La poesia per Francesco ha un volto sociale e teologico
Nei testi raccolti da padre Spadaro emerge la forza profetica dell'insegnamento di Bergoglio: dall’incontro dei movimenti popolari all’esortazione sull’Amazzonia

Dei testi di papa Francesco che padre Antonio Spadaro ha riunito in viva la poesia! (Ares, pagine 224, euro 18,50), due colpiscono in particolare. Uno è il videomessaggio inviato il 16 ottobre 2021 al IV incontro mondiale dei Movimenti popolari, l’assise che fin dagli esordi è stata tra gli interlocutori privilegiati del pontificato di Bergoglio. Ai partecipanti il Papa si rivolge con l’appellativo di «poeti sociali», così motivando la scelta: «Perché voi siete poeti sociali, in quanto avete la capacità e il coraggio di creare speranza laddove appaiono solo scarto ed esclusione. Poesia vuol dire creatività, e voi create speranza. Con le vostre mani sapete forgiare la dignità di ciascuno, quella delle famiglie e quella dell’intera società con la terra, la casa e il lavoro, la cura e la comunità». Poesia come arte del fare, dunque, in coerenza con l’etimologia della parola (dal greco poiein), ma anche come arte della speranza, secondo un’intuizione che rinvia ai contenuti dell’attuale Giubileo. Il secondo testo, non meno sorprendente, risale al 2 febbraio 2020 ed è uno stralcio dell’esortazione postsinodale Querida Amazonia, quasi interamente costruito mediante l’accostamento di ampie e circostanziate citazioni dalle opere di numerosi poeti dell’area latino-americana. Salvo errore, si tratta di un unicum nei documenti del Magistero. Mai, prima di allora, la letteratura era stata utilizzata non come fonte o allusione, ma come trama portante dell’insegnamento di un Pontefice. Neppure san Giovanni Paolo II – che era poeta in proprio, e di valore indiscusso – si era spinto tanto in là. Il suo ultimo capolavoro, il Trittico romano del 2003, poteva essere considerato un complemento e per molti aspetti un commento al suo stesso insegnamento, ma non ne condivideva la nota teologica.
In Querida Amazonia, invece, Francesco attribuisce alla voce della poesia una forza profetica che, di nuovo, andrà intesa in senso letterale: come volontà di testimoniare il vero in condizioni avverse, ricordando per esempio che «Il fiume è una fune a cui si aggrappano animali e alberi. / Se tirano troppo forte, il fiume potrebbe esplodere» (l’autore è il colombiano Juan Carlos Galeano). Che Francesco non consideri la poesia come un passatempo o, peggio, un’occupazione per specialisti risulta del resto evidente dalla più organica delle riflessioni dedicate al tema, la lettera «sul ruolo della letteratura nella formazione» pubblicata nell’estate scorsa. L’immedesimazione nelle vicende dell’altro consentita dalla lettura di un romanzo, la peculiare forma di attenzione resa possibile dal confronto con la parola poetica, la letteratura stessa elevata a forma di esperienza e, con inconfondibile tocco ignaziano, a strumento di discernimento sono alcuni dei tratti rilevanti di un intervento che, nella sua apparente occasionalità, non manca di ribadire un principio fondamentale: quello per cui la pratica della letteratura (e la letteratura si pratica anche nella lettura, non solo nella scrittura) non è esclusiva di alcuni, fossero pure i sacerdoti ai quali la lettera era originariamente indirizzata, ma è dimensione dell’umanità in quanto comunità che si interroga e nell’interrogativo si riconosce.
È il motivo per cui, come giustamente osserva Spadaro nel dettagliato saggio introduttivo, nei suoi viaggi apostolici Francesco non manca mai di fare appello alla tradizione letteraria dei diversi Paesi. Lo ha fatto spesso anche in Italia, verrebbe da aggiungere tornando con la memoria al 7 luglio 2024 quando, a conclusione delle Settimane sociali di Trieste, il Papa ha volute fare suoi i versi nei quali Umberto Saba, passando in rassegna l’umanità minima di Città vecchia, afferma: «Sono tutte creature della vita / e del dolore; / s’agita in esse, come in me, il Signore».
Anche Francesco ha i suoi classici e, più ancora, ha il suo modo di leggere i classici. Lo ha dimostrato nel 2021, nella lettera Candor lucis aeternae dettata per il settimo centenario della morte di Dante. La Commedia, ha ribadito in quella circostanza, non può essere a ridotta a oggetto di analisi erudita. Al contrario, l’autore del poema «ci chiede piuttosto di essere ascoltato, di essere in certo qual modo imitato, di farci suoi compagni di viaggio, perché anche oggi egli vuole mostrarci quale sia l’itinerario verso la felicità, la via retta per vivere pienamente la nostra umanità, superando le selve oscure in cui perdiamo l’orientamento e la dignità». Dall’amatissimo Manzoni alla familiarità con l’altrimenti inespugnabile Jorge Luis Borges, dalla riscoperta del francese Joseph Malègue, cantore delle «classi medie della santità», fino alla preferenza assegnata al Dostoevskij più impervio, quello che in Memorie del sottosuolo si spinge nelle contraddizioni abissali di un’interiorità ferita, il Papa venuto «quasi dalla fine del mondo» si è progressivamente rivelato come un lettore eclettico ed esigente. «La poesia ci aiuta tutti a essere umani, e ogni ne abbiamo tanto bisogno», dichiara Francesco nel breve messaggio che troviamo in apertura di viva la poesia! A parlare, in questo caso, è anzitutto un narratore sapiente e istintivo, che la Provvidenza ha chiamato a guidare la Chiesa nel tempo in cui le grandi narrazioni erano date per spacciate. Ma la speranza, a volte, può anche assumere l’aspetto di un libro aperto.
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