Luce d'Eramo, cent'anni da aliena con una scrittura spoglia e necessaria

Mostre, ristampe e riflessioni per celebrare una delle voci più libere e coraggiose del ‘900. Un viaggio nell’opera di un’autrice fuori da ogni schema
October 17, 2025
Luce d'Eramo, cent'anni da aliena con una scrittura spoglia e necessaria
La scrittrice Luce d'Eramo nel luglio del 2000
Da Ignazio Silone – lo scrittore a lei più vicino, così vicino da poter essere considerato il suo maestro – Luce d’Eramo aveva mutuato la propensione a uno stile scabro e disadorno, antimusicale quasi per partito preso. È la linea di maggior resistenza del Novecento italiano, caparbiamente affrancata dal mito del bello scrivere e caratterizzata, invece, da un’inquietudine che dal profondo dell’esperienza risale in superficie, esprimendosi in una prosa apparentemente accidentata e spoglia. Non bisogna lasciarsi trarre in inganno, perché il pensiero di D’Eramo D’Eramo, a lungo collaboratrice di Avvenire, non è affatto confuso o incerto. Anzi, ha la stessa esattezza implacabile che si ritrova, per esempio, nel Primo Levi di I sommersi e i salvati. Ma se in Levi agisce ancora il modello della grande lingua scientifica del Seicento (la lingua di Galileo, Magalotti, Torricelli), D’Eramo sembra la prima della sua specie: una specie aliena, secondo la definizione che lei stessa aveva coniato. Non a caso, Io sono un’aliena (prefazione di Margaret Mazzantini, pagine 112, euro 12) è il titolo del libro che Feltrinelli ripropone per il centenario della nascita dell’autrice, aggiungendo un ulteriore tassello alla riscoperta di una figura nello stesso tempo unica ed esemplare.
A Luce d’Eramo (nata Lucette Mangione a Reims, in Francia, il 17 giugno e morta a Roma il 6 marzo 2001) è dedicata la mostra “Un secolo non basta”, in allestimento fino alla fine del mese a Roma, presso l’Aula Colleoni dell’Accademia di Belle Arti. Curata da Claudio Libero Pisano, l’esposizione è in parte una ricostruzione della vita della scrittrice attraverso foto, video e documenti, e in parte una rivisitazione dei suoi testi attraverso il contributo dell’artista Francesco Vaccaro, che per Nnoberavez si ispira a Partiranno, forse il più singolare tra i libri di questa autrice singolarissima. Il romanzo, anch’esso disponibile da Feltrinelli, uscì originariamente nel 1986 e lasciò abbastanza disorientata la critica. Fino a quel momento, infatti, la scrittura di D’Eramo si era ispirata alle urgenze del presente, magari filtrate attraverso la rievocazione di un passato ancora incombente. Da dove veniva questa melanconica divagazione fantascientifica, con un popolo di extraterrestri gentili (i Nnoberavez, appunto), che si preparano a congedarsi dal nostro pianeta? Veniva dal fatto che la scrittrice si riteneva a sua volta un’aliena, ossia una creatura sempre fuori posto e, proprio per questo, capace di interrogare la realtà in modo imprevedibile e radicale.
Nessuna opera si esaurisce mai nella biografia, ma ci sono biografie senza le quali l’opera sarebbe impossibile, prima ancora che incomprensibile. Il talento di D’Eramo è stato quello di non rimanere intrappolata in quello che aveva vissuto, riuscendo tuttavia a darne testimonianza in modo schietto e coraggioso. Non era una storia facile da raccontare, la sua, e in effetti c’è voluto del tempo perché dall’officina della scrittrice uscisse Deviazione (di nuovo in catalogo da Feltrinelli), il capolavoro che nel 1979 suscitò ammirazione e sconcerto. In quelle pagine la scrittrice raccontava una vicenda simile a tante altre che, al contrario, si preferiva lasciare nell’ombra. Spiegava di essere cresciuta in una famiglia di provata fede fascista, con il padre Publio – pittore, aviatore, imprenditore – che nel fatidico 1943 risale al Nord da Alatri, dove nel frattempo i Mangione si erano stabiliti, per assumere un incarico di governo nei ranghi della Repubblica Sociale.
Luce si immatricola all’Università di Padova, è curiosa del mondo, vuole capire che cosa sta veramente accadendo, e allora parte volontaria per la Germania, lì vede, comprende si ribella, cambia idea, conosce l’orrore dei lager, vaga per le città distrutte dai bombardamenti degli Alleati fino a quando, a Magonza, un muro pericolante le cade addosso e le spezza la schiena. Nonostante le cure, non recupera l’uso delle gambe. Il colpo di grazia glielo darà, anni dopo, un incidente all’aeroporto di Francoforte. Non lascerà più la sedia a rotelle, ormai inseparabile dalla sua immagine.
Deviazione è il primo libro che D’Eramo inizia a scrivere nel dopoguerra, non il primo che pubblica. Esordisce da un piccolo editore milanese, Gastaldi, con i racconti di Idilli in coro (1951) e La straniera (1954), trasparentemente ispirati alle sue vicissitudini. I libri – firmati con il cognome del marito, il filosofo Pacifico d’Eramo, scelta poi mantenuta anche dopo la fine del matrimonio – attirano l’attenzione di Alberto Moravia, che introduce la giovane scrittrice negli ambienti letterari e con il quale la stessa D’Eramo non esita a polemizzare in un pamphlet del 1959, Raskolnikov e il marxismo, ancora illuminante per acume politico e indipendenza di giudizio. Non meno importante è, nel 1966, l’incontro con Ignazio Silone, al quale D’Eramo dedicherà nel tempo una serie di saggi poi riuniti in un corposo volume edito nel 2014 da Castelvecchi.
La condizione del “cristiano senza Chiesa e socialista senza partito” è quella che più somiglia alla consapevole unicità di D’Eramo, che dopo il successo di Deviazione affronta le ambiguità del terrorismo (Nucleo zero, 1981) e, compiuto lo scarto fantastico di Partiranno, esplora con tempestiva lucidità il tema della vecchiaia e del decadimento (Ultima luna, 1993). Nel decennio finale della sua esistenza, il ritmo delle pubblicazioni diventa più cadenzato: nel 1995 è la volta di Si prega di non disturbare, con cui si addentra nel groviglio dell’estremismo di destra; del 1997 è Una strana fortuna, sui chiaroscuri del disagio mentale; risale al 1999 la sistemazione dei Racconti quasi di guerra, preludio all’imponente raccolta di Tutti i racconti (Elliot, 2013).
Il congedo avviene nel 2001, l’anno della sua morte, con un romanzo intessuto di delicate allusioni autobiografiche, Un’estate difficile. Letteratura e vita ancora insieme, dunque, a conferma di un’alleanza irreversibile e mai compiaciuta. Non fosse che per l’umiltà un po’ scontrosa con cui si offriva all’interlocutore, non importa quanto occasionale, Luce d’Eramo era davvero un’aliena rispetto ai vezzi e alle impuntature dell’intellighenzia dell’epoca. Anche per questo, la sua lezione di maestra involontaria è più illuminante, più attuale che mai.

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