A Brescia una mostra per scoprire Matthias Stom, il figlio della luce
Alla Pinacoteca Tosio Martinengo uno degli artisti più magnetici e immaginifici attivi in Italia alla metà del Seicento. E meno praticati dagli studiosi

Mathias Stom è un punto di fusione, un precipitato di una soluzione fantastica che mesce con sapienza la cruda dimensione naturalistica caravaggesca, il nordico sguardo lenticolare e la velocità vibrante e carnale del pennello dei lombardi. Quando in un dipinto s’accende la luce artificiale e violenta di una candela la mente corre subito – credo per molti sia così – a Gerrit van Honthorst e al suo italianizzato nickname di Gherardo delle Notti. Le notti sono, per contrasto, il palcoscenico per le luci di Gherardo: bracieri, fiamme, lampade, candele. Ma anche corpi che s’illuminano grazie a un proiettore fuori scena e diventa voce narrante delle vicende rappresentate: il riflettore si muove là dove desidera l’artista, estrapolando volti, carni, vesti, gesti e sguardi. Rivelando e – al tempo stesso – trattenendo nell’ombra. A Gherardo, nei primi mesi del 2015, Gianni Papi aveva dedicato una prima e meravigliosa esposizione alla Galleria degli Uffizi. Oggi – dieci anni dopo – sempre Papi torna non tanto sul maestro, quanto sull’allievo (o presunto tale) Mathias Stom, in una bella ed entusiasmante esposizione presso la Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia. E lo fa con un taglio regionale di grande interesse: a Brescia sono raccolte, infatti, le dodici opere note del fiammingo presenti oggi in Lombardia. La tredicesima è la colossale Assunzione della Vergine di Chiuduno, che – a margine della mostra, anche in un secondo momento – rimane una tappa d’obbligo per comprendere la destrezza strepitosa di questo pittore nel grande come nel piccolo formato. Nella mostra bresciana, infatti, si trovano quadri di ridottissimo formato in forma quasi di – oserei dire – sperimentazioni pittoriche, come Esaù che vende la progenitura a Giacobbe. I due personaggi, tagliati all’altezza della spalla, si guardano, affrontati, a pochi centimetri di distanza ricordando – senza troppi dubbi – una raffigurazione allo specchio, determinata anche dalle innegabili somiglianze fisiognomiche individuabili tra loro. Li illumina, di sbieco, un lume ad olio appoggiato nell’angolo basso dell’opera. È questa una delle due tele che ha ispirato la mostra, essendo un recente ritrovamento interno al patrimonio della Pinacoteca, attribuito allo Stom dallo stesso Papi, che ha poi reincollato le tracce pittoriche di Mathias provenienti dalla collezione Scotti – formata a Roma e poi portata in Lombardia alla fine del Settecento – convogliando insieme opere oggi di pubblica fruizione e alcune eccezionali prove del fiammingo ancora in collezione privata. Personalmente ho vissuto come un’esperienza soggiogante la possibilità di vedere le quattro grandi tele con L’incredulità di san Tommaso, Dedalo mette le ali a Icaro, La guarigione di Tobia e Cristo fra i dottori, tutte provenienti da spazi privati. L’angelone del Tobia è un magnifico giovane attore, vestito dell’abito di scena più ricco a disposizione della compagnia teatrale, straordinario pezzo di bravura tecnica nel costruire i valori tattili e il peso dei tessuti: leggeri nell’aerea sciarpa di seta al collo del messo divino, pesanti e spessi nel manto terroso della madre di Tobia. Qui la luce è quella dell’alba che rischiara la stanza, riportando luce al mondo e agli occhi del vecchio padre, s’intride nelle rughe profonde e segnanti del volto della vecchia madre, fa brillare il corpo smunto e denudato del padre e accarezza le morbide pieghe del ricco mantello sorretto dalla mano dell’angelo. Diversa e ben più violenta la luce dell’Incredulità di Tommaso privata: con brillante regia Stom pone la fiamma della torcia dietro la mano dello stupefatto apostolo in primo piano, costruendo un efficacissimo “punto luce” nascosto, piazzato sotto i volti estatici di Tommaso e del terzo personaggio che verificano – con occhi brillanti – la reale tangibilità delle piaghe di Cristo. Un Cristo che s’espone – è vero – all’ispezione “indiscreta” (per citare Longhi) del santo, ma che in distanza dalla conturbante versione archetipica caravaggesca non è attore protagonista che stende la mano a trascinare quella esitante dell’apostolo, quanto – al contrario – corpo quasi evocato che si concede alla contemplazione. Entusiasmante il confronto possibile con l’analoga – a livello compositivo e di soggetto – Incredulità della Tosio Martinengo, che dimostra i diversi registri utilizzati – in momenti diversi della sua produzione pittorica – dal solo apparentemente ripetitivo Stom. Qui gli incarnati si fanno brutali e terrosi, s’evidenzia il contrasto vibrante tra un Cristo dal corpo levigato e splendente – pur nel pallore di una resurrezione che appare sfibrante – e la pelle cadente, imperfetta, segnata degli apostoli che s’accalcano, aggrottando le fronti rugose, a vedere se tutto è veramente reale. Qui la luce è in ipotesi, artefatta, immaginata e il dipinto si carica di una dimensione emotiva e spirituale forse ancora maggiore che nelle versioni più spiccatamente teatrali con cui Mathias affronta i grandi temi sacri. Menzione d’onore, meritatissima, per la pala proveniente dalla chiesa di Santa Maria Assunta a Soncino raffigurante Giuseppe Flavio vaticina a Vespasiano che diverrà Imperatore. Cito qui questa spettacolosa tela secondo la rilettura iconografica – a mio giudizio corretta – proposta nella scheda dal curatore Gianni Papi: Vespasiano non è Cesare – non ancora – e Giuseppe Flavio appare messo in catene e non, secondo quando riportato nei testi, liberato spezzandole e non sciogliendole, secondo il giudizio di Tito. La scena, l’impaginato, la teatralità, le vesti strabordanti di colori e di consistenze differenti hanno un sapore vicinissimo al Martirio di Santo Stefano di Palazzo Alliata, a Palermo, e alle altre grandi scene biblico-evangeliche già di collezione Branciforte e oggi sparpagliate per tutti i musei del mondo. Scene compresse, dense di personaggi, con sontuosi costumi di scena che promuovono Stom a uno dei pittori maggiormente capaci di calibrare registicamente sulla tela effetti di gran teatro. E come non rimanere avvinti dall’efebica morbidezza della pelle di Tito, giovanetto in ghingheri dal cappello piumato, che s’avanza con un passo quasi di danza a proporre al padre di seguire il vaticinio ‘choc’ di Giuseppe? Vespasiano, al contrario, è uomo maturo – la testa calva, la pelle che ormai s’increspa di rughe, baffetti e mosca che non nascondono la barba non fatta del guerriero – ma fissa negli occhi il ribelle Giuseppe, crede – su spinta del figlio – a quel folle pronostico e mentre stringe le catene ecco Giuseppe stesso propone di essere ancora più crudelmente rinchiuso se le sue parole non si riveleranno vere. Il tutto mentre su di essi ricade una pensante quindi damascata, un drappo dai riflessi preziosi che incornicia uno strappo di cielo di libertà esecutiva straordinaria. Analogo e vibrante come quello del Sant’Isidoro di Caccamo (PA), unica tela firmata e datata (1641) lasciataci da Mathias, che rende definitivamente credibile l’ipotesi che l’opera di Soncino sia in effetti un dipinto del periodo siciliano, dal momento che Stom fu molto collezionato – anche sul fronte genovese – sfruttando proprio le enclave delle comunità territoriali sull’isola, per poi arricchire i patrimoni delle città d’origine, come ben dimostrato da Antonio Gesino.
La Pinacoteca Tosio Martinengo e Gianni Papi in questa esposizione e con questo catalogo realizzano un’opera meritoria e imperdibile: un percorso alla scoperta di uno degli artisti più magnetici e immaginifici attivi in Italia alla metà del Seicento e – paradossalmente – uno dei meno praticati dagli studiosi. Avendo avuto la fortuna di imbattermi in un tassello dell’opera di Stom (e ringrazio davvero Gianni Papi per la cortesia della citazione del ritrovamento, che invito a vedere finalmente restaurato al Museo Diocesano di Genova) credo che una mostra come quella bresciana sia solo il primo dei tributi di studi – e di pubblico – che il nostro fiammingo merita di ricevere. Il circostanziato saggio di apertura, le bellissime foto di raffronto, le accurate schede sono un materiale indispensabile per gli studiosi, mentre la cura espositiva delle opere in Pinacoteca rappresenta la possibilità di farsi coinvolgere dai piccoli e grandi teatri di Stom, permettendo di vivere in prima persona la meraviglia di uno dei più dotati registi della pittura del grande e prolifico secolo barocco.
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