molte variabili, a partire dal suo essere, come dice lo stesso Buonaiuto, «pervasivo e inavvertito come un rumore bianco», nonché capace di diffondersi «nelle vite di ciascuno, manifestandosi sotto molteplici apparenze». Di seguito pubblichiamo un testo di Antonella Lumini, che sarà uno degli ospiti del festival.
Il vuoto, realtà presente, ma misteriosa, inquietante, non controllabile, evoca immagini oscure di nebbie evanescenti che ingoiano, di silenzi e solitudini abissali. In effetti l’horror vacui sviluppa per contrappeso la tendenza a riempire per impedire al vuoto di farsi sentire, di mettere in crisi. Tuttavia, nonostante l’imperversare dei media e delle infinite seduzioni che invitano al consumo bulimico di tutto, compresi affetti, sentimenti, emozioni, il vuoto sta emergendo da quel sotterraneo in cui si cerca di nasconderlo, sbilancia, martella. Siamo arrivati al punto in cui non può più essere contenuto. Straripa, come un fiume in piena. Esce allo scoperto attraverso la paura, l’angoscia, l’ansia, ma anche l’aggressività, la violenza. Tutti sintomi di uno smarrimento strisciante che toglie sapore alla vita.
È giunto il momento di guardarlo in faccia, di ascoltare quello che ha da dire, di scoprire la realtà che nasconde. La proposta di quest’anno di Torino Spiritualità vuole essere proprio «un invito ad accogliere l’enigma del vuoto e della sua vertigine che non annulla, ma crea». Il vuoto spalanca una dimensione che non può essere indagata solo attraverso la mente, ma che, al contrario, chiede di lasciarsi prendere per essere esplorata, sperimentata dal vivo. Del vuoto hanno sempre parlato mistici, filosofi, teologi, poeti, fisici. Certamente, ognuno partendo da prospettive diverse. Difficile tentare di ricomporre un quadro, si può dire però che il vuoto è «tutt’altro che un’assenza». Quando si parla di salto nel vuoto si allude a quella vertigine che fa percepire di non avere più appigli. Vengono meno tutti i parametri, come quando ci tuffiamo nell’acqua e dobbiamo conformarci a un equilibrio completamente diverso a quello abituale. Il contatto con il vuoto genera lo spaesamento che deriva da un totale ribaltamento di coordinate. Suscita un immenso bisogno di approdo, pertanto più spoglia, più libera da tutto l’inutile che appesantisce e ingombra. Spinge verso un centro. Attiva un viaggio a ritroso rispetto all’andamento consueto, tende a portare dentro anziché fuori, come se ci riagganciasse a una misteriosa radice. Dando centratura, immensamente dilata, fa percepire la libertà che scaturisce dal dissolversi di tanti attaccamenti.
Il vuoto è un’esperienza dello Spirito. Richiede silenzio, solitudine, quella via kenotica che implica la morte dell’ego, la morte a se stessi. Conduce verso l’essenza, verso l’origine divina da cui proveniamo, impressa a fuoco nel fondo dell’anima. Allo stesso tempo insegna a stare a proprio agio in mezzo alle contraddizioni del mondo. Il vuoto porta oltre lo spazio/tempo, fa conoscere la beatitudine dell’infinito/eterno, che è già qui, alla quale apparteniamo, che sempre ci aspetta e che costituisce il puntello che sostiene. Il vuoto assume nella realtà dello Spirito, spiega l’enigmatica frase che il Risorto rivolge alla Maddalena: «Non mi trattenere!», come a dire: «Non desiderare che io ritorni nella tua dimensione, vieni tu nella mia!». Così l’Apostola degli apostoli, annuncia la resurrezione rimanendo, come narra la tradizione latina, per trenta anni nel deserto della grotta della Sainte Baume.
Il vuoto, di cui la grotta senza dubbio è uno dei simboli più evocativi, purificando e dilatando diviene veicolo per eccellenza della potenza della resurrezione, di quella straordinaria dinamica di guarigione che attraversa la storia investendo la vita di ogni donna e di ogni uomo, ma che richiede apertura per agire e risvegliare. Il vuoto immette nell’orbita del sorprendente, del meraviglioso, dell’eterno miracolo. Presenta pertanto due facce. Una che smobilita, provoca lo smottamento che fa vacillare o che comunque svuota, toglie via. Aspetto tipico di ogni cammino spirituale, di ogni via kenotica che necessita di levare quanto eccede, ingombra, appesantisce, altera la misura originaria. L’altra faccia invece colma.
Il vuoto, radicando nel centro, fa fluire le energie che scaturiscono pure dalla sorgente e vivificano. Diviene grembo di rigenerazione che dona l’esperienza autentica dello Spirito creatore. Due facce dunque di una medesima medaglia che rimandano all’azione creatrice, alla creatio ex nihilo, in cui Nulla e Creazione costituiscono i due estremi di quel dinamismo tra potenza e atto intrinseca all’amore. La pura potenzialità tende costantemente ad attuarsi nel Tutto. L’unica sostanza è l’amore, forza di coesione degli universi. Il mezzo è l’atto creativo, il Lògos. Il vuoto è colmo di sostanza pura, di amore puro che è Spirito. La Creazione rende attuale ogni potenzialità intrinseca al Nulla. La vita umana è chiamata a partecipare di entrambe queste due dimensioni, a starci dentro bene, a proprio agio. Vuoto e pieno sono inscindibili come espiro ed inspiro, come sistola e diastole. Quando però il vuoto fa paura, è rifiutato, vuol dire che questo vuoto è un vuoto malato: è vuoto di amore. La sua voce allora si fa tonante e va ascoltata perché smaschera la causa reale, vera, nuda del dolore che è mancanza di amore.

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