Il cosmo di legno di Mario Ceroli in mostra a Roma

di Marco Bussagli
La Galleria Nazionale di Arte Moderna dedica la più ampia retrospettiva mai realizzata allo scultore novantenne
October 13, 2025
Il cosmo di legno di Mario Ceroli in mostra a Roma
Mario Ceroli, “La primavera”, 1968, legno pino di Russia, elementi metallici
«Ho quasi novant’anni e ancora mi diverto!» ha detto dall’alto dei suoi capelli bianchi Mario Ceroli, uno dei grandi vecchi dell’arte mondiale (e italiana in particolare), a conclusione della conferenza stampa che ha preceduto l’apertura della sua mostra alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Intitolata giustamente “Ceroli Totale” (fino all’11 gennaio) la grande esposizione – come ha dichiarato Cesare Biasini Selvaggi, curatore insieme a Renata Cristina Mazzantini, direttrice della Galleria –, ripercorre settanta anni di carriera nel corso dei quali lo scultore ha saputo attraversare i movimenti pop della Scuola di Piazza del Popolo e dell’Arte povera, passando per le esperienze più stimolanti della collaborazione con Pier Paolo Pasolini e quella teatrale con Luca Ronconi, fino a quelle televisive con la RAI. Celebre, infatti, la sigla della trasmissione culturale L’Approdo, andata in onda per la prima volta nel 1963, con l’Uomo vitruviano di Leonardo trasformato in un enorme disco di legno su cui le due figure dell’homo ad circulum e dell’homo ad quadratum, si stagliavano maestose per via di quella ruvida e insolita materia che conferiva loro una nuova forza. Sono infatti quei «piccoli pezzi di legno» come li chiama l’artista stesso, con tono complice e grato quasi fosse un novello Geppetto, a essere i veri protagonisti della grande arte di Ceroli che, da ragazzino, nella natia Castel Ferentano, in Abruzzo, andava a curiosare nella bottega del falegname accanto a casa. «Scolpiva delle sfere di legno e mi rimaneva nel naso l’odore acre della resina e della colla che non è andato più via», ha confessato in conferenza stampa.
Se mi si permette un paragone con l’immenso Michelangelo che diceva di aver succhiato la polvere di marmo insieme al latte della balia, moglie di un lapicida di Caprese, si può dire che Ceroli pure abbia respirato l’odore del legno fin dai primi anni di vita. Proprio lui che ha rivoluzionato la scultura e ribaltato l’assunto michelangiolesco secondo cui si scolpisce “per via di levare” (certo il marmo; ma pure il legno). Ceroli, invece, arriva alla forma e al volume plastico “per via di aggiungere” quei «piccoli pezzi di legno» che senza il genio delle mani dell’artista sarebbero muti e tristi. Ceroli, invece, disegna la sagoma di ciascuno di essi, li ritaglia col seghetto, li assembla insieme e infonde loro la vita, come nel caso dell’opera Noi Europa, figlia del libro, del 2006, esposta in mostra. Qui, un monumentale uomo di legno, alto più di due metri, a forza di braccia, spinge verso il muro un enorme rotolo di piombo, che mima la pergamena dei codici, con l’intento di tenerla aperta per sempre ed evitare che si richiuda. È un monito per l’Europa e per il mondo, contro l’ignoranza, che gli ha fruttato, fra l’altro, il titolo di “Accademico” conferitogli dall’Università Roma Tre.
Tuttavia, Mario Ceroli è davvero un accademico quale docente di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, nella quale è entrato da allievo, uno dei tanti. È, infatti, a questa gloriosa istituzione che deve la sua formazione, grazie al nume tutelare di professori che sono stati pietre miliari della scultura italiana, da Pericle Fazzini (quello del Cristo risorto nell’Aula Paolo VI in Vaticano), a Leoncillo Leonardi (quello dei San Sebastiano) e ad Ettore Colla (quello della Grande spirale che svetta ancora accanto alla GNAMC) di cui prese la cattedra, dopo esserne stato l’assistente.
Mario Ceroli, “La tela di Penelope”, 1992
Mario Ceroli, “La tela di Penelope”, 1992
Voluta dalla direttrice Renata Cristina Mazzantini (che ha pure individuato Mario Ceroli come “artista dell’anno”, dedicandogli – da ora – iniziative pubbliche), la mostra è stata resa possibile grazie all’importante contributo di Banca Ifis e alla fattiva collaborazione del suo presidente Ernesto Fürstenberg Fassio che, inoltre, ha prestato parte delle opere in mostra. Infatti, sono esposti capolavori delle collezioni della galleria, della banca e dell’artista stesso che qui possono essere ammirati per la prima volta. Mi riferisco alla Tela di Penelope, realizzata con spago e barre di terracotta che ne tendono la lunghezza e ad Arpa Birmana, dove alla terracotta è sostituito il legno come materiale degli strumenti a percussione. La prima opera s’ispira alle abilità di Filomena Abbonizio, la nonna del piccolo Mario che, con gli occhi sgranati, ammirava la sua capacità di tessere al telaio una stoffa che non esisteva e nasceva come per magia al suono della spoletta che batteva sul legno. È stato questo lo spunto che ha ispirato l’Arpa Birmana, con cui il ritmo prende forma. Il percorso si snoda attraverso dieci sale, con opere storiche, come Cina, esposta per la prima volta nella Galleria “La Tartaruga” di Plinio De Martis nel 1966 e Primavera del 1968 che rappresenta un po’ il manifesto di Ceroli per quell’Arte povera guidata da Germano Celant. Corredata da un bel catalogo che uscirà a novembre per i tipi di Mousse Magazine & Publishing, l’esposizione annovera opere lontane come Battaglia del 1978, dedicato alla memoria di Pier Paolo Pasolini, eppure attualissime, come Progetto per la pace (1969) di cui c’è tanto bisogno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Temi