L'impero celeste degli abati di Cluny

Non solo la storia di un ordine monastico, ma l’epopea di una civiltà: una potenza spirituale che si fece istituzione, architettura, politica, teatro sacro e infine mito. La summa di Cantarella
July 15, 2025
Ricordo nitidamente quel pomeriggio in cui, adolescente curioso e disordinato, pescai dallo scaffale di una libreria del centro I monaci di Cluny di Glauco Maria Cantarella, tra i maggiori medievisti italiani, a lungo docente presso all’Università di Bologna. La copertina – sobria, ma con un che di austero – prometteva d’immergere il lettore in un mondo remoto e affascinante. E così fu. Lessi d’un fiato, senza capire tutto ma intuendo moltissimo. Era una delle mie prime immersioni nel Medioevo: una narrazione viva e avvincente, capace di riportarti indietro nel tempo. Cluny – con i suoi riti, i suoi silenzi, le sue chiese smisurate e i suoi abati-architetti d’imperi spirituali – mi apparve come un luogo reale e al contempo leggendario. Non sapevo quasi nulla, allora, di cosa fosse davvero: iniziavo a intuire, però, quanto quel nome fosse in grado d’evocare un’intera civiltà monastica, nata nel cuore della Borgogna del X secolo: una rete di abbazie che seppe guidare la rinascita monastica d’Europa e trasformare la liturgia in visione, l’obbedienza in potere, il silenzio in linguaggio universale. Oggi, molti anni dopo, mi ritrovo a leggere L’impero di Cluny. I monaci della corte celeste, edito dallo stesso autore per Carocci (pagine 212, euro 21,00), con una consapevolezza diversa. E l’emozione è profonda, quasi vertiginosa. Perché questo nuovo libro – poderoso e visionario, nonostante le appena duecento pagine – non è solo l’opera matura di uno dei nostri migliori storici del Medioevo; è anche una summa narrativa e interpretativa che dà forma a decenni di studio e scrittura, restituendo al lettore non tanto la storia di un ordine monastico, quanto l’epopea di una civiltà. Con un linguaggio limpido ma denso, Cantarella rievoca il sorgere e lo splendore di una potenza spirituale che si fece istituzione, architettura, politica, teatro sacro, e infine mito. Come Roma – scrive l’autore –, Cluny non nacque come impero: lo divenne. E, come Roma, fu travolta in modo traumatico. Siamo di fronte a una costellazione spirituale e materiale, fatta di pietra e liturgia, di silenzi e di potere. A partire dalla fondazione (909 o 910), dalla dedica ai santi Pietro e Paolo e dalla donazione del duca Guglielmo d’Aquitania, l’autore segue passo dopo passo la straordinaria parabola dell’abbazia borgognona: da cellula benedettina immersa in un’Europa ancora carolingia a cuore pulsante di una nuova cristianità in gestazione. Si scopre, così, come l’autorità dell’abate, l’elaborazione teologico- liturgica del quotidiano, l’esenzione giuridica dai poteri secolari e la gestione sapiente di donazioni e priorati contribuissero alla nascita di un “impero della preghiera”, capace di rivaleggiare con il papato e l’impero, e spesso di mediare tra loro. Le tensioni interne, le ambizioni frustrate, i colpi di mano istituzionali (e simbolici), il culto ossessivo della castità e della disciplina, i crolli improvvisi dell’ideale nella realtà della carne e della politica: tutto viene raccontato con lucidità, a volte con pudore, più spesso con una chiarezza disarmante. L’arte di Cantarella consiste nel rendere ogni capitolo una soglia: quello sulla “crisi sotterranea”, ad esempio, si legge come un piccolo trattato sulla corrosione delle istituzioni per logoramento interno; “Roma, il buco nero” diventa il luogo simbolico dove la congregazione si riflette e si smarrisce. E poi c’è il crollo, narrato senza enfasi ma con una precisione che ferisce: Cluny, che aveva resistito a scismi, carestie e guerre, non sopravvisse al “passaggio del mondo nuovo”, venendo venduta al miglior offerente, smontata pietra dopo pietra da speculatori, e trasformata in cava di materiali da costruzione: perché «gli affari sono affari, che diamine…». Nel finale, là dove la gloria si incrina e i “castelli del cielo” (o i “castelli della preghiera”?) sembrano sul punto di essere espugnati dai demoni, resta la sensazione profonda di avere viaggiato dentro un’utopia reale, che ha trasformato la perfezione in programma sociale e spirituale. Si capisce, dunque, il titolo: L’impero di Cluny. Non una metafora: una diagnosi storica. L’autore non indulge mai nell’accademismo autoreferenziale. Eppure, si avverte in filigrana la sapienza di chi ha trascorso una vita intera tra cronache, cartolari, fonti conciliari e codici miniati, riuscendo a trasfondere quella sapienza in una scrittura limpida, accessibile ma mai semplificata, in grado di coinvolgere studiosi e lettori curiosi allo stesso modo. Ogni pagina è costruita con il passo lungo della narrazione e l’attenzione minuziosa del filologo. Chi erano questi athletae Dei? Quale idea di uomo, di potere, di spazio sacro portavano nel cuore delle campagne europee? Quale lotta – interiore, culturale, politica – li plasmava? Cantarella risponde senza fretta, costruendo un affresco fatto di fonti, gesti, regole e scandali, senza timore di addentrarsi nei temi più scomodi (come l’ossessione per la castità o la lotta interna tra abati e seniores), ma con il rispetto che si deve a chi ten- tò di trasformare la propria vita in liturgia vivente. Siamo di fronte, insomma, a un libro importante, la cui vera forza sta nel saperci parlare, attraverso Cluny, di un’altra idea di mondo, in cui il cielo non era evasione ma architettura, e la regola una forma di resistenza all’entropia morale. Leggere L’impero di Cluny oggi, in un’epoca che ha smarrito la dimensione del silenzio, del limite e della verticalità simbolica, significa confrontarsi con ciò che abbiamo perduto e con ciò che potremmo ancora comprendere. È raro che la storiografia riesca a essere, insieme, scavo documentario e gesto letterario. Ma questo libro – ne sono certo – avrebbe affascinato anche quel ragazzo che, anni fa, lesse I monaci di Cluny come si leggono i romanzi di formazione. Con una differenza: il sottoscritto sa bene, oggi, cosa costi costruire una simile opera. Per questo, non può che leggervi, oltre al capolavoro di un grande storico, anche un atto d’amore verso l’umanità inquieta che attraversa il Medioevo.

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