Franz Brentano e l’egoismo come ingiustizia sociale

Tornano disponibili gli scritti sulla morale del filosofo che fu maestro di Husserl. Tra i temi, la possibilità di limitare il diritto alla proprietà privata in quanto limite al "maggior bene com
August 21, 2025
Franz Brentano e l’egoismo come ingiustizia sociale
WikiCommons | Franz Brentano a Firenze nel 1898
«Se uno avesse ogni conoscenza e nessun amore elevato, e un altro ogni amore elevato e nessuna conoscenza, nessuno dei due sarebbe in grado di impiegare le sue prerogative al servizio del sempre maggiore bene collettivo». Così ammonisce Franz Brentano (1838-1917), in un libello ora ripubblicato da Morcelliana, nella versione tradotta, curata e annotata da un maestro della storia della filosofia come Adriano Bausola. Il piccolo classico, oggi di nuovo disponibile, è Sull’origine della conoscenza morale (pagine 172, euro 18,00), che reca in calce la postfazione di Vincenzo Costa, efficace nel sottrarre Brentano alle nebbie della manualistica filosofica. Se ci si affidasse solo a essa, i ricordi correrebbero alle note biografiche dedicate a Edmund Husserl. Da quelle righe si evincerebbero, tra gli altri, i suoi maestri. E, tra questi, farebbe capolino il nome di Brentano ma lì rimarrebbe confinato. Non che sia falso ma si tratta soltanto di una parte della realtà, come sottolinea bene sempre Costa. Brentano che visse a cavallo di due secoli si impose, nel suo progetto di ricerca, di farsi carico dei nuovi risultati delle scienze moderne, in particolare della psicologia, senza però lasciarsi alle spalle la tradizione, mettendo anzi a frutto sia il pensiero di Aristotele ma soprattutto quello di San Tommaso d’Aquino. Non è un caso se, per questa sua attenzione verso agli sviluppi della scienza, una componente significativa della filosofia del Novecento riconosce al pensatore tedesco il merito non solo di aver ripreso e riportato nel dibattito filosofico un’idea come l’intenzionalità, recuperata da San Tommaso benché spinta ben oltre i confini del neotomismo. Ma gli è debitrice anche per aver posto le basi per il riconoscimento del ruolo recitato dalle emozioni nella vita psichica. Con le intuizioni di Brentano si confrontarono, anche polemizzando, alcuni dei suoi studenti più assidui, Sigmund Freud, Rudolf Steiner, Alexius Meinong oltre al già citato padre della fenomenologia. Eppure non solo loro ebbero modo di valorizzarne i contribuiti. Oggi come oggi, della lezione del pensatore tedesco, rimane traccia sia in diversi ambiti delle scienze cognitive sia in alcuni filoni di ricerca delle neuroscienze. Insomma per quanto il suo nome trovi uno spazio davvero marginale nella manualistica le sue scoperte non sono state senza conseguenze non solo per il pensiero filosofico ma anche per la ricerca scientifica. Per comprendere l’idea di intenzionalità della vita psichica sviluppata da Brentano occorre in primo luogo coglierne il significato. Essa illustra come ogni contenuto della coscienza sia rivolto a qualcosa. Questo è reso evidente dalla stessa etimologia. I vocaboli latini da cui deriva, intentio e intendere, nel loro significato originario, stanno a indicare un tendere verso qualcos’altro, un volgersi ad altro. Ma questa è una caratteristica anche delle emozioni, che sono quindi a tutti gli effetti dei fenomeni psichici. «Le emozioni presuppongono - spiega Costa - alla loro base una rappresentazione che viene valutata come buona o cattiva. Nelle emozioni viene, pertanto, esperito qualcosa che mostra un aspetto di valore o disvalore» che rende qualcosa degno di essere amato. Proprio per questo esse assumono un peso anche nella conoscenza morale e dunque nella conoscenza del bene, come si scopre in Sull’origine della conoscenza morale. «Diciamo che qualcosa è buono - insiste Brentano - quando l’amore a esso relativo è giusto. Ciò che deve essere amato con giusto amore, ciò che è degno di essere amato, ecco il bene nel senso più ampio della parola». Ma questo amore non deve riservarsi solo a se stessi. «L’importante principio che l’ambito del massimo bene pratico coincide con l’intera sfera di ciò che è sottoposto alla nostra azione razionale - sottolinea Brentano -, nella misura in cui in essa possa essere realizzato qualcosa di buono: non soltanto il nostro proprio io: la famiglia, la città, lo Stato, l’intero mondo vivente attuale, anzi perfino le età del più lontano futuro possono rientrare in questa sfera», influenzando forse Hans Jonas in qualità di padre dell’ecologia. Il «dovere d’amore verso il massimo bene pratico» unito col fatto che «l’uomo è destinato eticamente alla vita nella società» viene anche indagato in un recente lavoro che può essere di interessante supporto alla lettura di Sull’origine della conoscenza morale. Si tratta di La rivoluzione intellettuale di Franz Brentano. Al servizio del maggior bene comune (Unicopli, pagine 338, euro 25,00) di Antonio Russo, docente di filosofia morale all’università di Trieste. Avvalendosi di testi e carteggi inediti, l’autore mette in luce come la riflessione di Brentano non si raggomitoli solo in una dimensione teoretica. Il filosofo tedesco constata, ai suoi tempi, una diffusa ingiustizia, dovuta all’egoismo degli uomini, per far fronte alla quale ipotizza la possibilità di limitare il diritto alla proprietà privata anche se non una espropriazione. Le sperequazioni sociali si sarebbero verificate perché gli uomini, nel corso del tempo, avrebbero vieppiù preso le distanze dagli ideali religiosi riponendo la felicità nel possesso di beni materiali. E i doveri morali, senza il supporto della fede, non bastano. Per questo «è facile dimostrare - incalza Brentano nel testo pubblicato da Morcelliana - che se si vuole evitare che gli individui si ostacolino piuttosto che stimolarsi, vi devono essere dei limiti al libero agire di ogni singola personalità», limiti che richiedono “un ulteriore rafforzamento mediante la forza pubblica che li sostenga”.Per Brentano, per realizzare le istanze politiche e sociali e assicurare la giustizia occorre imboccare “una soluzione intermedia, che egli sintetizza - precisa Antonio Russo - con il termine di Mittelweg (via media), che da un lato eviterebbe i mali del collettivismo e dall’altro quelli del capitalismo. Essa, per raggiungere i suoi obiettivi di riforma, prepara con cauta gradualità il passaggio dalla ingiusta situazione presente all’attuazione dei presupposti indispensabili per l’emergere di un ordine migliore portatore dei valori del dovere d’amore, il Liebespflicht”.
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