Da re a unto: l'ebraismo e i volti contesi del Messia

Il biblista israeliano Israel Knohl, al contrario di Scholem, va alle radici antiche dei profeti-scrittori su un tema a lungo oggetto di controversie
November 12, 2025
Da re a unto: l'ebraismo e i volti contesi del Messia
James Tissot, “I ferisei e i sadducei tentano Gesù”. New York, Brooklyn Museum / WikiCommons
È luogo comune pensare che gli ebrei stiano ancora aspettando il messia. I più raffinati ricordano che anche i cristiani lo aspettano nella parusia ossia come seconda venuta di Cristo. Ma esiste una questione che sta a monte, assai più intrigante e istruttiva di questi calcoli escatologici, ed è la ricerca di quando sia nata l’idea messianica, di quante forme teologico-politiche abbia preso, di quali fonti la attestino già secoli prima di Gesù e, non ultimo, di come essa si sia evoluta, almeno nel giudaismo, nel corso della storia. Le idee infatti evolvono e spesso risultano incomprensibili fuori dai contesti storici in cui sono nate e cresciute. L’idea o, se si preferisce, il titolo di messia non fa eccezione. Per rendersene conto, documenti alla mano, può aiutare un recente studio dal titolo esplicito La disputa messianica. Farisei, sadducei e la morte di Gesù (Adelphi, pp. 218, euro 22), sintesi di molti decenni di ricerche del biblista israeliano Israel Knohl, già noto in Italia per un paio di altri volumi sui medesimi temi. L’ultimo studioso ebreo che si cimentò in una ricostruzione sistematica dei concetti che stanno alla base del messianismo fu Gershom Scholem nel volume L’idea messianica nell’ebraismo, sempre edito da Adelphi (2008). A ben vedere però, Scholem ne cercava origini e diffusione nella letteratura apocalittica, in particolare nel crogiuolo di un pensiero mistico e in parte talmudico che sarebbe poi fiorito nella tarda antichità e nel medioevo. Il lavoro di Knohl è altra cosa, ha un obiettivo diverso, perché risale nel tempo ai grandi profeti-scrittori e scava in versetti e pericopi che davvero stato stati, nei secoli, al centro delle controversie sul concetto di messia prima dentro il giudaismo (tra farisei e sadducei, come dice il sottotitolo), poi nelle diverse scuole rabbiniche, e infine tra ebrei e cristiani (si pensi alla faziosa disputa di Barcellona del luglio 1263).
Per Knohl l’ideale messianico, se non l’idea di messia, ha le sue radici in Giudea, nella crisi della monarchia al tempo del re Acaz e di Tiglat-Pileser III, allorché si pose il dilemma teologico-politico se fidarsi o non fidarsi dell’impero assiro, che aveva appena distrutto il regno di Israele. Siamo nella seconda metà del VIII secolo e Isaia “profetizza” che in futuro sorgerà un virgulto regale che porterà vero shalom, sicurezza e benessere, sul trono di Davide. Isaia cioè non si rassegna dinanzi alla crisi politica e sogna un re diverso, forte ma che confida più nel Signore che nelle alleanze militari. Un altro profeta, Osea, di poco anteriore a Isaia, la pensa in modo opposto e dinanzi alla crisi dell’istituto monarchico vorrebbe un suo definitivo tramonto e il ritorno all’epoca dei giudici, quando Israele non aveva bisogno di un re e di una dinastia regale. I semi del messianismo e dell’anti-messianismo, secondo Knohl, furono gettati allora. Ma si sa, è legge dei semi il germogliare, a volta a distanza di tempo e di luogo. Toccò a Geremia, sotto il regno sì glorioso ma di breve durata, del re Giosia, recuperare e coltivare quei semi nel dipanarsi della tragedia della deportazione a Babilonia e della distruzione del primo Tempio, prima di finire i suoi giorni in Egitto. Con Geremia e, poi il secondo e terzo Isaia, l’ideale messianico inizia persino a spiritualizzarsi, in un percorso che conoscerà come primo “messia” un non ebreo, quale fu Ciro di Persia, in quanto colui che autorizzò il ritorno dei giudei da Babilonia e la ricostruzione del tempio a Gerusalemme. In quel felice frangente di ricostruzione, le speranze di riavere una monarchia degna di Davide si appuntarono sul giovane Zorobabele, pronipote di sangue dell’ultimo re, ma a un certo punto anche questo nobile rampollo sembra scomparire dalle cronache e della profezie. Si aprì allora quello che Knohl chiama un “vuoto messianico” durato circa quattrocento anni. Gli ultimi profeti giudei (Aggeo, Zaccaria e Malachia) sembrano guardare non più a una figura regale ma a un sommo sacerdote, del tipo forse di quell’Esra che tornerà verso la metà del V secolo da Babilonia in Giudea portando con sé la Torà, “il libro” per antonomasia, le norme alle quali tutti (re, sacerdoti e popolo) da quel momento in poi dovranno attenersi. Anche Daniele, o meglio il suo libro che è uno degli ultimi ad essere stati elaborati (si crede nel II secolo a.C.), non punta alla ricostruzione della dinastia davidica ma, ormai in un clima semi-apocalittico, recupera alcune immagini messianiche e le connette all’idea nuova, sorta nel frattempo tra gli maestri di Israele, che esista una resurrezione dei morti per (ri)compensare i giusti che soffrono ingiustamente.
L’esplosione dell’idea messianica avviene a Qumran, suggerisce il biblista della Hebrew University, il cui scisma è causato, ancora una volta, dal rifiuto della dinastia asmonea che si era assisa sul trono di Gerusalemme. Tra i qumranici si parla non di uno ma di due “unti del Signore”, un re e un sacerdote, e quest’ultimo verrà elevato a messia sofferente. Knohl colloca la ripresa da Isaia dell’immagine del “servo che soffre” proprio all’epoca della rivolta ebraica contro il successore di Erode, repressa brutalmente dal governatore Varo che crocifisse migliaia di ebrei, rivolta che vide attivi almeno due “redentori”: Simone di Perea e tal Atronge il giudeo. Gesù nacque in quegli anni, proprio nel momento in cui la disputa sul quale “messia” auspicare era più accesa, almeno tra qumranici e farisei (i sadducei erano schierati su posizioni antimessianiche). Knohl fa notare nei vangeli il silenzio di Gesù sulla propria eventuale “ascendenza davidica” e ipotizza che egli abbia aderito a una concezione messianica di tipo qumranico attraverso la frequentazione di Giovanni il battezzatore, che viveva alla foce del Giordano ossia nei pressi di Qumran.
Come dice il sottotitolo, questa ricerca “finisce” con un esame dei testi sulla morte di Gesù, che i romani crocifissero sotto la scritta “re dei giudei”. Per Knohl il processo contro Gesù fu gestito dai soli sadducei, ignorando le norme in vigore nel sinedrio dove sedevano anche i farisei, i quali non avrebbero mai approvato una tale procedura giudiziaria. Vi sono intuzioni storico-esegetiche davvero importanti in queste pagine, che sono però troppo brevi per un narrazione così carica di dettagli, rimandi e soprattutto di Wirkungsgeschichte, di storia degli effetti. Resta provato, con questo volume, che gli ebrei hanno sempre discusso, pro o contro, di messia e di prerogative messianiche e che il messianismo ha una storia così complessa che nessuno può pretendere di averne l’esclusiva.

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